STORIE

Nella buca di Erika e Diego

scritto da SF storie

Nella buca viviamo in due. La buca ha quattro spazi: quasi una sala unica divisa da muri sottili. C’è un bagno, una camera da letto, una stanzetta dei giochi, un salotto/cucina. La buca a me non piace. È vecchia, mobili e colori senza nessun gusto. In particolare odio il pavimento e le piastrelle di una tinta oscena tra l’arancione e il rosa. Odio il fatto che siamo di fronte ad un incrocio trafficato, smog e rumore d’auto a tutte le ore, odio le tubature marce. Mi manca un giardino dove far giocare Diego. Vorrei una terrazza. Odio lavare i piatti di fronte al divano e bollire le verdure con la scrivania a lato. Odio la muffa che avanza sui muri implacabile.

Diego non odia mai. Lui ogni tanto si arrabbia. Io spesso.

Nella buca sono entrata qualche mese prima della nascita del mio bambino. Quasi quattro anni fa, circa. Contro il parere di molti, ma allora sembrava più grande, conteneva più speranze, c’era più ordine e io avevo tanta energia.

La buca è al primo piano, due rampe di scale. Porta su le borse, i pacchi, Diego addormentato, e come apro la porta con lui in braccio? Smonta, rimonta, fai due giri, quattro… Le cose nella buca spesso si rompono, si guastano. La caldaia, la connessione web, un tubo, un mobile, sportello e lavello… una lotta impari con gli oggetti. L’attesa di una mano che arriva sempre dopo. Il lieve rimpianto di un uomo che servirebbe, pare, in questi casi…

Nella buca ci vengono a trovare la nonna (spesso), il nonno e lo zio molto di rado (non si fermano mai per più di mezz’ora), la zia Pat, che con eleganza si toglie le scarpe. A volte qualche amica. A volte. Nella buca si sta stretti. Può essere una scusa. Le grandi cene certo non si possono fare più. A volte è perfetta per le chiacchiere a due, l’ideale per dormire vicini, vicini e per fare camping sotto il tavolo.

Dalla buca si esce per andare a passeggiare, per andare a zonzo, per visitare i nonni, per giocare al parco, per prendere il gelato, per vedere qualcuno.

Diego esce per andare a scuola tutte le mattine… dove forse non è felice.

Io esco per andare al lavoro, ma sempre meno, non più e non certo tutte le mattine…

Io forse non sono felice…

Nella buca certe serate sono senza fine, i fine settimana interminabili. Solitari. Io e lui. Lui e io. Sbilanciati nel nostro stare insieme. Ci annoiamo, litighiamo, mi scappano dalle mani i concetti divertire e coinvolgere. A volte mi entusiasmo per una cosa alla quale lui risponde no, inesorabilmente. Io vorrei uscire, lui vuole stare in casa. Vorrebbe vedere la tv, come dai nonni. Imita i suoi supereroi…

Dalla buca scappo spesso col pensiero, quando lui dorme prendo fiato, sogno, rifletto. Quando posso, alcune sere riparo al cinema. Lui lo sa e con nonna dice che quando sarà più grande verrà anche lui al cinema con me. Sorrido. Una volta abbiamo provato, la versione animata del Piccolo Principe… è voluto uscire subito… Certo, avrei dovuto scegliere Masha e Orso e andare sul sicuro…

La buca non è nostra, siamo in affitto. Ad un certo punto spiegarlo a Diego ha messo in crisi le sue basi sicure, sempre chiedeva questo di chi è? E il divano di chi è? È casa nostra? È mia? Se non è casa nostra perché siamo qui? Ora sa che la casa è di Luca, ma è nostra finché ci siamo dentro e paghiamo dei soldini ogni mese. Non credo gli sia chiaro ma al momento si accontenta. Lui la chiama Casa. Per me è una Buca. Potrebbe benissimo essere una gabbia, una fossa, un pozzo, una tana, una grotta.

Certo ne abbiamo fatto un nido, si.

A volte tentiamo di abbellirla e decorarla ‘sta buca. Attaccati ovunque i disegni di Diego, su una porta abbiamo un albero di cartone, ho tinto un muro di rosso ciliegia e uno di verde salvia, nella stanzetta sulle pareti volano uccellini, sto preparando una tela con un porcospino enorme, pare porti fortuna. Nel bagno ci sono le foto di François Truffaut che gira sui tetti di Parigi, Antoine Doinel che vede il mare per la prima volta, Jeanne Moreau che fa il broncio, Anna Magnani che ride, Steve McQueen tra le rocce, Marilyn Monroe che fa ginnastica in costume…

I libri io li semino ovunque, Diego anche i suoi, di sicuro nascerà qualcosa. La polvere inutilmente la spostiamo. Spesso dentro la buca accadono esplosioni mirabolanti, giocattoli ovunque, vestiti, cartoni, scatole, piatti, fogli e pastelli, il vasino. La mia scrivania è un insulto al concetto di ordine.

La mia scrivania è un insulto al concetto di scrivania. Riusciamo a perdere cose in una stanza sola. Quando non c’è posto, gli oggetti li appoggiamo per terra. Per terra stiamo noi, ci rotoliamo sul tappeto. Stiamo a piedi scalzi, ci tiriamo i cuscini.

Nella buca non è mai entrato, ne mai lo farà, il padre di Diego. Lui vive a Madrid, in un appartamento abbastanza grande, la casa di uno scapolo piacente, artista film-maker intrippato di cinema e fumetti. Lui ha deciso di non riconoscere Diego. Non ha mai voluto incontrarlo, vederlo. Io però le foto gliele mando lo stesso. Non risponde ai miei messaggi. Ma li apre, questo lo so, forse li legge.

Non siamo mai stati una coppia, io lui l’ho desiderato tanto, lui invece era probabilmente annoiato. Io ho scelto di avere fiducia in uno sconosciuto. Lui ha scelto di rinnegare l’imprevisto, di rifiutare il fatto di avere un figlio da una donna che non ama. Ha avuto paura. Anch’io ho avuto paura. Con la paura io ci patteggio. Ho scelto di fare e amare. Anzi no, non si sceglie di amare, succede e basta. Lui ha scelto di scappare e ignorare. Oppure non so. Non so cosa ha in testa e nel cuore. Nella pratica ci ignora e basta. Non ci versa nessun aiuto. Una volta sola ci ha chiesto come stavamo. Ma non credo che gliene importi. Un anno fa aveva promesso di prendere un aereo per raggiungerci, voleva “sistemare le cose” e “farlo bene”. Non è mai venuto, va da sé. Ha senso ricordare ad uno che non lo vuole fare che comunque lo è padre? Ha senso darsi battaglia legale? I diritti, i doveri, le responsabilità, i rancori, le giustificazioni… Pensieri e decisioni fondi e melmosi come paludi…

Manca una base sicura. Mancano due braccia che ci contengano un po’, a noi…

Manca qualcuno gioioso.

Da quando sono madre non riesco a trovare un lavoro decente che mi permetta di vivere dignitosamente. Ho 44 anni e vivo praticamente a carico dei miei, in una costante lotta di potere e ruoli dove alla fine non esco mai dalla parte tuttora di figlia. Un fallimento di carriera, anzi un’infilata decisa di fallimenti… stage mal retribuiti, prestazioni occasionali, occupazioni amate ma senza futuro, ore al pc a scrivere e a credere nel potere delle parole, lavori saltuari come addetto stampa, come giornalista… Cosa sono? Cosa sono diventata? La professione mi da un’identità, una stabilità? Diego che lavoro fa la tua mamma?

Cosa risponderà quando lo chiederanno? Cosa risponderò io quando lui comincerà a chiedere? Quando comincerà ad aver bisogno di spiegazioni? Quando si chiederà perché lui non può andare al corso di batteria o a quello in piscina? Perché noi non andiamo in vacanza in montagna? Perché non posso avere questo o quello? Mamma, i papà cosa fanno? E il mio? Quando mi viene a prendere da scuola?

La fantasia, dovrò appellarmici. Sempre più.

La forza, dovrò averne tanta. Sempre più.

La stanchezza. Ne ho sempre più.

Nella buca c’è bisogno di larghezze. Sempre più.

In questi ultimi anni, non ho fatto altro che la mamma. Bene? Male? Io sono la mamma di Diego. Essere mamma è il mio centro, ma non mi definisce del tutto, c’è molto altro attorno, che ho perso per strada, che devo ritrovare, riprendermi. Che è ancora da scoprire… per essere quella “mamma sufficientemente buona” di cui parlano i testi di psicologia. Non posso più confinare questo bisogno solo al tempo che rubo a mia madre quando fa la baby-sitter. E non posso sentirmi in colpa per provare questa esigenza.

Non posso trasformarla in una zavorra sempre più ingombrante. Già nella buca si sta stretti…

Noi abbiamo bisogno di spazio per crescere.

 

autore

SF storie

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