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Il welfare che cambia: una riflessione per il futuro

scritto da Erika Freschi

Può esserci un giorno migliore della festa della Repubblica Italiana per parlare di welfare? Un “principio” già presente nella mente dei costituenti (articolo 3 Costituzione italiana) e sul quale, con questo primo post, invitiamo a riflettere insieme su come può e come sta cambiando il welfare.

Sembra che improvvisamente non si parli d’altro: il WELFARE è sulla bocca di tutti, i calendari sono fitti di appuntamenti, improbabili orari vengono proposti per convegni sul tema. C’è n’è per tutti i gusti, dalla prospettiva storica (la crisi del welfare state) a quella tecnica-spinta (regno di commercialisti ed avvocati). E nel mezzo una variopinta casistica di iniziative e linguaggi. Occupandomene per lavoro ho iniziato – per chiarezza e un po’ per gioco – a raccogliere la quantità di appellativi con cui il welfare si accompagna:

Aziendale

Pubblico

Integrato

Territoriale

Di comunità

Partecipativo

Circolare

Generativo

Secondo welfare

Di prossimità

Relazionale

Sussidiario

Familiare

Chi più ne ha più ne metta.

Accenti diversi, ma una direzione comune: il welfare non è più uno. Per usare un linguaggio forbito, è “tante cose”, e per di più è tutte queste cose insieme. I bisogni ai quali deve rispondere si sono moltiplicati, le risorse ridotte, gli attori differenziati. Non c’è più (o è rimasto poco) Welfare State, l’accento si è spostato sulla capacità di attivare sinergie tra soggetti e competenze, esperienze e risorse per leggere i bisogni e trovare soluzioni efficaci e sostenibili nel tempo. Collaborare, parlarsi, unire forze ed intelligenze devono diventare le parole d’ordine, a livello istituzionale e non solo. Welfare relazionale, quindi.

L’attenzione si sposta dalla ricerca di “soluzioni efficienti” ai bisogni del singolo (non più strutturalmente ed economicamente sostenibili) alla creazione di reti sociali delle quali l’individuo diventa parte attiva e all’interno delle quali possono configurarsi e mettere radici soluzioni efficaci ai bisogni di ciascuno, individuo o gruppo che sia.

Inutile dire che il richiamo per le smallfamilies è forte: questo è il welfare che può funzionare davvero per loro. Le smallfamilies sono attori sociali che – forse più di altri – hanno una consolidata capacità di attivarsi per risolvere i propri problemi, ma possono compiere un passo ulteriore nel farlo. La loro esperienza può e deve diventare valore aggiunto per la collettività: le persone sono portatrici non solo di bisogni ma anche di capacità ed è auspicabile che tali capacità siano messe a disposizione per contribuire a dare soluzione, insieme ad altri attori, ai problemi di interesse generale. Una prospettiva che alza momentaneamente lo sguardo dalle necessità contingenti per dar loro maggiore forza e visibilità e, soprattutto, per aprire scenari diversi e più efficaci nella ricerca di soluzioni.

Apriamo quindi da oggi una riflessione su quali possano essere i servizi di welfare più utili alle smallfamilies, sulle caratteristiche che devono avere e il valore aggiunto che questo specifico punto di vista può portare alla collettività e alla vita di ogni giorno: “siamo tutti un po’ smallfamilies!”.

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Immagine di apertura tratta da un’illustrazione di Jensine Eckwall

autore

Erika Freschi

Sono laureata in filosofia, mamma di una bimba, compagna di un “pendolare della famiglia” come direbbe Istat. Lavoro come libera professionista in ambito conciliazione vita-lavoro e welfare. Cofondatrice di Smallfamilies®, collaboro su questi temi.

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