STORIE

Luciana ed Eugenio

scritto da SF storie

Mio figlio Eugenio mi sta simpatico. Cioè, essendo mio figlio, ovviamente lo amo e lo considero la persona migliore del mondo, ma mi starebbe simpatico anche se non fosse mio figlio. Perché è easy, lieve ma non superficiale, vivace ma non sovreccitato. Va anche detto che, se non fosse che mater semper certam est, chiederei il test del Dna per verificare che sia effettivamente mio figlio. Perché non mi somiglia per niente, o almeno mi somiglia poco. Io alla sua età ero una bambina serena e scatenata ma anche immersa in un fiume di pensieri, sensazioni e fantasie che traducevo scrivendo (e le maestre leggevano i miei temi nelle classi), lui è sereno e scatenato ma scrivere non mi sembra il suo principale talento, anche se se la cava bene. Io leggevo tanto e di tutto, lui legge ma non troppo. Io ero timidissima, lui è riservato ma non timido: ha solo una certa graziosa riservatezza che è la sua arma vincente quando si presenta in un ambiente nuovo. Io ignoravo – e tuttora ignoro – il calcio e le macchine, lui non fa che parlare di calcio, macchine e sport. Io non ho mai dato alcuna importanza ai soldi, lui dice che vuole fare “big money” (bravo amore mio!). Io ero piccola quando ancora non avevano inventato Internet, lui a quasi 10 anni smanetta sul tablet con nonchalance e ha persino aperto un suo canale Youtube dove posta immagini sui videogiochi. Insomma, un bambino fighissimo e easy to love. Almeno per la sua mamma.

Naturalmente ci sono anche le difficoltà della vita quotidiana, amplificate – non nascondiamolo – dal fatto di essere una madre sola col figlio. Un momento piuttosto difficile è stato quando, circa due anni fa, l’ho portato a Roma da una ridente cittadina toscana dove aveva vissuto fino a 8 anni. L’impatto è stato negativo: trovava che era una città “piena di matti”, sporca, degradata. Come purtroppo è, inutile nasconderlo, per quanto, per altri versi, resti una metropoli ricca d’arte e di storia. Poi c’è stato l’impatto con la scuola. A Roma abitavamo nel quartiere Monteverde, nella zona sudovest della città, dove aleggia ancora lo spirito di Pier Paolo Pasolini. Pasolini scelse Monteverde e vi abitò per lunghi anni, ambientando in questo quartiere il romanzo “Ragazzi di vita”. Tuttora, su via Dunant, c’è una specie di botteguccia dove l’ultimo dei ragazzi di vita di Pasolini conserva la memoria dell’amico. Ho iscritto Eugenio alla scuola elementare vicino a casa che, guardacaso, è citata in un passo di “Ragazzi di vita”. E lì abbiamo vissuto un’esperienza autenticamente pasoliniana, perché la zona è ricca di contaminazioni: ci sono le case popolari, dove abitano poveri e disagiati (insieme purtroppo a qualche furbo al quale l’alloggio non spetterebbe), e accanto palazzi dove risiedono famiglie medio-borghesi, più o meno come la nostra. Così è successo che nella classe di Eugenio c’erano i figli di uno scrittore, di un dirigente, di una ex ragazza di Non è la Rai mescolati a quelli di mamme single dell’est, cinesi venditori di cianfrusaglie e poveri a cui avevano staccato la luce perché non pagavano la bolletta. Roma è anche questo: un grande melting pot di gente di ogni razza, nazione e provenienza sociale, dove le differenze si incrociano e si mescolano.

Eugenio ha odiato il rumeno perché gli aveva rubato le forbici, così come ha voluto bene al cinese perché era tranquillo e insegnava qualche parola della sua lingua nell’intervallo. Razzismo zero: qui si valutano le persone, se si comportano bene o male, e il colore della pelle non è un elemento indicativo per capirlo.

Il vero problema è stato che la classe era ad alto tasso di litigiosità, per non dire di teppismo. Io l’avevo ribattezzato “Il Riformatorio”. Ogni giorno c’era un lacero-contuso. Ogni giorno c’era qualcuno (che poi era quasi sempre lo stesso, il bambino disagiato della situazione – italianissimo peraltro) che picchiava gli altri bambini, Ogni giorno qualcuno piangeva disperato e qualcun altro se la rideva sotto i baffi. Ogni giorno rimproveri a raffica delle maestre. E tutti a parlare a voce altissima. Per reazione Eugenio, che normalmente non ha un tono di voce alto, parlava a voce ancora più bassa, e non si sentiva niente.

Ma perché questa aggressività costante? Inutile dire che, alla prima riunione scolastica con i genitori, si è compreso il motivo: persone che polemizzavano, attaccavano le maestre, si azzuffavano tra loro. Dal canto loro le maestre non brillavano per eccellenza di insegnamento e correttezza morale. Una si era messa in malattia a inizio anno e aveva continuato fino alla fine dell’anno, ma non aveva alcuna remora a presentarsi alle occasioni ufficiali (feste e cene), apparentemente in buona salute, sostenendo di controllare la classe a distanza. Un’altra maestra era forse ancora inesperta. Una era brava ma mite, forse troppo per quel tipo di classe.

In tutto questo Eugenio ha brillato. Più silenzioso e meno aggressivo degli altri, abbastanza ligio al dovere e corretto nei comportamenti, è stato fatto Santo Subito dalle maestre. Una sera io e lui ci siamo guardati negli occhi, e io gli ho detto: “Eugenio, qui siamo di fronte a una classe particolarmente agitata: se tu fai il bravo in condotta, anche se poi non studi tantissimo, la sfanghi comunque”. “Ok, mamma” mi ha stretto l’occhio il mio piccolo furbetto. E così è stato. Non glielo ho detto per fargli capire che poteva anche non impegnarsi: impegnarsi deve sempre, e lui lo sa e lo fa. Era per spiegargli che, nella vita, è giusto dare il massimo in ogni compito che svolgiamo, ma bisogna anche sapersi guardare intorno e osservare il contesto, ascoltare, vedere di cosa c’è bisogno in quel determinato ambiente e in quel determinato momento in modo da minimizzare lo sforzo e massimizzare il risultato. Cose che, forse, la scuola non insegna. Risultato: 10 in condotta. E molto bene nelle altre materie.

Io alle riunioni di classe mandavo sempre il padre di Eugenio – padre assente diciamo al 95%, ma appunto presente in queste occasioni. L’uomo, riservato e di poche parole come il figlio, ne usciva puntualmente scioccato. Non riusciva a capacitarsi come questi adulti finissero a polemizzare con le maestre e tra di loro in modo così infantile. Ma restava in silenzio. Una volta però una maestra, quella in malattia che era stata convocata alla riunione con i genitori credo per inadeguatezza delle altre due, l’ha fregato, chiamandolo direttamente in causa. In mezzo al caos, lo ha guardato negli occhi e gli ha detto: “E cosa ne pensa il padre di Eugenio?”. Lui ha risposto qualcosa come: “Credo che bisogna insegnare ai bambini a rispettare l’autorità, e in questo caso le maestre rappresentano l’autorità. Poi naturalmente se ci sono problemi se ne parla”. Un ragionamento che, devo ammettere, mi sembra condivisibile. La signora si è alzata, gli è andata incontro e lo ha abbracciato.

Risultato: quando siamo andati via da Roma, in risposta a una mia email dove salutavo e ringraziavo tutti, la maestra in questione mi ha scritto: “Eugenio è un bambino splendido e voi siete una bella famiglia”. Cioè, una famiglia noi? E poi bella? Lì per lì ho sorriso, poi ci ho riflettuto: “Ma sì, forse sì. Forse a modo nostro, in un modo sgangheratissimo e audace, anche noi siamo una famiglia. E magari, to’, siamo pure belli”. Così gli ho risposto: “La ringrazio davvero molto, tanto più che non possiamo considerarci una famiglia nel senso tradizionale del termine”.

Nel Riformatorio, come in tutti i Riformatori, abbiamo lasciato, sia io sia Eugenio, ricordi non belli insieme ad altri che ci scaldano ancora il cuore. Eugenio ha trovato un amichetto che lo adorava, Andrea, che una sera, a casa, è scoppiato a piangere e, alla richiesta della madre “Perché piangi?” ha risposto “Perché Eugenio se ne va da Roma e non lo vedo più”.

Io ho lasciato i genitori degli amici di Eugenio che, per quanto un tantino polemici, erano persone a cui ho voluto bene: il mio amico scrittore che ogni mattina, al rito collettivo del caffè, ci intratteneva con qualche perla della sua intelligenza ironica e dissacrante, l’amico dirigente, buono come il pane e tenero come un puffo, l’ottimo padre di famiglia che c’era sempre quando avevo bisogno di sostegno o di un consiglio, la mamma di Andrea dolce e dolcemente svagata, la coppia allegra con la mamma di lei simpaticissima…E diversi altri. Gente forse un po’ sgangherata, come me, ma anche loro belle famiglie. Come può essere bello chi ci prova, chi lotta in una città difficile e in un contesto difficile, chi cerca di rimediare quotidianamente con l’ironia alle asperità della vita, chi dà di quel che ha, chi tenta di farsi forza con la forza dell’amicizia.

A settembre Eugenio inizierà la scuola a Milano. Speriamo bene.

(Per altre storie scritte da me e dalle mie ragazze www.leragazzedilucy.it)

autore

SF storie

È il team che si occupa di raccogliere e pubblicare le storie scritte direttamente dai protagonisti, che non sempre desiderano svelare la loro identità. Se vuoi mandarci la tua storia scrivi a associazione@smallfamilies.it, allega una fotografia e una liberatoria in caso di foto di minori oppure specifica che desideri l'anonimato.

lascia un commento