STORIE

Dubbi contemporanei

foto tratta dal sito Luminosi giorni

Sono pieno di dubbi contemporanei. Non so più che cosa pensare, non so più come guardare il mondo. Non so.

Brexit… immigrati… surriscaldamento del globo… mussulmani… terremoti… Turchia… legge elettorale… disoccupazione… globalizzazione… terrorismo… populismi… guerra in Siria… debito pubblico… Europa… disuguaglianze… muri… Trump…

Non ho risposte alle domande dei miei figli.

Paradossalmente, al contrario di quando ero giovane, ora sono più i dubbi a tenermi compagnia a differenza delle certezze categoriche con le quali mi riempivo la bocca, ogni qualvolta c’era l’opportunità di sentenziare come doveva essere gestito il mondo, il nostro paese, il quartiere di residenza, la mia famiglia.

Da ragazzo polemizzavo ferocemente con i miei genitori, di solito quando ci si incontrava a cena, per il tipo di società che la loro generazione ci consegnava.

Li accusavo di corresponsabilità per le scelte che effettuavano nella cabina elettorale, quando l’esito delle elezioni non andava come io speravo.

Cioè quasi sempre.

Cristo, ma è il nostro futuro che state ipotecando…

sbraitavo con la forchetta in mano.

Modera i termini, abbassa la voce e mangia la carne..

con tono paziente mia madre.

Già a quel tempo i miei non la pensavano come me e allora li contestavo a muso duro.

Urla e porte sbattute, udite dal condominio intero.

Non era sufficiente addebitare agli altri le proprie negligenze per sentirsi con la coscienza in pace.

Andava fatto qualcosa d’altro; avanti, quindi, con l’impegno politico.

Mettersi in gioco in prima persona, tenendo ben saldo tra le mani il manico di piccone, adibito all’occorrenza a bandiera da sventolare in manifestazione.

Serrare i cordoni, compagni…

© Uliano Lucas, Piazza Accursio, Milano, 1971

incitava il responsabile del servizio d’ordine mentre noi rallentavamo il corteo per occhieggiare Ornella Muti ospite al residence in piazza Santo Stefano.

Ricordo le discussioni infinite sui sistemi di governo più adatti alla realizzazione di una società giusta, non discriminante, egualitaria e partecipativa.

Nell’attesa del “sol dell’avvenire”, trascorrevamo notti intere a tirar mattino per giungere infine a una votazione che sancisse, con alzata di mano, la conferma del documento proposto sin dall’inizio.

Ore a parlare, discutere, accapigliarsi, ancora parlare per arrivare a una sintesi: il punto di partenza.

Ci definivamo la “gioventù migliore”, quella che avrebbe rotto gli schemi, cambiato le prospettive di vita a milioni di persone, ma che dico, al pianeta intero.

Hai visto che il figlio della parrucchiera si è laureato in giurisprudenza, e tu quando riprendi a studiare…?

ripeteva mia madre.

Un passo avanti, due indietro, ripiegare su se stessi, nel momento dello sconforto, era d’obbligo.

© Uliano Lucas, Galleria, Milano, 1971

E dopo tanta energia profusa davanti alle scuole o fabbriche del quartiere, essere i primi ad arrivare per il volantinaggio e gli ultimi a portare via lo striscione, andava trovata una nuova forma di lotta che riaccendesse in me la passione per l’impegno civile.

Cambiare il mondo, colpendo al cuore il sistema, attraverso l’arte!

Di corsa perciò agli stage di teatro povero, minimalista, alternativo, non importa qui si fa cultura, l’uomo consapevole, responsabile nasce su queste tavole di legno.

E sotto il fascio di luce di un “occhio di bue”, interpretare il malessere giovanile con rabbia, così da lasciare una “impronta” non solo su polverosi palcoscenici.

…non siamo più capaci di morire per una buona causa…non c’è più alcuna buona e nobile causa che valga la pena…

esclamato nel silenzio della sala con il pubblico seduto anche per terra.

La rivoluzione sarebbe partita da quel luogo deputato, bisogna solo decidersi se dalla platea o galleria.

Hai saputo, il figlio della parrucchiera ha trovato posto in uno studio legale di quelli prestigiosi…certo lo pagano pochino, ma…tu cosa vuoi fare con l’università?

© Francesco Gigliotti

Io studiavo Osborne, ”ricorda con rabbia”, infatti, ancora non lo avevo memorizzato bene.

Alle prove tecniche, litigavamo su tutto, anche su chi avesse diritto a tenersi il “nodino” saltato fuori dalle assi di legno calpestate.

Ci battevamo con determinazione per accaparrarci quei piccoli segni propiziatori di una fortuna che, prima o poi, avrebbe arriso.

Bastava crederci.

Ok, quante piazze hanno confermato lo spettacolo…? però in tourné non posso venire, la mia fidanzata ha detto che se parto…no, ma voi della cooperativa tenete duro, è solo questione di tempo e poi ce la faremo.

Già.

E una mattina ti svegli e ti accorgi che non ne puoi più con i sogni, le utopie, con il calice di vino bianco da “Rattazzo” e la barba incolta di tre giorni.

È il momento della maturità.

La ricerca della felicità attraverso il successo e il denaro.

Molto meglio, quindi, era dirigere, non solo il proprio destino, ma anche una troupe, come regista, alla composizione di un “format” che giustificasse il congruo compenso ricevuto dalle televisioni commerciali.

Previa emissione fattura a fine mese, ovviamente.

Ho provato pure quello: la gratificante, inebriante esperienza del nome nei titoli di testa mentre scorrono sul piccolo schermo.

Ognuno combatte come può.

E gli slogan gridati nei trascorsi cortei cittadini: “lotta dura senza paura”, svelavano la propria verità soprattutto nei corridoi degli studi televisivi, quando i colleghi brigavano per farti le scarpe e anche qualcos’altro.

Ti ricordi del figlio della parrucchiera… adesso ha il suo ufficio e clienti importanti…è stato intervistato al tg …subito dopo il programma pomeridiano che dirigi.

Ma era veramente questo che volevo: tanti soldi da spendere tutti nel sabato pomeriggio per cercare, inutilmente, di sopire il senso di frustrazione che mi soffocava per la vacuità di quel che facevo?

No.

Volevo qualcosa di importante, totalizzante e inossidabile.

L’amore!

Quello vero, non che gli altri fossero fasulli, ma il metter su casa insieme con una donna normale, non le solite “soubrettine”, avere dei figli, crescerli inculcandogli sani valori morali, nutrirli a cucchiaiate di prodotti biologici, questo sì che avrebbe potuto dare un senso alla vita.

Però anche questa è una storia fallimentare.

Papo, ma noi ti avevamo solo chiesto se, secondo te, Putin …

Cosa rispondere?

Nella confusione che alberga nella mia testa, gli animi si sono quietati, e certi furori sacri sono divenuti tiepidi, freddi.

Guardandomi indietro mi accorgo di aver capito poco e nulla di come vadano realmente le cose.

Che disastro!

Come faccio a dire loro che adesso anche l’assurdo mi pare una possibilità tollerabile…?

Non ho abdicato dal mio senso critico, solo che non sono più sicuro di aver ragione.

Troppe cose cui ho creduto e per le quali mi sono anche battuto, una volta realizzate, quelle poche per la verità, si sono rivelate disastrose.

Hanno creato più danni della condizione che avrebbero dovuto sanare.

E nel marasma quotidiano e chiassoso delle opinioni esibite, da tutti e ovunque, anche quando non sono richieste, ora preferisco tacere.

Nel buio della sala cinematografica, lì ancora è consentito stare zitti, la scelta di quel padre, che insieme alla compagna decide di condurre la propria famiglia a vivere in un ambiente estremo tipo la foresta, la valuto un atto rivoluzionario vero.

Captain Fantastic, il film, ha suscitato in me riflessioni sul tipo di educazione che ho ricevuto e che, a mia volta, ho impartito ai miei figli.

E così una nebulosa idea, appena accennata, si fa strada nelle mie precarie certezze: ho sbagliato tutto.

Ragazzi, avete detto a vostro padre che il figlio della parrucchiera l’hanno arrestato per una storia di tangenti…

Appunto.


Immagine di apertura tratta dal dal sito Luminosi giorni

autore

Claudio Barbagallo-barbecoq

Autore, creativo, padre separato di due figli, fondatore del gruppo Gli ammaccati (sentimentali). Autore di uno dei racconti di smALLholidays, il secondo titolo della collana smALLbooks, edita da Cinquesensi Editore in Lucca. Per il sito collaboro alla sezione “Diario d’autori”.

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