Il discorso di Papa Francesco in occasione della prima udienza generale del 2022 ha suscitato non poche polemiche: sui giornali e sui social il suo “invito a fare figli” è parso – e tale inizialmente l’ho ritenuto anch’io, basandomi solo sui commenti – l’ennesimo, banale invito a procreare in merito al quale io per prima ho molto da obiettare, considerata la crescita della popolazione mondiale (e quindi non limitandosi a osservare, per esempio, solo l’andamento demografico italiano).
Un invito di questo genere, detto da chi ha un ruolo che dovrebbe essere “universale” (in quanto “cattolico), mi colpisce tanto più perché non ho figli biologici.
EPPURE MI SENTO MADRE
Sono infatti una madre “sociale”, sia nel senso che vivo e “cresco” ormai da otto anni con i figli biologici della donna che, cinque anni fa, è diventata mia moglie, sia nel senso di fare una professione che sento molto “generativa” e “materna”, quella della formatrice e della counselor.
Ho 67 anni; e la mia “rivoluzione copernicana” è avvenuta poco prima dei sessanta, quando, dopo una vita da eterosessuale e avendo alle spalle anche due matrimoni (con due uomini che, sono felice di dirlo, sono rimasti miei cari amici), ho scoperto di essermi innamorata di una persona che, incidentalmente, era una donna.
Con i miei mariti (sposati in realtà in entrambi i casi per una scelta legata proprio alla possibilità di “metter su famiglia”) i figli non erano arrivati. E pur avendone in certi momenti sofferto, mi sono sempre resa conto di non voler identificare il femminile con il ruolo di madre. Anzi, mi sono sempre sentita realizzata grazie alle mie scelte professionali e di vita, per quella che sono e non per i ruoli che ricopro.
Così, dopo aver fatto la giornalista professionista per circa 25 anni, svolgere oggi, dopo altri venti, una professione come quella della counselor, che mi permette di aiutare gli altri nel loro percorso di crescita personale, nella scoperta di talenti e valorizzazione di risorse, mi fa sentire e mettere in campo tutta la mia capacità di “maternage”. Con grande soddisfazione e appagamento. Così come dirigere una scuola di counseling – insegnando cioè agli altri a fare questa professione che amo tanto – è un’ulteriore fonte di espressione delle mie capacità genitoriali (in certi casi, non solo materne ma anche “paterne”).
Ecco perché gli articoli sulla stampa e, soprattutto, i post su facebook dopo il discorso di Bergoglio mi hanno indotto a verificare le sue parole. Ovvero, come sempre, è bene andare alla fonte. E chi volesse leggere tutto il testo dell’intervento di Bergoglio lo trova a questo link.
Mi piace, però, sottolineare qui che il testo, partendo da una riflessione su Giuseppe, il “padre putativo” (adottivo) di Gesù, si articola in realtà su ben tre sotto temi rispetto alla genitorialità, sui quali mi sembra interessante porre l’accento.
L’IMPORTANZA DI ESSERE GENITORI CONSAPEVOLI
Cioè la necessità imprescindibile di esserlo davvero, non solo per averli concepiti: “Non basta mettere al mondo un figlio per dire di esserne anche padri o madri” dice infatti papa Francesco, aggiungendo: “Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti”.
L’IMPORTANZA DELLA GENITORIALITA’
“La paternità e la maternità sono la pienezza della vita di una persona”, sottolinea Bergoglio, aggiungendo “Un uomo e una donna che volontariamente non sviluppano il senso della paternità e della maternità, mancano qualcosa di principale, di importante.”
E poi, con una osservazione che ha fatto storcere il naso a molti: “La gente non vuole avere figli, o soltanto uno e niente di più. E tante coppie non hanno figli perché non vogliono o ne hanno soltanto uno perché non ne vogliono altri, ma hanno due cani, due gatti (…) E questo rinnegare la paternità e la maternità ci sminuisce, ci toglie umanità. E così la civiltà diviene più vecchia e senza umanità, perché si perde la ricchezza della paternità e della maternità.”
L’IMPORTANZA DELLA GENITORIALITA’ NON NECESSARIAMENTE BIOLOGICA, OVVERO DELL’ADOZIONE
E questo, in realtà, è il punto centrale del discorso: “Se non potete avere figli, pensate all’adozione. È un rischio, sì: avere un figlio sempre è un rischio, sia naturale sia d’adozione. (…) Questo tipo di scelta è tra le forme più alte di amore e di paternità e maternità. Quanti bambini nel mondo aspettano che qualcuno si prenda cura di loro! E quanti coniugi desiderano essere padri e madri ma non riescono per motivi biologici; o, pur avendo già dei figli, vogliono condividere l’affetto familiare con chi ne è rimasto privo. Non bisogna avere paura di scegliere la via dell’adozione, di assumere il “rischio” dell’accoglienza.” E insiste: “Auspico che le istituzioni siano sempre pronte ad aiutare in questo senso dell’adozione, vigilando con serietà ma anche semplificando l’iter necessario perché possa realizzarsi il sogno di tanti piccoli che hanno bisogno di una famiglia, e di tanti sposi che desiderano donarsi nell’amore.”
Quindi l’invito di Bergoglio non è ciò che sui social è stato superficialmente riportato (fare figli tout court), estrapolando dall’intero suo discorso, ma mi sembra soprattutto un invito a una genitorialità più diffusa, più consapevole, più matura, e non necessariamente biologica. Sulla quale mi sento di essere d’accordo. Fermo restando, detto per inciso, che tra casa e studio abbiamo anche cani e gatti, regolarmente raccolti dalla strada o adottati dal canile.