Condividiamo casa? Una domanda che sta diventando un atto di responsabilità sociale, sostenibilità, rinnovato modello di vita specie per le famiglie e geometria variabile. Il 31 gennaio scorso la media company americana Insider ha pubblicato un articolo scritto da Holly Harper, una mamma single che è riuscita a vivere in una casa di proprietà grazie al cohousing e che ha poi raccontato in esteso la sua storia anche ad altre testate.
Dopo il divorzio ha vissuto con la figlia per diciotto mesi in un bilocale in affitto in città quindi ha deciso di provarci. E ha proposto all’amica Herrin Hopper, ugualmente divorziata e con due figli, di comprare una casa insieme.
In breve hanno trovato una grande casa colonica, con portico e giardino, già divisa in quattro unità separate, con spazi comuni quali lavanderia, ripostiglio e un grande cortile, in campagna, a mezz’ora di auto da Washington DC. E l’hanno comprata.
Poi hanno messo un annuncio per cercare altre condivisioni e ora a Siren House, questo il nome dato alla proprietà, vivono tre mamme, una quarta inquilina, cinque bambini, tre cani, due criceti, un geco, mentre in giardino campeggia un enorme trampolino.
Grazie a questa soluzione sono riuscite ad affrontare le spese di ristrutturazione della vecchia casa che sarebbero state troppo onerose per una famiglia sola.
Grazie a questa soluzione il risparmio è sempre assicurato, su vari fronti. Le famiglie spesso pranzano insieme, si aiutano reciprocamente nella cura dei bambini che hanno sempre compagni di gioco, non necessitano di babysitter, hanno una biblioteca in comune e condividono di tutto, anche effetti personali. E questa sembra essere la risorsa più grande.
Scrive la Harper:
Condividere i nostri spazi e mettere in comune i nostri effetti personali significa vivere come regine. Tutti hanno cose che usano due volte all’anno – la macchina da cucire, il mixer, il seghetto, i sacchi a pelo. E quando lo spazio di stoccaggio è limitato, le persone sacrificano le cose che usano più raramente. Ma ora ho la sensazione di possedere qualunque cosa perché possiamo condividere tutto”.
La comproprietà funziona come un condominio. Ogni parte contribuisce mensilmente ad un fondo di emergenza che viene utilizzato per coprire i costi delle spese straordinarie o di manutenzione.
Una soluzione ideale, quindi, per la quale tutto è stato però studiato e stabilito in modo preciso. Sulla base di valori comuni, di visione e di scelte condivise. Se qualcuno volesse vendere, ad esempio, le altre proprietarie avrebbero diritto di scegliere chi può subentrare. O anche a chi eventualmente affittare, in una logica di flessibilità giuridica che comunque tutela chi vive nella casa.
Una soluzione ideale alla quale ci si potrebbe ispirare. Ideale anche perché modificabile, adattabile alla situazione. Ideale per chi vive condizioni simili, necessità simili, per chi ha figli della stessa età, per chi ha risorse limitate o coltiva il desiderio di una socialità più facile. Ideale perché perfettibile.
Viviamo ormai da tempo nell’era dello sharing. Condivisione di spazi, uffici, negozi, auto… Perché non anche le case? I grandi appartamenti cittadini, le case isolate o abbandonate, le ex colonie…
L’ondata pandemica ha costituito una pausa, evidentemente, ma si può pensare di riprendere in mano vecchi progetti.
Noi di Smallfamilies ci pensiamo da tempo perché siamo convinti che questa sia una strada da percorrere.
Immagine apertura: foto di Mario Cesari, artigiano-artista (per gentile concessione).