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Mariti e padri violenti: il coraggio di allontanarsi

scritto da Benedetta Silj

Mariti e padri violenti: la cronaca ci offre spunti ogni giorno. Così, alle donne e madri spetta la scelta difficile di allontanarsi, di prendere le distanze per salvare se stesse e i figli. La scelta coraggiosa di rimanere sole. “Che lui fosse violento lo avevo intuito da tempo”, scrive Bianca. “Ma speravo sempre di riuscire a cambiarlo. Quando sono rimasta incinta ho capito, però, dai suoi comportamenti, che le cose potevano soltanto peggiorare. E mi sono trovata ad un bivio: sprofondare assieme al futuro bambino in una quotidianità fatta di timore e passività crescenti oppure prendere le distanze e difendermi come donna e come madre?”.

Già, della violenza domestica oggi si può parlare. E alcune donne decidono di scommettere sulle proprie forze e sulla propria lucidità perché vogliono crescere un figlio in una atmosfera di sufficiente libertà e pace; finalmente lontane dalle intimidazioni di un compagno incapace di tenerezza e di rispetto, forse profondamente malato nel suo modo di concepire la relazione sentimentale, sia a livello pratico che psicologico.

Vediamo, dunque, con ordine, i principali equivoci e nodi esistenziali che una madre sola deve riconoscere e sciogliere in queste situazioni difficilissime, ma non impossibili, da superare.

Il primo nodo è a monte e riguarda la sua scelta originaria: quali ferite della sua storia personale l’hanno portata a scegliere un compagno così “pericoloso”? E soprattutto: come ricostruire il significato di questa “scelta sbagliata” senza giudicarsi, screditarsi e colpevolizzarsi? La comprensione gentile e compassionevole della propria storia, in questi casi, coadiuvata da una terapia o da un gruppo di sostegno mirato, è decisiva per liberare chiarezza, determinazione e fiducia nelle proprie forze. Sapersi implicate, senza giudicarsi, alla scelta di una relazione squilibrata e autodistruttiva, depotenzia il timore dell’altro e la sua ombra. E permette di capire, profondamente, che il primo nemico di cui occorre liberarsi è un nemico interno, ovvero la propria auto-svalutazione, quella voce nella mente che dice “hai cominciato col piede sbagliato e ora non puoi tornare indietro, non puoi farcela, devi subire la situazione”.

Il secondo nodo, insidiosissimo, riguarda il surplus di vulnerabilità e incertezza che prova una donna quando è divenuta, o sta per diventare, madre. È naturale: di tutto si avrebbe bisogno, mentre si attende un bimbo o con un bimbo appena nato, tranne che di affrontare scelte così dolorose e difficili come una separazione da un partner, e futuro padre, violento. Ma è anche vero, per fortuna, che la maternità produce , accanto ad un incremento di vulnerabilità, anche una mobilitazione di forze creative straordinarie. L’amore per la vita che si porta in grembo, l’amore per la vitalità che si custodisce e si porterà alla luce, può trovare risorse e varchi impensati per affermarsi e per orientare più felicemente le scelte e la progettualità . L’importante, infatti, è non cadere nella vecchia trappola del sacrificio femminile: “Resto in questo legame da cui mi sento minacciata psicologicamente e fisicamente e lo faccio per i figli”. Una trappola tremenda di cui abbiamo imparato a misurare gli effetti devastanti sulle generazioni future. I bambini non hanno bisogno di unioni familiari fondate sulla paura, infatti, ma di atmosfere di verità, di rispetto e di tenerezza.

Il terzo nodo, da riconoscere e da sciogliere, riguarda gli aiuti in campo. “Chi può veramente aiutarmi, sostenermi, proteggermi, supportarmi in questa separazione”? Nella scelta degli “aiutanti” il criterio più valido non è semplicemente razionale ma anche emotivo ed esperienziale: “Il vero aiuto l’ho ricevuto da quelle amiche e amici che non mi hanno giudicato”, osserva Ginestra nella sua testimonianza a Smallfamilies. “Non solo tra gli amici e i parenti ma anche tra i consulenti – terapeuti e avvocati, per esempio – ci sono persone sagge che con le loro parole, gesti e presenza, ti rimettono in contatto con te stessa e con le tue forze. Ti accorgi che ti stanno aiutando perché la tua paura diminuisce e aumentano la fiducia e le opzioni concrete” . E come regolarsi, invece, con quegli amici e parenti che spingono la madre sola verso la rinuncia a se stessa e verso la rassegnazione ad un legame tossico e violento? Riconoscere il problema e sviluppare una finissima autonomia psicologica sembra la via regia per limitare i danni di questi detrattori della forza femminile. Spesso, infatti, possono essere persone molto vicine affettivamente ma non avere alcuna consapevolezza e saggezza nel sostenere la madre sola e la donna che è in lei.

Una ultima questione molto delicata e importante, infine, riguarda il “posto simbolico” che la madre, rimasta sola, dovrà assegnare al padre della propria figlia o figlio. “Cosa dirò al bambino quando crescerà? Come spiegargli che separandomi da suo padre ho scelto il male minore?” Demonizzare la figura paterna agli occhi dei figli è una tentazione diffusa, in questi casi, ma affettivamente traumatica. Sarebbe opportuno, invece, riflettere preventivamente, e con l’aiuto di una figura esperta, quale possa essere, caso per caso, il modo più inoffensivo di salvaguardare allo stesso tempo la vulnerabilità del bambino, la funzione paterna e la verità della propria scelta. E’ necessario modulare il racconto sull’età del figlio, ovviamente. E dirgli cose comprensibili, chiare, non turbative. La frase “Il papà ti vuole bene ma non vive con noi perché non andavamo d’accordo”, per esempio, è una comunicazione in cui viene detto l’amore del padre, di cui il bambino ha bisogno; in cui viene detta una verità, “non andavamo d’accordo” ma in cui, allo stesso tempo, la madre trattiene per sé, ed elabora da sé, tutto ciò che al bambino non serve sapere. Per trovare e modulare un tale registro di verità e misura è fondamentale, a monte, che la madre abbia fatto un po’ di pace con la sua storia, che sia riuscita a perdonarsi per avere scelto un uomo sbagliato e per aver concepito un figlio con lui. E’ da questa pacificazione interna che discenderà, piano piano, la capacità della madre sola di salvaguardare, almeno simbolicamente, la funzione paterna. Con una saggezza puntuale e delicata. Con infinita pazienza. Con calda fiducia.

autore

Benedetta Silj

Sono analista biografico a orientamento filosofico (www.sabof.it) e ideatrice, con Carla di Quinzio, dei due Sportelli per "madri sole" e per "padri soli", iniziativa nata in collaborazione tra Philo, Sabof e Smallfamilies aps. Per questo sito scrivo consigli/interventi/risposte/ per l'area "Corpo-Spirito-Mente".

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