STORIE

Mario • In panchina

scritto da Mario Ci.

Sulle saracinesche di un mercato di Roma, gli abitanti del quartiere hanno potuto disegnare quello che volevano. C’è una gran varietà di disegni, alcuni un po’ infantili, altri molto curati, comunque decisamente belli. Un giorno uno di questi mi aveva colpito, ma senza dirmi subito il perché.

Quando mi capita di imbattermi in queste sensazioni sento che si fa viva qualche parte un po’ ingarbugliata e mi viene una gran voglia di andare a vedere che parte è. Il disegno era molto semplice. Raffigurava una donna seduta su una panchina, uno sguardo un po’ perso nel vuoto, fisso in un avanti, scaraventato ben oltre quella panchina lì. Alla spalliera della panchina era appeso un palloncino rosso con sopra la scritta ‘love’.

Voi penserete che io mi sia immaginato di sedermi su quella panchina, prendere il palloncino, porgerlo alla fanciulla, darle un bacio e poi farlo volare via in un romantico finale in cui ci si innamora di nuovo e si parte per una nuova storia d’amore… e invece no. Manco per niente. Non è questa la suggestione arrivata casualmente alla mia zucca. Infatti io non sono affatto colui che entra nel disegno e cambia le cose, io sono già nel disegno e non è previsto che arrivi nessuno. Sono lì, seduto su quella panchina con il mio palloncino e lo sguardo scaraventato.
Quella donna sono io!
Beh, mi rendo conto che a questo punto penserete che si parli di generi sessuali, omosessualità o affini. Sotto qualche aspetto vi ci avvicinate pure, ma siete comunque su una strada sbagliata. Io sono un uomo e non desidero essere donna, casomai voglio essere Uomo.
Questa U maiuscola è un po’ aggressiva, me ne rendo conto, ma dategli un po’ di tempo, magari poi si spiega con parole sue e alla fine forse vi risulterà meno fastidiosa.
Ma andiamo avanti.
frontale-2-765x1024Ero sul motorino quando ho visto quel disegno, faceva freddo e sono ripartito veloce, portandomi dietro quello che c’era da prendere.
Due giorni dopo sto aspettando mia figlia fuori dalla palestra. Io ho tre figli e sono separato. Lo sono da un po’, ma non da abbastanza per aver costruito una montagna di inutili motivazioni, valide solo ed esclusivamente per me, che diano un senso all’accaduto. Diciamo che ci sto lavorando.
Là fuori ci sono tante mamme e alcuni padri (notate la differenza, non è un errore, è il modo con cui veniamo chiamati: le mamme, i padri), fa sempre freddo e io cammino avanti e indietro perché fermo non ci so proprio stare. Guardo i miei colleghi di attesa e noto qualcosa di familiare. Forse familiare non è proprio il termine esatto, ma questa familiarità sta nel fatto che io quelle facce, quelli sguardi li ho visti talmente tante volte che ora iniziano a fare media, e che media! Diciamo la verità. Quelli che guardo sono soprattutto i volti e le espressioni della mamme. Sembrano statue di eroi della rivoluzione russa, fiere, altere, con l’altro figlio che rotola intorno, la merendina in una mano, il cellulare nell’altra accudito e accarezzato come un rosario e poi lo sguardo… assolutamente scaraventato altrove. Cerco di afferrare quello sguardo, però mi fa male, mi ferisce qualcosa che non so bene. Allora lo osservo con una specie di misericordia, un prodotto che sto imparando a spruzzare nell’aria quando si fa un po’ pesante e subito va meglio, lo posso continuare ad osservare. Quello sguardo è quello di una generazione (almeno quella nata tra gli anni Sessanta/Settanta) che ha fatto dei sogni, li ha realizzati ed ora sente che voleva altro, che forse ha sbagliato sogno oppure non lo ha saputo cavalcare ed è finita altrove. Comincio a pensare alle donne, a quante mi hanno detto la stessa cosa, oppure me l’hanno fatta capire, compresa la mia ex moglie. Sono tante, tantissime ed ognuna di loro ha scelto strategie di sopravvivenza diverse, ma l’incidente è quello, lo conosco benissimo: arriva l’amore, il tempo passa, si desiderano i figli e anche loro arrivano con le loro borse di pannolini e notti in bianco, poi crescono e ti spezzano la schiena ed insieme alla schiena anche una prima manciata di sogni, quelli esagerati. Poi, dopo un po’, ti scivolano via anche i sogni realizzabili, quelli a buon mercato. Alla fine ti ritrovi su qualche panchina ad aspettare tua figlia che esce dalla palestra e ti rendi conto che non è rimasto niente, neanche un sogno. E allora qualcosa non ha funzionato. Ma cosa? E poi soprattutto, a me, che sono uomo, cosa importa? Ecco che per la seconda volta mi trovo dentro panni ed emozioni riservate al genere femminile.
Il fatto è che io non sono mai riuscito veramente a suddividere il nostro agire in due categorie separate: uomini e donne. Non l’ho fatto non perché io abbia sposato la causa della parità dei sessi in termini di diritti civili e sociali, no, semplicemente non l’ho fatto perché io non mi sento schierato nel genere maschile. Cercherò di spiegarmi meglio.
Io credo profondamente di essere innanzi tutto un essere umano. Lo credo così tanto che essere maschio o essere italiano o essere romano mi sembra una connotazione solamente culturale, forse sotto alcuni aspetti istintuale, ma assolutamente non destinata ad una scelta di campo, ad una distinzione di ruoli o doveri. È sicuramente vero che il genere maschile e quello femminile hanno delle caratteristiche diverse, ma questo cambia di caso in caso, di persona in persona, a seconda della propria storia culturale ed educativa. La mia non è una posizione ideologica. È proprio il mio sentire più profondo. Io sento così. Ho tirato su i miei figli con questo trasporto ed ho fatto parte del nucleo familiare. Non ho “aiutato” mia moglie nell’occuparmene, io me ne sono occupato totalmente insieme a lei. Io sono stato vicino a loro quando mia moglie ha scelto di trasferirsi in un’altra città per due anni per lavoro (cosa ben più tipica per i maschi), io ho subito un tradimento da mia moglie nel più tipico dei luoghi di tradimento: il posto di lavoro. Io ho perdonato con la pazienza di Penelope che sa aspettare e conosce le debolezze di Ulisse (stereotipo). Io sono andato in varie fasi della mia età a cercare di conoscermi meglio facendomi aiutare da uno strizza cervelli. Io mi leggo l’oroscopo, faccio I Ching e so calcolare il piano astrale. Piango quando vedo i film. Amo il sesso fatto di dettagli e preliminari. Mi piace bere vino rosso con la carne alla brace. Mi guardo le partite di calcio in TV. Cosa è maschile? Cosa è femminile? È maschile il bisogno di fuga della mia ex moglie? È femminile il mio amore quasi sacrale per la famiglia? Le mie rinunce sul lavoro (tante) non rientrano tra le frustrazioni femminili solo perché io sono un maschio? Ci vuole coraggio a un uomo per dire, durante una riunione di lavoro, “scusate ma io devo andare via perché ho mio figlio a casa con la febbre”. Io ho vissuto istintivamente un’esperienza che sembrerebbe l’opposto di quella tradizionale. Se sono un nuovo genere contemporaneo, una sorta di uomo in trasformazione culturale, beh, questo mi piace, ma allora dico: diffondiamolo e sosteniamolo questo genere di uomo moderno. Donna moderna, si dice. E uomo moderno che roba sarebbe? Mi innervosisco un po’. Lo ammetto. Sono stufo di sentir parlare di faticoso cambiamento delle donne. Nella mia esperienza di vita e di famiglia il grosso del cambiamento l’ho fatto io, lasciando le sponde rassicuranti del ruolo certo e definito di maschio tradizionale con tanti rischi, sia affettivi che professionali. E non sono il solo. Siamo in tanti. Come sono tante le donne che si vogliono emancipare da un ruolo tradizionale che le ha umiliate per secoli. Quello che io rivendico è il riconoscimento dell’emancipazione dei sessi. Di tutti e due. Uno solo non basta! Non aiuta nel diminuire la violenza sia fisica che morale sulle donne, anzi crea distanza, conflitto. Due vagoni che vanno a velocità diverse. Occorre parlare di più di trasformazione culturale della coppia. Sarebbe un grande moltiplicatore culturale perché rappresenterebbe una spinta di entrambi i generi verso un obiettivo comune. Aiuteremmo molti uomini ad abbandonare lo stereotipo maschile senza sentirsi privi di un ruolo e così facendo affiancheremmo oltre che le donne, anche un bel pezzo di umanità che si troverebbe con meno violenza maschile e maggiore dialogo, tenerezza, scambio, sensibilità. E poi entrambi si sentirebbero sulla stessa barca, come dire, ispirati da un nuovo modello di convivenza per cui ognuno dà quello per cui è dotato. E forse le coppie durerebbero anche di più, visto che separarsi sembra l’unico modo per sfogare il proprio scontento.
frontale-2-765x1024 copia 2Se alcune donne stanno cambiando, cercano spazi, si confrontano con un mondo che corre, cercano di liberarsi da vincoli e stereotipi, beh, sappiate che lo fanno anche alcuni uomini, e lo fanno con coraggio e sacrificio. E non voglio sentir dire (da donne e da uomini) che gli uomini hanno paura delle donne perché sono cambiate e non sono più come un tempo, ma più toste e indipendenti… Questa è roba per telenovela, faccia della stessa vecchia medaglia del dualismo maschio- femmina. Se una strada vogliamo percorrerla è quella di imparare a sentire, sentire con tutti i sensi. Allora sarà inutile la contrapposizione. Vecchiume da buttare. Ci saranno sensibilità diverse e esseri umani in ascolto di loro stessi, fatti di tante azioni che per secoli abbiamo suddiviso in maschili e femminili. Lo dico anche come padre di due femmine e di un maschio. Lo dico pensando soprattutto a loro, che sono il futuro-presente.
Vedete, su quella panchina disegnata su una saracinesca non c’era una donna, c’era un’anima che chiedeva di avere compagnia, di sentire un armonia, un suono comune. Un bisogno che non ha sesso, non ha genere. È troppo universale per essere definito.
Ma a questo punto mi rendo conto di dover sgomberare il campo da un possibile gravissimo equivoco: il genere maschile e femminile ha un suo ambito in cui deve restare tale, quello dell’eros, quello per cui la natura ci rende attratti e innamorati, sia nel mondo etero che in quello omosessuale (che è anche lui natura). Voglio che il mio essere maschile si traduca in passione, corteggiamento, sesso, odore, muscolo teso, compenetrazione istintiva… Maschio per natura io mi sento, ma solo dove c’è natura! Dove il gioco dei sessi trionfa nel gioco e nel piacere. Allora, nella sessualità, quella libera e giocosa, nell’eros che ci attrae in un gioco di ruoli che è bello continuare a giocare, potremo essere o sentirci Uomo e Donna. Io personalmente sarò Uomo e quella U maiuscola non farà più paura a nessuno. E neanche più male.

autore

Mario Ci.

Libero professionista, papà di tre figli, separato.

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