Oggi è esattamente un anno e sei mesi che mio marito se n’è andato.
Ha sbattuto la porta e ha preso un aereo per il Senegal (mica dietro l’angolo) perchè in Italia non trovava lavoro e nella sua legittima frustrazione ha buttato però alle ortiche tutto, moglie e figlio compresi.
Momo ha tre anni., ne aveva uno e mezzo quando il papà se n’è andato.
Io mi chiamo Cristina e di anni ne ho quasi 44.
Abitiamo a Milano.
Mouhamed Oliviero, che tutti chiamano Momo, va alla materna.
Io lavoro come consulente privata per gli immigrati, che significa molto lavoro e alcune soddisfazioni, ma pochissimi soldi.
Però abbiamo una casa grande, affittiamo una stanza e ce la caviamo.
Dal Senegal non arriva nulla e dal papà di Momo non è mai arrivato nulla nemmeno prima, dunque se me la cavavo allora, continuerò ad arrangiarmi ora come riesco.
Non avrei mai voluto fare un figlio da sola, ma ora ci sono.
La nostra famiglia è smallissima: a Milano ci siamo solo io e mia mamma, che lavora e non può aiutarmi più che una notte ogni quindici giorni (santa preziosissima notte di sonno ininterrotto!).
Il mio papà è morto vent’anni fa, mio fratello è trapiantato Belgio in un romantico paesino medievale ai margini delle Fiandre, ci sono pezzi di famiglia a Roma, a Bologna e a Brescia e credo che se avessi una reale tremenda emergenza sicuramente qualcuno verrebbe ad aiutarci, ma per ora, fortunatamente, niente emergenze.
Siamo solo io e Momo, dunque: niente fratellini, niente cugini, niente zii, solo una nonna adorata.
Le prime settimane sono state tremende, la cosa peggiore è stata l’ansia di immaginare le emozioni e il dolore di un figlio abbandonato da un papà che ama molto: però ho capito molto presto che i bambini piccoli si abituano a tutto e che la mia serenità era la sua, e da allora non ci siamo mai allontanati dal pensare che la nostra famiglia è solo una delle famiglie possibili e che stiamo bene anche così.
E stiamo davvero bene.
Mi ha aiutata una pedagogista, che fa parte dell’associazione Ipazia, e mi ha aiutato molto la mia psicoterapeuta; ho avuto un grosso sostegno, l’anno scorso, dalle educatrici del nido, che hanno avuto subito un occhio attento su Momo, e poi mi ha aiutata la rete di amici e conoscenti.
Mi ha aiutata il fatto che nessuno drammatizzasse più di tanto.
Difficilmente siamo soli, se non lo vogliamo.
Ci sono gli amici del nido e le loro famiglie, con cui ci frequentiamo.
C’è la rete delle “Famiglie Afroitaliane di Milano” che si sta formando, per permettere ai bambini misti e neri di confrontarsi serenamente tra loro.
Ci sono le mie amiche di sempre, zie eccezionali, presenti e affettuose.
E qualche volta un baby sitter che compensa i giochi da maschio che la mamma non sa o non ha voglia di fare.
Abbiamo una quotidianità piuttosto semplice, Momo sta all’asilo fino alle cinque, io cerco di fare la maggior parte delle cose quando lui non c’è così da dedicargli il resto del tempo: andiamo ai giardini, a scuola di equitazione, in piscina e allo spazio bimbi dell’Isola e nel week end ci vediamo con gli amici e i loro bambini.
Se avessi un lavoro più rigido sarebbe tutto estremamente complicato, così invece ho i miei spazi durante il giorno per il lavoro di consulenza e per il mio blog (in cui mi occupo della società mista), e per la spesa, l’ufficio postale, il medico, a volte lo shopping, senza dover chiedere niente a nessuno. E le sere e i fine settimana sono tutte per il mio piccolo maschietto.
Lui è un bambino vivace e allegro, un bambino normale che mi riempie di gioia e mi affatica come ogni altro bambino, per ora senza grandi preoccupazioni.
E io so cambiare le lampadine, chiudere gli spifferi delle finestre, spostare i mobili e usare il trapano (cosa che mi rende, ai suoi occhi, quasi mitica), so giocare a pallone e fare le gare con le macchinine, so leggere le storie la sera e so alzarmi quattro volte per notte per quattro sogni diversi; e so fare le torte all’ananas: tutte le cose essenziali per una mamma single ci sono.
Restano i grandi interrogativi cosmici su cosa succederà tra qualche anno, quando il suo papà gli mancherà davvero, ma ci penseremo allora.
Credo che a Milano la rete di solidarietà, associazionismo e volontariato sia piuttosto efficace, per quanto riguarda l’auto-aiuto e il tempo libero, la compagnia e il confronto: manca invece un sostegno sia economico che pratico, sia a livello istituzionale che associativo: come fa una mamma single che lavora sette giorni su sette, come succede alla mia collega di armadietto all’asilo di Momo che fa la cameriera e ha lasciato tutta la fmaiglia in Kenya? Come fa una mamma single a cui improvvisamente prospettano di lavorare su turni oppure il licenziamento, come sta succedendo a un’amica trapiantata da Palermo? Come faccio io quando c’è sciopero? O quando Momo si ammala? O quando mi ammalo io?
Pagare una baby sitter non è un’alternativa praticabile per tutti, anzi, quasi per nessuno.
Per ora, noi credo che ce la caviamo, ma la realtà è che manca tutto e che bisogna farcela da soli.