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Di che cosa parliamo quando parliamo di part time?

scritto da Valentina Frova

Il contratto di lavoro a part time, come noto, è quello che prevede un orario di lavoro giornaliero o settimanale inferiore rispetto a quello stabilito dalla legge o dal contratto collettivo (Dlgs. n. 61/2000 e successive modifiche).

In particolare la legge individua tre tipologie di rapporto di lavoroa tempo parziale:
orizzontale (quando la riduzione di orario è distribuita su ciascun giorno della settimana) verticale (quando la prestazione sia resa solo in determinati periodi dell’anno, del mese o della settimana) e misto (quando il rapporto di lavoro prevede sia la riduzione dell’orario giornaliero che dei periodi lavorati).

Nel contratto deve essere chiaramente indicata la durata della prestazione lavorativa e la collocazione temporale della stessa, con riferimento al giorno, settimana, mese e anno. E’ una previsione fondamentale poiché è un diritto del lavoratore sapere con precisione quando tenersi a disposizione dell’azienda, considerato che potrebbe avere un altro contratto sempre a part-time per la restante parte della giornata. Se nella lettera di assunzione manca questa indicazione il lavoratore può chiedere al giudice di determinare le modalità temporali della prestazione sulla base di quanto previsto dal contratto collettivo e rivendicare, per il passato, il risarcimento del danno derivante da questa omissione, che in genere viene quantificato in una percentuale della retribuzione.

Non di rado accade poi che l’azienda non rispetti l’orario pattuito nel contratto; in tal caso il lavoratore può agire in giudizio chiedendo che venga ordinato all’azienda di rispettare tale orario e di risarcire il danno causato violando l’impegno contrattuale.

Una particolarità del part time sono le clausole cosidette “flessibili” ed “elastiche”: le prime previste nella lettera di assunzione, consentono all’azienda di modificare la collocazione temporale dell’orario di lavoro (ossia di decidere in quali giorni e/o orari la prestazione a tempo parziale debba essere resa) mentre le seconde prevedono il diritto dell’azienda di aumentare la durata della prestazione lavorativa a tempo parziale.

Queste clausole possono essere applicate solo ove previste dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, i quali stabiliscono le condizioni e le modalità in relazione alle quali il datore può modificare o incrementare l’orario di lavoro e il limite massimo di tale aumento.

Ora, peraltro, per effetto della cosidetta Riforma Fornero del 2012, sono da segnalare due novità nel rafforzamento delle tutele di coloro a cui si applicano dette clausole. I contratti collettivi, infatti, stabiliscono le condizioni e modalità che consentono al lavoratore di richiedere l’eliminazione o la modifica delle clausole flessibili ed elastiche. In particolare il diritto di revoca non può essere negato se il lavoratore fa parte di una delle seguenti categorie: lavoratore studente, genitori conviventi di figli di età non superiore a 13 anni, persone con patologie oncologiche con ridotta capacità lavorativa, i lavoratori che hanno il coniuge, i figli oppure i genitori interessati da patologie oncologiche e i conviventi con familiari portatori di handicap.

Purtroppo nella normativa italiana è del tutto assente un diritto al part-time poiché vige il principio per cui la modifica dell’orario di lavoro può avvenire solo in presenza dell’accordo delle parti.

Questo naturalmente vale anche per il datore di lavoro che non può, senza il consenso del lavoratore, ridurre l’orario di lavoro.

L’unica eccezione a tale principio, è limitata ad un’ipotesi, quanto mai specifica, ossia il caso del lavoratore affetto da patologie oncologiche con ridotta capacità lavorativa: in tale ipotesi l’azienda, in caso di richiesta, non può negare il diritto alla trasformazione.

Solo nel contratto del commercio è previsto, al fine di consentire l’assistenza al bambino fino al compimento del terzo anno di età, l’obbligo dell’azienda (fino al massimo del 3 per cento di tutti i lavoratori dell’azienda) di accogliere le richieste di trasformazione temporanea del rapporto di lavoro da tempo pieno a part time.

Per il resto la legge si limita a prevedere alcuni casi (patologie oncologiche che riguardino familiari, assistenza a familiare portatore di handicap grave; assistenza a figlio convivente portatore di handicap) in cui viene riconosciuto un diritto di ad ottenere la trasformazione del rapporto con priorità rispetto alle richieste provenienti da altri lavoratori.

Un’altra ipotesi è quella dell’imprenditore che vuole procedere ad assunzione di lavoratori a part-time: in questo caso la legge prevede che l’azienda debba darne comunicazione ai lavoratori in servizio (anche a mezzo di avviso affisso in luogo accessibile) ed a prendere in considerazione le eventuali richieste di trasformazione del rapporto provenienti dai lavoratori a tempo pieno che non potranno essere ignorate senza un’adeguata motivazione.

autore

Valentina Frova

Vivo e lavoro a Milano dove mi osno laureata in giurisprudenza all’Università Statale con una tesi in procedura penale. L’incontro con il diritto del lavoro è stato del tutto casuale ma è stato subito “amore a prima vista”. Sono socia dell’Associazione Giuslavoristi Italiani e volontaria dell’Unione Volontari per l’Infanzia (attività di doposcuola con i bambini). Ho aderito alla rete dei servizi convenzionati con l’associazione Smallfamilies®. Per il sito mi occupo delle questioni di diritto del lavoro offrendo spunti e rispondendo a domande dei lettori e delle lettrici.

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