Abitare CULTURE E SOCIETÀ

Coabitazioni (solidali) contro la solitudine.

scritto da Smallfamilies

Coabitazioni solidali contro la solitudine, “Perché non vieni a stare con me?” è un articolo di Tiziana Pitasi comparso sul CorriereSociale. È molto interessante perché è orientato ad affrontare molteplici problematiche presenti oggi in questa società caratterizzata da grandi trasformazioni a livello demografico, sociale, culturale, economico. In particolare negli ultimi anni questi cambiamenti hanno diversificato i bisogni che esprimono le varie tipologie di famiglie e che ciascuna famiglia manifesta nel corso della sua esistenza. Tendono ad aumentare le famiglie costituite da una sola persona, da un genitore con un figlio, da uno o due anziani. Le famiglie tradizionali, costituite da due genitori con figli, tendono a modificarsi a causa di una separazione, di un allontanamento dei figli per motivi di studio e/o lavoro, della necessità di un’assistente famigliare per mantenere a casa una persona anziana. La diversificazione dei bisogni delle famiglie si contrappone ad un sistema di offerta della casa che è standardizzato e rigido. Tutto questo provoca enormi sprechi di spazi abitativi inutilizzati, ulteriore occupazione di suolo pubblico, con aggravamento dei problemi ambientali, ma anche ampliamento delle situazioni di povertà e disagio per tante persone che non possono disporre di un proprio spazio abitativo.

Così, l’esperienza delle coabitazioni solidali è una buona pratica innovativa che si rivela come un importante segnale della capacità dei cittadini di cogliere in tempo reale determinati bisogni e di inventare e progettare nuove risposte. Per questo ritengo che possa essere considerata una significativa testimonianza dell’invenzione sociale dei cittadini.

Alcuni limiti di una buona pratica sociale

Pur riconoscendo il valore delle esperienze di coabitazione solidale e di housing sociale, ritengo sia necessario far emergere anche alcuni limiti.

Il successo di tali esperienze è legato alla buona volontà delle persone, ai loro valori etici, culturali e sociali, alla loro capacità di adattarsi ad una convivenza. Non bisogna sottovalutare però le resistenze psicologiche che possono disincentivare l’avvio di un’esperienza di tale tipo. Una coabitazione può produrre problemi relazionali che rischiano di incidere negativamente sulla qualità della vita delle persone coinvolte. Inoltre il mutamento delle condizioni di vita delle persone, nel corso del tempo, potrebbe compromettere il patto iniziale di convivenza. Occorre sottolineare infine che la continuità, la qualità e la durata di tale convivenza dipendono anche dalla capacità degli attori sociali che si occupano di coordinare, gestire e monitorare i percorsi di coabitazione.

Le buone pratiche sociali di coabitazione solidale, pur sviluppando buoni risultati a livello socio-culturale, se rimangono confinati nel mondo del volontariato e dell’associazionismo, rischiano di non produrre significativi cambiamenti sia nelle politiche sociali per il welfare e la casa, sia nel strategie imprenditoriali relative al mondo dell’edilizia e della progettazione urbana.

cohousingCasa e welfare: verso una progettazione sociale tesa a promuovere sviluppo e qualità della vita

Le esperienze di coabitazione solidale non possono rappresentare solo un modello da imitare e da diffondere a livello nazionale, ma devono promuovere una riflessione, un confronto ed una progettazione più ampi, centrati su casa e welfare, tesi a coinvolgere altri attori sociali, oltre a quelli del volontariato e dell’associazionismo (appartenenti al sottosistema socio-culturale), che fanno riferimento al sottosistema politico-amministrativo (istituzioni, enti locali, asl, servizi sociali, fondazioni) e a quello economico (associazioni di categoria, imprese edili, artigiani, associazioni di piccoli proprietari ed inquilini, ordini professionali degli ingegneri e dei geometri, amministratori di condominio). Solo attraverso adeguati strumenti di comunicazione ed integrazione fra tali contesti ed attori è possibile scoprire e condividere le molteplici connessioni che esistono fra casa e welfare. A questo proposito occorre ricordare infatti che, in questa società in rapido e continuo cambiamento, la casa tende a caratterizzarsi come area problematica prioritaria che può produrre situazioni di povertà, disagio ed emarginazione sociale, ma al tempo stesso si può rivelare come uno degli ambiti prioritari del welfare in grado di contribuire al miglioramento del benessere, della salute, dell’inclusione sociale delle persone, ma anche dello sviluppo della comunità. Occuparsi di casa e welfare, in modo integrato e con il coinvolgimento di tutti gli attori sociali del territorio competenti ed interessati, significa prendere consapevolezza che è possibile connettere positivamente diverse logiche: quella dello scambio a cui si ispirano gli operatori economici, con quella della redistribuzione propria delle istituzioni, con quella della reciprocità che fa riferimento al volontariato e all’associazionismo.

coesione-sociale1Per muoversi in questa prospettiva è necessario attivare una progettazione sociale diffusa nel territorio, che parta dal basso, che metta al centro la qualità della vita della comunità, che valorizzi il ruolo dei cittadini, con le loro capacità creative, imprenditoriali, di invenzione sociale, che sviluppi un’alleanza fra gli attori dei tre sottosistemi sopra individuati (socio-culturale, economico, politico-amministrativo). Occuparsi di casa e welfare permette allora di generare nuove sinergie fra sviluppo e qualità della vita. Significa, ad esempio:

  • inventare nuove forme di solidarietà fra le persone e le famiglie (coabitazioni, condomini solidali) tese a migliorare il sistema di welfare, ma anche a sviluppare nuove attività imprenditoriali e di lavoro (progettazione di case a geometria variabile che si adattano in relazione ai cicli di vita della famiglia, attivazione di servizi certificati di piccola manutenzione, pronto intervento per le persone fragili e messa in sicurezza della casa);
  • sviluppare nuovi ambiti imprenditoriali e lavorativi (autorecupero, autocostruzione, rigenerazione urbana, eliminazione delle barriere architettoniche, installazione di ausili, dispositivi per rendere la casa accessibile ed accogliente) che consentano anche di rendere più equa la distribuzione delle risorse per i cittadini e valorizzare le loro relazioni (politiche per favorire l’accesso all’edilizia residenziale pubblica e per la riduzione del canone di affitto, co-housing, social street, valorizzazione di sagre, feste di vicinato e di comunità);
  • promuovere politiche sociali che, oltre a migliorare la qualità della vita e lo sviluppo economico (promozione di agenzie per l’affitto, di fondi territoriali per la casa ai giovani) possano attivare nuove forme di auto-mutuo aiuto (promozione di condomini attivi e di buone pratiche sociali di connessione fra casa, vicinato e territorio).


Il testo di questo post ci è stato inviato gentilmente Walther Orsi, sociologo che si occupa di formazione e consulenza nell’ambito dei servizi di welfare e svolge attività di docenza presso l’Università degli Studi di Bologna-Forlì. Lo ringraziamo.
Immagini tratte dai siti: Chome Temporary, Chirurgia + copia dipinti di Escher

autore

Smallfamilies

"La redazione" del gruppo Smallfamilies aps

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