STORIE

Valter figlio di smallfamily e padre single

scritto da SF storie

Mi chiamo Valter, con la V italiana. Sono un artigiano e un artista. Il mio sapere è istintivo, è tutto nelle mie mani. Con le parole non sono tanto capace. L’uso della parola per me è ridotto al minimo, all’essenziale. Credo nella semplicità, credo nello scambio genuino fra le persone, e con i miei figli, con cui ho vissuto solo in parte, ho un rapporto sincero, basato sulla confidenza. Noi ci diciamo le cose che, anche in questo caso, sono quelle essenziali, quelle che contano. Non ci nascondiamo nulla, e questo per me è come deve essere.

Io sono veneziano, nato nel 1954 e a poco più di vent’anni ho deciso di cercare un posto più sano dove vivere, per stare nella natura, nel verde, allontanandomi da quella zona di veleni in cui eravamo immersi.

La mia famiglia è veneziana, mio nonno aveva una bottega di ebanista a sant’Alvise e io sono cresciuto da piccolo con l’odore della colla di coniglio nelle narici, ma il mio babbo lavorava in banca così presto ci siamo trasferiti a Mestre.

Il mio babbo è morto molto presto, quando io avevo solo dieci anni. Eravamo tutti piccini, io e i miei tre fratelli; avevamo tra i nove e i tredici anni.

Mia mamma ci ha così cresciuti da sola e in parte la nostra vita è stata un po’ selvatica. Eravamo spesso per la strada. Lei è una donna straordinaria, fortissima, coraggiosa. Ma per mantenerci tutti doveva ammazzarsi di lavoro. Stirava e stirava. Stirava montagne di panni.

Io sono prima di tutto un artigiano e un artista, un artista credente.

Ho riscoperto Gesù e la Chiesa circa quindici anni fa. La frequentavo quando ero bimbo. Ero prima voce bianca nel coro di una chiesa di frati cappuccini dove della chiesa originaria sono rimasti solo due pezzi del Seicento e frequentavo le prove e cantavo insieme al mio babbo.

Lui ha sacrificato tutta la sua vita artistica per la famiglia. Avrebbe potuto fare qualunque cosa nell’arte, ma soprattutto nella musica, era un bravissimo cantante. Lui dedicava tutti i suoi momenti liberi alla famiglia, ma la domenica mattina la teneva per sé. Per ascoltare i suoi dischi e preparare la sua musica.

Io ero bravo, cantavo a memoria, ho sempre cantato a memoria e anche suono diversi strumenti tutto a orecchio. Mi sento come un gitano. Non ho mai studiato musica, ma suono.

Siamo tutti artisti in famiglia. Anche mia mamma. Ha un senso del colore straordinario. Una volta le ho messo in mano una tela e le ho chiesto di fare un quadro. Lei ha dipinto un vaso di fiori. Bellissimo. Non aveva mai preso in mano un pennello in vita sua.

Il mio lavoro viene prima di tutto. Ho sempre lavorato in modo istintivo, sono più o meno un autodidatta, e riesco a fare tutto con grande facilità. Ho sfruttato le occasioni che mi ha dato la vita. Dagli incontri con le persone più varie ho imparato tanto. Gli incontri mi hanno stimolato, arricchito, spinto a voler sperimentare in direzioni sempre nuove, sempre diverse.

Per alcuni anni ho vissuto a Sansepolcro e in quel periodo, nel vicino paese di Anghiari, si era formata come una sorta di comune. Persone di tanti paesi diversi, magari con figli più o meno della stessa età, condividevano spazi adibiti a botteghe, laboratori. Tra di loro c’era un liutaio, svizzero, e io, che ho sempre approfittato delle occasioni della vita, in quel periodo ho anche appreso un po’ della sua arte e mi sono costruito un dulcimer, uno strumento medievale che ancora conservo e che suono. Ha un suono meraviglioso, cullante. Nel periodo di Natale ho sempre suonato melodie natalizie per i miei figli con il dulcimer.

Nel corso degli anni ho frequentato anche alcuni corsi, ma credo che all’origine del mio lavoro ci sia proprio il mio legame profondo con la bottega del nonno, con la tradizione dei “mestieri” veneziani. Le mie mani è come se si muovessero in autonomia. Di fatto sono un artigiano, sono falegname, mobiliere, decoratore, doratore, laccatore, intagliatore, scultore ma amo soprattutto la pittura e l’uso del colore. La pittura è l’arte che mi definisce meglio.

La mia casa è dentro un piccolo borgo, in una frazione di Pennabilli, nella valle del Marecchia. E’ una casa antica, era parte di un monastero e nella mia casa ho ricavato una situazione essenziale, che va bene per una persona, al massimo per due. E’ su quattro livelli comunicanti con un sistema di botole, e ho ricavato due laboratori, uno sopra l’altro, dove posso fare cose diverse.

Ho l’attrezzatura da falegnameria in quello più basso mentre nell’altro ho l’attrezzatura per la pittura e la decorazione.

Sto bene nella natura, mi piace andare per boschi, mi piacciono le cose vecchie, gli oggetti della tradizione, non so che cosa sia un computer e mi piace tenere le cose della mia vita in ordine. E l’ordine inizia la mattina quando mi sveglio presto e salgo a piedi a Pennabilli dove arrivo, mi prendo un cappuccino e poi vado a cantare le lodi con le suore agostiniane del monastero di clausura. Iniziare la giornata con la preghiera per me è fondamentale. E’ essenziale per stare bene e affrontare quello che deve arrivare. Io vivo molto alla giornata ma posso farlo solo perché mi sono dato una mia regola interiore.

Quando avevo vent’anni circa ho lasciato Mestre insieme ad alcuni amici artigiani e ci siamo fermati sull’Appennino, all’Alpe della Luna, dove abbiamo vissuto circa tre anni facendo di tutto. Erano gli anni Settanta e la nostra vita era in fermento con i tempi; abbiamo vissuto in pieno quel momento di ricerca di altro, anche di evasione. Stavamo bene e lavoravamo. Allora lavorare era sicuramente più facile, c’era più movimento, più richieste e più occasioni.

Dall’Alpe della Luna ci siamo trasferiti nella zona di Sansepolcro dove ho conosciuto una donna con cui poi mi sono sposato e con la quale ho avuto un figlio. I miei amici si sono poi trasferiti in un’altra zona mentre io sono rimasto a vivere con lei e il bambino, Giacomo, in un casale in campagna.

Ho vissuto con loro per poco, fino a quando Giacomo ha avuto un anno e mezzo, e poi lei ha deciso di chiudere e se n’è andata. E’ tornata a vivere con i suoi genitori. Io sono molto rispettoso, sono una persona mite che cerca di andare d’accordo con tutti e ho cercato di mediare, mi sono sentito di proporle di provare a convivere in un modo diverso, condividendo la casa, nell’idea che poi magari le cose si sarebbero aggiustate, che l’entusiasmo sarebbe tornato, insomma avrei fatto un tentativo. Ma lei ha preso una decisione che è stata subito definitiva.

Mi sono ritrovato solo e di lì a poco ho anche iniziato ad avere dei seri problemi con dei nuovi vicini, che avevano una piantagione di tabacco e inquinavano la falda dell’acqua. Così, quando mi sono innamorato di una spagnola, ho deciso di partire con lei e ho vissuto con lei cinque anni in Andalusia. Poi le cose sono cambiate ma con lei il rapporto è rimasto bellissimo, ci sentiamo, ci vediamo.

In quegli anni ho visto Giacomo poco ma non ho perso il rapporto con lui. Sono sempre venuto in Italia a trovarlo, di tanto in tanto.

Quando poi sono tornato in Italia, i miei amici che si erano nel frattempo trasferiti nella zona di Pennabilli mi hanno proposto di tornare a vivere vicino a loro, in un ex monastero dove si erano sistemati, quasi una piccola comune. Così li ho raggiunti e a poco a poco ne ho sistemato una porzione e ricavato la mia casa, facendo i lavori tutti da me.

Ci ho sempre vissuto da solo fino quando, nel 2000, è successo che una donna con la quale ho avuto una breve relazione, è rimasta incinta. Nonostante la casa sia piccola e la situazione non fosse ideale, le ho offerto di vivere con me, tenendoci un piano a testa e convivendo da amici, non da coppia. Abbiamo vissuto insieme fino a quando mia figlia, Maria Teresa, ha avuto sette anni. E siamo stati bene. Ci siamo adattati.

Mia figlia io l’associo alla melagrana. Lei è nata così, bianca e rossa. E rideva, appena venuta fuori. Subito. Aveva i capelli già lunghi tutti ritti in testa, come una fiamma. Bellissima. Con la pelle chiara e nelle guance il rosso della melagrana. Gli occhi grandi. L’occhio è un mondo. Ci vedi dentro tutto il cosmo.

Lei è un po’ come me, come carattere, invece Giacomo è tutto diverso. È un sagittario, ed è proprio come una freccia, una persona diretta. Me lo ricordo che giocava da bambino con le oche, le anatre. Per definirlo gli darei un celeste con anche un po’ di rosso-violaceo.

Con mia figlia mi piaceva andare al fiume e mi piaceva insegnarle quello che conosco. La facevo disegnare, usare i colori. E lei faceva delle cose bellissime. Entrambi i miei figli hanno talento per l’arte, ma nessuno di loro sarà probabilmente un artista perché hanno mostrato molto presto una propensione per altro. Giacomo diceva sin da bambino che avrebbe fatto il carabiniere e così è stato. E’ Maria Teresa ama gli animali, frequenta la scuola di agraria, vive durante la settimana in un convitto di suore per poter frequentare la scuola, e vuole fare la veterinaria. Mi pare contenta. Credo che stia seguendo la sua strada vera.

Io penso che in effetti la cosa migliore da fare nella vita sia cercare di scoprire ciò per cui si è portati e seguire quella strada. E credo che questa sia la migliore eredità che io possa consegnare ai miei figli.

Quando Maria Teresa era ancora piccola una notte il mio babbo mi è apparso, in quel dormiveglia che non è sogno, ma che è presenza palpabile. Sorrideva e mi ha rassicurato, dicendomi che, dove stava, stava benissimo, poi mi ha chiesto: ma tu fumi ancora? Mi ha dato una sferzata, con grande affetto, con quel sorriso per cui mi commuovo ancora nel ricordarlo. Mi ha dato un pungolo, uno stimolo. Non so se sia stato solo quello, quel toccare con mano il rapporto tra noi e l’al di là, che è la vita, che è il senso della nostra vita, comunque io in quel periodo ho recuperato il mio rapporto con la spiritualità, ho ritrovato la via di Gesù.

La mamma di mia figlia che appartiene a una famiglia molto ‘rossa’ non è stata molto contenta del mio cambiamento in questo senso, ma pian piano le cose sono andate al loro posto. Le cose bisogna lasciarle andare per il loro verso, bisogna che vadano dove devono andare perché in quel modo si mettono a posto. Così anche con i miei figli, anche se le cose sono andate in un modo particolare e io non ho mai veramente vissuto con loro, né mi sono mai veramente occupato dell’aspetto pratico delle loro vite, loro sanno che io sono prima di tutto un pittore, un artista, un fedele di Cristo e poi sono il loro babbo. Loro lo sanno, lo capiscono. Mia figlia è anche una credente, non perché glielo abbia imposto io, ma perché di suo ha elaborato la sua fede. E con i miei figli ci capiamo. Non c’è bisogno di molto. Giacomo ad esempio, che sa di come io viva alla giornata, spesso si preoccupa di sapere se ho bisogno di un aiuto. Lo fa con discrezione, io a volte accetto, gli dico va bene, poi restituisco, un poco alla volta. Ecco. Così, semplicemente. Bisogna vivere seguendo il cuore, bisogna dare. E non bisogna approfittare degli altri. Questo è quello che ho soprattutto voluto insegnare ai miei figli.

L’essenzialità e la semplicità sono alla base dei miei rapporti, tutti, compresi quelli con loro.

Sono felice della mia vita con loro. Certo le loro mamme si sono fatte carico della loro educazione, della loro crescita. Devo dire che, non per giustificarmi, ma soprattutto nel caso di Giacomo, io avrei anche provato a continuare insieme, ma la sua mamma non ha voluto. Lei ha invece avuto bisogno di chiudere definitivamente con me. La incontravo necessariamente quando Giacomo era piccolo ma non appena è stato più grande, basta, non ci siamo più sentiti. Non la vedo da tantissimi anni. Nel caso di Maria Teresa è stato diverso. Questa figlia è arrivata proprio perché doveva arrivare, in modo sorprendente, e l’abbiamo accolta così, come ci è stato possibile. Credo bene.

Mi sento a posto, anche se, nel caso di Giacomo, un piccolo rimpianto c’è. Mi sarebbe piaciuto stargli vicino soprattutto i primi quattro anni, quelli in cui si forma la completezza del bambino.

Più volte nel tempo gli ho detto: scusa, sai Giacomo, ma le cose sono andate così.

È come con la musica. O con la fantasia. Se lasci andare le cose così come sono, alla fine funziona tutto.

Una volta, quando la famiglia era grande, si viveva tutti insieme, con i nonni eccetera, allora in tanti si sopperiva alle mancanze gli uni degli altri, c’era completezza. Ora è cambiato tutto, ma cosa ci possiamo fare? Ci siamo trovati tutti un po’scompaginati, ma non per nostro volere. È l’evoluzione delle epoche, della vita.

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