È come quando devo andare in piscina. Trovo sempre una scusa: il tempo, la voglia, non mi sento troppo bene, non ho voglia di preparare la borsa. In realtà so che non è così. E una volta che sono lì avrei voglia di tornare indietro. L’accappatoio, la doccia, le ciabatte, il lucchetto. Tutto pronto, tranne me. Quando sono a bordo vasca non è ancora fatta: il contatto con l’acqua, sempre troppo fredda, mi dà i brividi. È l’ultimo step, superato quello diventa facile: nuoto, nuoto, nuoto. Non uscirei mai.
Così è quando devo parlare di questa storia, la mia storia. Un sacco di menate, poi è più facile del previsto. Diventa tutto normale. Parlo, parlo, parlo. Non la smetterei mai.
Sono un papà separato, ho due figlie, Maria e Ester, di 7 e 9 anni, e ho scoperto di essere una “smallfamily”, che fino ad ora mica ci avevo pensato. Una smallfamily giovane che è da un anno o poco più che va così. Prima era tutto più semplice, c’era una casellina – famiglia – che mi diceva chi ero, quale posto avevo nella società familiare. Poi tutto cambia e sai solo quello che eri e che non sei più, ma non sai ancora quello che sarai. Ti sembra che tutto ti caschi addosso, anzi che il mondo che hai contribuito a creare non esista più. È destabilizzante. Cambiano le abitudini, cambiano i luoghi, cambiano le relazioni. Non ti riconosci. Per la mia compagna, dopo 10 anni, sono solo l’“ex compagno” cioè qualcosa che già nella definizione ricorda quello che non sono più. E per le mie figlie? Beh non per fortuna in quel caso non c’è nessuna nuova definizione da trovare: sono e resto il papà. Tra mille dubbi è questo che pensavo mentre facevo tutti i passaggi per una iniziare una nuova vita con loro. Sono il papà, sono il papà. Me lo ripetevo come un mantra mentre battevo le agenzie in cerca di casa, quando finalmente ne ho trovata una che mi piaceva, quando l’abbiamo ridipinta, arredata insieme. E quando finalmente abbiamo cominciato ad abitarla. Allora, solo allora, tutto quello che non vedevo è diventato evidente. La casa è più piccola, perché siamo una famiglia “small”, e va bene così. Con Maria e Ester abbiamo ritrovato vecchie abitudini (la colazione con i corn flakes il sabato e le corse al parco la domenica mattina) e ne abbiamo aggiunte di nuove (i viaggi in metro per andare a scuola, il calendario ben in vista con i giorni “di papà” e quelli “di mamma”). Agli amici di sempre – i miei e i loro – importa poco se siamo così o cosà. Alcuni sono già venuti a vedere dove viviamo, altri verranno dopo. Maria e Ester hanno appeso i loro disegni sulle antine dei mobili, chiedono a quelli che vengono a trovarci di fare un disegno poi lo appendono. Il soggiorno sta diventando una bellissima galleria.
Non so se quello che ho raccontato va bene, era quello che sentivo di dire e di condividere. Come previsto, quando comincio a parlare della mia storia, dalla mia famiglia, non smetto mai. Ora però mi fermo perché vado in piscina. Anzi, no. Un’ultima cosa vorrei dirla, vivo in un luogo bellissimo, Milano anche se spesso non è a misura di bambini e famiglia come vorrei. Quando penso a Milano come a una grande città la cosa un po’ mi spaventa, quando invece la immagino come una “small city”, quasi un paese dove ci si conosce e ci si aiuta, tutto chissà perché diventa più semplice. Vorrei fosse così per tutti. 😉