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Azione per il riconoscimento di paternità e maternità

scritto da Maria Garofalo

L’art. 269 c.c, nel disciplinare l’istituto della dichiarazione giudiziale di paternità e/o maternità naturale, così statuisce: “La paternità e la maternità naturale possono essere giudizialmente dichiarate, nei casi in cui il riconoscimento è ammesso. La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo…; la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità”.

Nel nostro ordinamento, quindi, chi è nato fuori dal matrimonio e non è stato riconosciuto alla nascita da uno dei genitori naturali, può promuovere un’azione davanti al Tribunale per ottenere una sentenza dichiarativa della filiazione, che ex art. 277 c.c., produce gli stessi effetti del riconoscimento.

La competenza sull’art.269 c.c., in base alla formulazione dell’art.38 disp.att. c.c., per effetto della legge n. 219 del 10.12.2012 (V. ordinanza Tr. Milano del 29 aprile 2013), anche in caso di minori, è del Tribunale ordinario e conseguentemente il rito applicabile è quello di cognizione ordinaria ex artt. 163 e ss. c.p.c. La legge 219/2012, infatti, ha rimosso la deroga al rito ordinario che era stata introdotta dall’art. 68 della legge 184-1983 così ripristinando la norma generale di cui all’art. 9, comma II c.p.c. .

L’azione è peraltro imprescrittibile e questo significa che può essere promossa in qualunque momento e anche dopo anni dalla nascita, visto che la legge non pone alcun limite di tempo per agire in giudizio.

Con sentenza n.50 del 10 febbraio 2006, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 274 c.c., che subordinava l’esercizio dell’azione di riconoscimento giudiziale al previo esperimento di una procedura di ammissibilità.

In altre parole, prima di iniziare la causa vera e propria nei confronti del padre o della madre naturale, l’interessato doveva con ricorso dare impulso ad un preventivo giudizio di delibazione, nel corso del quale, con indagine sommaria e segreta, il Tribunale doveva valutare e vagliare l’esistenza di indizi tali da far apparire giustificata l’azione (ad esempio occorreva dimostrare, anche con testimoni, l’esistenza di una relazione tra l’uomo e la donna da cui era verosimile che fosse nato il figlio naturale).

Tale giudizio si svolgeva in camera di consiglio e l’inchiesta sommaria doveva avere luogo senza alcuna pubblicità e doveva essere mantenuta segreta; avverso la decisione del tribunale di poteva reclamare in appello e avverso la decisione della Corte d’Appello si poteva ricorrere per cassazione e soltanto dopo questo iter procedurale, che durava anni, l’interessato poteva procedere con l’azione vera e propria chiedendo di poter provare la paternità attraverso gli esami ematologici o sul DNA.

Ora il procedimento risulta più rapido: si da all’interessato la possibilità di azionare subito le sue pretese in sede di merito e di citare immediatamente in giudizio il presunto genitore naturale per vedersi riconosciuto lo status di figlio naturale, attraverso il ricorso alla prova principe, l’esame sul DNA.

Con la legge n. 219/2012 (che ha equiparato i figli naturali ai figli legittimi) il riconoscimento produce effetti non solo verso i genitori ma, altresì, verso i parenti: l’innovazione non è di poco conto se si pensa che la prole venuta alla luce da genitori non coniugati può vantare legami giuridici con il genitore che ne abbia effettuato il riconoscimento.
La normativa previgente prevedeva che il figlio naturale rimanesse fuori dalla famiglia del genitore che lo aveva riconosciuto (non diventava parente o affine dei parenti del genitore).
Quando il riconoscimento di un figlio naturale minorenne viene effettuato da una persona sposata, il giudice può decidere se affidare il minore al genitore adottando ogni misura volta a tutelare l’interesse del figlio.
Il figlio naturale non può, però, essere inserito nella casa coniugale se non vi è il consenso del coniuge (e dei figli legittimi del genitore che ha compiuto il riconoscimento e che abbiano più di sedici anni) e dell’altro genitore naturale che abbia effettuato il riconoscimento.
In quest’ultimo caso è sempre necessaria l’autorizzazione del giudice che stabilisce le condizioni a cui devono attenersi i genitori.
Se una persona si sposa dopo che aveva già riconosciuto il figlio naturale, questi può essere inserito nella casa coniugale se già conviveva con il genitore o se l’altro coniuge ne conosceva l’esistenza e dà il consenso (è comunque necessario il consenso dell’altro genitore naturale).

autore

Maria Garofalo

Avvocata del Foro di Milano e madre di un giovane uomo, mi occupo da tempo di diritto di famiglia e di minori. Ho seguito un corso di psicologia, che si è rilevato un ottimo strumento per sondare quel vissuto di maltrattamenti e violenze di solito taciuti dai soggetti più deboli. Faccio parte della rete dei servizi convenzionati con l’associazione Smallfamilies®.Già autrice del racconto “Un Natale particolare” per l’antologia smALLchristmas, per questo sito scrivo su questioni relative al diritto di famiglia.

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