Il mio incontro con Alì risale al 2013, quando lui aveva 14 anni ed io 42. Ci siamo incontrati nella struttura per minori dove lui era appena arrivato, nel diciannovesimo arrondissement di Parigi, città dove vivo da anni. Ci sono andata con un’amica, anche lei italiana, con l’intenzione di animare un atelier di pittura per i ragazzi, che poi purtroppo non si è riuscito a realizzare.
Alì ha sentito che parlavamo in italiano e si è avvicinato tutto contento perché durante il suo lungo viaggio dall’Afghanistan a Parigi ha trascorso sei mesi in Italia, imparando discretamente la nostra lingua. Ora parla un perfetto francese, ma allora comunicare era un problema e questa occasione con noi gli ha permesso di aprirsi e di instaurare da subito una reciproca simpatia.
Nello stesso periodo, l’Associazione France-Parrainages, che si occupa di favorire la relazione tra “madrine” e “padrini” e minori non accompagnati, aveva presentato la propria attività proprio nella struttura dove Ali stava vivendo insieme ad altri quaranta tra ragazzi e ragazze. Due mesi più tardi ricevo una telefonata dal direttore della struttura: mi racconta che Alì stava attraversando un brutto momento perché durante le vacanze tutti gli abitanti del “foyer” erano riusciti a partire per una breve vacanza mentre lui, non conoscendo nessuno, era rimasto da solo a Parigi. Sono diventata così “la madrina” di Ali, di cui sono stata responsabile anche penalmente per il tempo trascorso insieme. Questo tipo di rapporto non è un’adozione né una tutela. Si tratta di un accompagnamento responsabile del minore al fine di facilitarne l’inserimento sociale, l’equilibrio affettivo e le scelte scolastiche e professionali.
I minori che arrivano in Francia soli sono molto aiutati e seguiti, ma ci si è resi conto che lo scambio affettivo che si può instaurare con un adulto – nell’80% dei casi una donna – che li segue senza alcuna contropartita monetaria né interesse professionale, contribuisce notevolmente al loro benessere. Il rapporto che si è creato con Alì è molto profondo e ci permette di parlare in modo sincero e affettuoso. Lo incontro un paio di volte a settimana, andiamo a mangiare la pizza, a vedere una mostra, lui conosce i miei amici ed io i suoi. Un legame particolare si è creato con mia mamma, che lui chiama “mamie” (nonna), con cui ha vissuto un mese a Bologna, in occasione di uno stage che ha fatto all’Università.
Dall’estate scorsa Ali è diventato maggiorenne e ha poco dopo ottenuto la nazionalità francese. Allo stesso tempo ha potuto riallacciare i rapporti con la sua famiglia d’origine che vive ora in Iran. Questi cambiamenti non hanno cambiato il nostro rapporto, che continua a essere frequente e di reciproco aiuto. In giugno, se tutto andrà bene, finirà la sua formazione per diventare ortoprotesista e sta anche studiando per ottenere la patente. Nel febbraio 2017 abbiamo deciso di formalizzare il nostro legame con una cerimonia pubblica che si chiama “Baptème Républicain”: residuo dei tempi della Rivoluzione quando il battesimo è stato reso laico. Il mio ruolo di “madrina” è stato così sancito alla Mairie dell’undicesimo arrondissement, poi con gli amici abbiamo fatto festa come si conviene per un battesimo tradizionale.
Consiglio certamente questa esperienza a tutti, perché è estremamente arricchente. Questi ragazzi sono portatori di altre culture e i loro avventurosi viaggi li hanno fatti crescere in fretta rendendoli per forza molto scaltri. A livello affettivo sono invece molto fragili. Hanno dovuto separarsi dalle loro famiglie d’origine, vivere situazioni drammatiche, ed hanno bisogno, come tutti gli adolescenti, di uno sguardo benevolo e incoraggiante.
Per quanto mi riguarda, l’incontro con Alì ha aperto i miei orizzonti, modificato le mie convinzioni: mi ha regalato un “figlio del cuore” che spero resterà sempre nella mia vita. La nostra storia è anche in un’intervista per la televisione francese.