“Processi di impoverimento e fragilità dei legami sociali: le famiglie monogenitoriali” è una ricerca realizzata nel corso del 2011 a Piacenza. Si tratta di un lavoro interessante, che merita attenzione ed è per questo che ne abbiamo parlato con il direttore scientifico Gian Luca Battilocchi.
Per prima cosa, le chiedo di presentarsi e di spiegarci come è nata l’idea di realizzare questa ricerca, una delle poche sviluppate in Italia su questo argomento.
Sono esperto di programmazione e progettazione sociale e lavoro presso l’Ufficio di Piano del comune di Piacenza. Studioso di fenomeni di povertà e vulnerabilità sociale, attualmente sono docente a contratto di Sociologia dell’educazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.
La ricerca è stata ideata nell’ambito di un più ampio progetto promosso dal Centro di Servizio per il Volontariato SVEP di Piacenza. L’indagine assume come oggetto di interesse principale le condizioni socio-economiche delle famiglie con un solo genitore, segnatamente quelle con figli minori, assumendo l’ipotesi che l’elevata diffusione della povertà, rilevata in tutta Europa per questa tipologia familiare, sia legata alla fisionomia delle reti sociali dei nuclei monogenitore, e più precisamente ad una ridotta disponibilità di risorse di social support.
Il percorso di ricerca si è articolato in un’operazione di inquadramento statistico e sociologico del fenomeno della monogenitorialità in Italia e in Europa, e nella realizzazione di un approfondimento sul campo, nel territorio della provincia di Piacenza, sulla presenza e le concrete situazioni di vita dei nuclei monogenitore. A questo proposito sono stati raccolti ed esaminati i dati delle anagrafi comunali e quelli dei servizi socioassistenziali per minori e famiglie; si è quindi condotto un ciclo di interviste semi-strutturate a genitori soli, intercettando principalmente situazioni di fragilità socio-economica. Quest’ultimo aspetto, di grande rilevanza nell’impianto organizzativo e metodologico della ricerca, va tenuto in particolare considerazione nel valutare gli esiti del lavoro (che di seguito sommariamente si richiamano), in termini di rappresentazione delle condizioni di vita e delle caratteristiche strutturali e funzionali dei nuclei monogenitore.
Nonostante la monogenitorialità sia oggi caratterizzata da una “marcata eterogeneità, sia per le vicende biografiche che la determinano, sia per le condizioni socio-economiche che la caratterizzano” (com’è scritto nella ricerca), è possibile far emergere alcune questioni che più di altre connotano questo fenomeno?
L’ipotesi di partenza, racchiusa nel titolo della ricerca, contiene già un tratto caratterizzante del fenomeno della monogenitorialità: l’elevato rischio di impoverimento cui questa tipologia familiare è esposta, senza variazioni di rilievo, in tutti i paesi occidentali.
Le condizioni di disagio economico risultano peraltro intrecciarsi alla fragilità delle reti sociali con dinamiche di influenzamento reciproco: l’indigenza e la precarietà sono significativamente associate alla debolezza dell’inserimento sul mercato del lavoro, la quale, a sua volta, è alimentata dall’assenza o scarsità di risorse sociali di cui avvalersi nell’organizzazione della vita quotidiana e nell’armonizzazione di lavoro per il mercato e lavoro di cura familiare. Le problematiche della conciliazione assumono dunque nei nuclei monogenitoriali una fisionomia particolarmente acuta e cruciale per la qualità della vita di queste famiglie.
Queste condizioni strutturali sembrano poi generare alcune problematiche esistenziali e modalità di funzionamento specifiche: alla deprivazione materiale si accompagna ad esempio un’ulteriore forma di povertà, un vero e proprio deficit temporale con conseguenze molteplici sia sul benessere psicofisico dei genitori, sia, più in generale sulla qualità della vita familiare e delle relazioni educative. Parimenti, le famiglie monogenitoriali intercettate con la ricerca mostrano una diffusa attitudine a funzionare come un “microcosmo autosufficiente”, limitando le richieste di sostegno esterno e valorizzando al massimo le risorse interne al nucleo, ad esempio responsabilizzando i figli maggiori.
Per quanto concerne specificamente, lo stretto legame tra la diffusione della monogenitorialità e il fenomeno della povertà infantile (child poverty), messa in luce dalle principali fonti statistiche, le testimonianze raccolte consentono di delineare un quadro complessivo che non è quello di un’infanzia gravemente deprivata, quanto piuttosto quello di una vulnerabilità derivante dall’esposizione alle condizioni di debolezza dei nuclei di appartenenza: a questo proposito pare di poter affermare che il gravoso accumulo di lavoro professionale e familiare e l’assenza di un adeguato sostegno pratico ed emotivo risultano altrettanto determinanti rispetto alla fragilità economico-reddituale.
Quali indicazioni e suggerimenti emergono dalla ricerca che possono aiutare chi si trova a vivere questa condizione familiare e genitoriale e indirizzare chi è chiamato a sostenere con politiche e progetti queste famiglie?
La ricerca si proponeva in particolare di fornire spunti e sollecitazioni alle organizzazioni di volontariato e ai responsabili delle politiche per qualificare il proprio contributo alle condizioni di vita delle famiglie monogenitore, in particolare quelle con figli minori. Riferisco di seguito le principali indicazioni emerse a questo proposito.
Nel nostro paese il lavoro costituisce la principale fonte di reddito per i genitori soli; in Italia, le madri sole risultano occupate in misura assai più elevata delle donne in coppie con figli e ciò a fronte di un tasso di occupazione femminile tra i più bassi d’Europa. Non si tratta quindi in sé di promuovere e favorire la partecipazione al mercato del lavoro (come nelle paradigmatiche esperienze anglosassoni di welfare to work) quanto di rendere più stabile e redditizio il lavoro (make work pay). Si tratta peraltro di contrastare il rischio di traiettorie professionali discendenti, tramite la messa a punto di dispositivi di integrazione del reddito e l’offerta di risposte ai problemi di conciliazione famiglia-lavoro, con particolare riferimento all’offerta di servizi socio-educativi per la prima infanzia e alla valorizzazione delle risorse informali presenti nel contesto territoriale.
Un’ulteriore pista di lavoro riguarda l’attivazione di reti sociali “di fronteggiamento”, in grado di affiancare e sostenere i genitori soli nell’organizzazione della vita quotidiana e nell’adozione di soluzioni di cura dei figli minori piuttosto che di anziani o di persone non autosufficienti. A questo proposito, gli operatori dei servizi pubblici e privati possono svolgere un ruolo decisivo di individuazione, attivazione e coordinamento delle risorse sociali presenti nel territorio di riferimento. L’esercizio di questo ruolo presuppone peraltro la costruzione di una relazione di fiducia con i genitori soli, che consenta di scongiurare il rischio di un ripiegamento, che potremmo definire “autarchico”, sulle risorse interne al nucleo monogenitoriale, e di una conseguente, ulteriore fragilità e deprivazione.
Accanto a figure professionali con un ruolo di guida, estremamente opportuna pare poi la mobilitazione di volontariato individuale e organizzato, soprattutto ad integrazione dell’apporto dei servizi educativi per l’infanzia. La presenza di figure che, anche occasionalmente, affianchino e sostituiscano i genitori soli negli impegni di cura pare di particolare utilità nel tutelare equilibri organizzativi e formule di conciliazione precarie e gravose, così come nel compensare parzialmente l’acuto deficit temporale che affligge i genitori soli.
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