Prima che la mia amica Anna andasse da loro non conoscevo bene gli Yazidi. Il termine yazidi indica la religione islamica di un gruppo tribale curdo perseguitato, tanto da parlare di un vero e proprio genocidio, compiuto per motivi religiosi (vengono considerati politeisti e adoratori del diavolo e questa stessa interpretazione è fortemente strumentalizzata dai militanti dell’Isis che vedono in loro l’incarnazione del male) il 3 agosto del 2014 quando i combattenti del gruppo terroristico autodefinitosi Stato islamico dell’Iraq piegarono con la violenza la regione del Sinjar, nel nord dell’Iraq, territorio storicamente abitato dagli yazidi. Solo in quel giorno 3.100 yazidi furono uccisi, mentre 6.800 vennero rapiti. I loro villaggi si trovano nel Kurdistan iracheno e gli yazidi sono stati
“costretti a lasciare le loro case per rifugiarsi nelle caverne nel cuore dello Sinjar, la montagna che con loro è stata meno dura degli esseri umani.”[1]
Cosa c’entra questa storia con Smallfamilies, vi chiederete. C’entra. Perché parla prevalentemente di donne. Di donne madri che hanno subito di tutto.
Per esempio, dopo pochi giorni che è arrivata, Anna mi ha mandato con un whatsapp il disegno di una bambina di 8 anni profuga nel campo di Duhok. Mi ha scritto che la bambina ha gravi problemi di sonno e attacchi di panico. Purtroppo non possiamo divulgarlo, ma nel disegno la piccina si rappresenta protetta proprio dalla mamma (peshmerga, combattente curda, un esercito senza confini da difendere che utilizza tecniche di guerriglia e si batte, da sempre, per la propria terra. Terra che normalmente viene identificata con il Nord dell’Iraq, ma che in realtà comprende una zona più ampia del settore settentrionale e nord orientale dell’antica Mesopotamia e che include, pertanto, territori turchi, iraniani, iracheni, siriani e armeni. Un’altra particolarità che caratterizza i combattenti peshmerga è appunto quella di avere al loro interno, sin dall’inizio della loro storia, una nutrita componente femminile attivamente impegnata in prima linea). La mamma cerca di uccidere l’uomo cattivo dell’Isis disegnato con la barba. Davanti alla jeep della mamma c’è una specie di cassa con disegnate dentro tutte le sue amichette uccise.
A Duhok ci sono 25 campi con 250.000 profughi tra rifugiati curdi siriani e yazidi sfollati interni (un dato piuttosto impressionante se si pensa che la città di Duhok ha 240.000 abitanti!) Negli ultimi mesi i numeri stanno ancora aumentando a causa della guerra turca in Siria che spinge migliaia di nuovi profughi verso la provincia più vicina al confine con la Siria.
Alla fine del 2018 gli aiuti umanitari internazionali abbandoneranno il territorio e il governatorato della sanità deve organizzare un servizio sanitario sistematico soprattutto per i problemi di bambini, adolescenti e donne particolarmente traumatizzati dai Daesh (acronimo che denomina diversamente l’Isis ed è più sopportabile per gli altri musulmani -oltre a non contenere “islamico” dando l’accezione negativa a tale termine- per la sua pronuncia, che in arabo assomiglia a “colui che semina discordia”) perché fatti soldati e schiave sessuali (gli uomini sono stati uccisi oppure sono a combattere contro l’Isis). In particolare l’accanimento è naturalmente sulle donne che sono state violentate, messe all’asta e vendute, riempite di ormoni per evitare gravidanze oppure rese madri di bambini figli dell’Isis quasi mai accettati. I servizi sanitari di base devono lavorare molto e comunque hanno personale competente e buone attrezzature, il problema è che le donne traumatizzate censite sono almeno 6.000 e se ne stanno aiutando 1.300 circa.
Ecco come c’entra con i nostri temi che in questi territori sono resi così crudelmente scarnificati: donne che si occupano da sole dei loro bambini perché i padri sono scomparsi per combattere il nemico oppure perché prigionieri o uccisi oppure figli spesso avuti da uomini che non le hanno amate nemmeno per un momento, bambini nati prevalentemente da violenze.
Anna sta cercando di attuare un programma di formazione per gli operatori del luogo e dice che bisogna aiutarli a far crescere i germogli che hanno piantato con amore, che i curdi sono musulmani ma non combattono in nome di Allah bensì per la libertà e i diritti del loro popolo, un popolo che coltiva la pace e la tolleranza, dove le donne lavorano, sono dirigenti politiche e sanitarie, guidano le automobili… anche se devono fare ancora tanta strada, sono ancora vittime di discriminazione… soprattutto le donne come mogli e come madri, come donne sole. Ne è esempio il servizio chirurgico, che è offerto alle donne non sposate e fatte prigioniere dall’Isis per ricostruire l’imene, la verginità senza la quale sarebbero difficilmente riaccettate dalla loro comunità. Contemporaneamente, il governo curdo sta lavorando, in collaborazione con le autorità religiose, per combattere lo stigma di genere. C’è ancora tanto lavoro da fare ma anche tanto da imparare: queste donne, come Nadia Murad, candidata a Nobel per la pace e dal settembre 2016 prima Ambasciatrice Onu per la dignità dei sopravvissuti alla tratta di esseri umani, scampata a mesi di torture e abusi, rappresentata dall’avvocato Amal Clooney nell’azione legale contro i comandanti dell’Isis, ne è esempio per tutti.
Anna Pelamatti è stata fino ad un anno fa, prima della pensione, professoressa ordinaria di Psicologia, responsabile della Formazione Post Laurea Professionalizzante e direttore della scuola di specializzazione in Neuropsicologia. I temi di ricerca di cui continua a occuparsi sono la prevenzione e la diagnosi precoce in ambito infantile, in collaborazione con le istituzioni scolastiche e sanitarie. Da febbraio collabora con AISPO, Associazione Italiana per la Solidarietà tra i Popoli, che è una ong legata al San Raffaele di Milano, nata nel 1984 dalla volontà di alcuni operatori dell’Ospedale con lo scopo di portare cure e assistenza nei paesi in via di sviluppo. AISPO è proprio specializzata nella realizzazione di progetti di cooperazione internazionale in ambito sanitario e implementa progetti per combattere la povertà, l’ingiustizia sociale e le numerose malattie che colpiscono le persone più povere del mondo. Opera -tra gli altri- nel territorio della regione autonoma del Kurdistan (Iraq), su un progetto nel campo profughi Yazidi che si dedica alla salute mentale dei bambini e adolescenti della provincia di Duhoc dove Anna si è appunto recata e dove Aispo è presente dal 2013 e dove resterà nel futuro perché, assieme alla tedesca Giz, uniche organizzazioni che sono riuscite a gestire l’emergenza costante di questa popolazione a minoranza curda vittima di genocidio da parte dell’Isis.
Oggi oltre tre mila fra donne e bambini sono ancora nelle mani dell’Isis.
[1] D.Mikhail “Le regine rubate del Sinjar” Nutrimenti 2018
Fotografie di Linda Dorigo