Mia figlia Matilde compie 18 anni e sono immensamente felice per questo traguardo. Ma non è di lei che voglio scrivere bensì di me, di come ho attraversato questi anni in cui credo di aver provato, spesso in versione concentrata, tutti gli stati d’animo che è possibile provare: gioia, dolore, senso d’inadeguatezza, potenza, paura, dedizione, fatica, felicità, solitudine, sconforto, serenità, rabbia, orgoglio.
So bene che questa vita da equilibrista che soffre di vertigini, da sognatrice con i piedi ben inchiodati a terra, non è una mia esclusiva. Molti genitori possono dire che è stato-ed-è per loro lo stesso. Ma noi genitori unici, sappiamo di vivere tutto questo all’ennesima potenza.
Mi capita di incontrare mamme che sono all’inizio della loro avventura genitoriale in solitaria, che mi chiedono cosa e come fare; come dire al proprio figlio che il padre non c’è più o non c’è mai stato; come uscire dalla solitudine che per molte rischia di diventare isolamento, una vera e propria gabbia; dove e come andare in vacanza; a chi rivolgersi in caso di bisogno. E via discorrendo.
A loro sento di dire parole di conforto e non solo per spirito di sorellanza, ma perché so, vedo, che – e per fortuna – i tempi sono cambiati. I tempi stanno cambiando. Molte delle difficoltà che ho vissuto, dei vuoti che ho trovato attorno a me negli anni si sono attenuati, per fare posto a relazioni, opportunità, progetti, soluzioni, speranze.
Non ho mai amato dispensare consigli, preferisco raccontare la mia esperienza e lasciare chi mi ascolta fare delle mie parole ciò che vuole, se lo vuole. A me è servito molto rispecchiarmi nelle storie di chi ha vissuto una esperienza analoga alla mia; sapere che altre prima di me ce l’hanno fatta. Conosco bene il potere terapeutico del raccontare e del raccontarsi. Secondo la mia esperienza, le storie degli altri e delle altre aiutano a crescere.
Non ho mai letto i manuali del “perfetto-o-quasi perfetto”genitore (single e meno), perché non credo che crescere un figlio o una figlia sia come preparare il risotto o la torta della nonna, ricetta alla mano. Nei gesti della cura c’è ripetizione, sì, ma anche una buona dose di creatività e imprevedibilità. Chi ha a cuore il benessere di un altro essere lo sa bene.
Due libri mi hanno accompagnato nei primi anni da madre “anomala”: Mamma single con orgoglio. Come allevare da sola un bambino sereno e felice, di Alessandra de Vizzi e Una mamma e basta, di Francesca Pardi e Ursula Bucher. Ricordo il mio girovagare tra le librerie di Milano alla ricerca di libri che parlassero anche della mia smallfamily, ma gli scaffali erano vuoti e la frustrazione tanta. Potete immaginare quindi la gioia che ho provato quando ho incontrato questi due piccoli libri (il primo per me e il secondo, illustrato, per mia figlia). Le storie ci possono salvare; un libro ci può salvare, come una zattera che ti conduce in un porto sicuro.
Le parole di Alessandra sono state un toccasana:
… Per come la vedo io, un piccolo trucco magico c’è, e non è nemmeno tanto complicato. Cominciamo per esempio a non sentirci in colpa, proviamo a semplificarci la vita, a non cedere alle trappole dell’autocompiacimento… Focalizziamoci su quello che sappiamo fare bene e ricordiamoci che l’obiettivo deve essere VIVERE BENE, noi e i nostri figli”. Queste parole le ho fatte mie, come un mantra, da ricordare sempre, accanto alla frase trovata nel piccolo libro illustrato: “…ma tu perché non hai il papà? E Camilla risponde: – Perché io ho una mamma e basta”.
Ci sono stati momenti in cui mi sono fatta aiutare. La prima volta è stato quando mia figlia mi ha chiesto, appunto, perché per lei un padre non c’era. Decidere di raccontare la verità e trovare le parole adatte a una bimba di pochi anni, per spiegare il motivo di questa assenza e delle scelte che l’hanno determinata, ha richiesto un grande sforzo. Un coraggio e una sincerità che nel tempo si sono rivelati un dono prezioso, che ci siamo fatte.
Ho imparato sulla mia pelle che non bisogna mai avere timore a chiedere aiuto. Farsi aiutare non è segno di debolezza, al contrario: nel chiedere aiuto già mi sto aiutando.
I momenti di isolamento che ci sono quando hai figli piccoli (e sei sola), e che in certe occasioni rischiano di farti mancare il respiro tanto sono opprimenti, ho cercato di contrastarli cercando la compagnia degli altri e delle altre. Altre persone, altre famiglie, non necessariamente simili alla mia. Essere parte di una rete di affetti che si allarga sempre più, includendo e non escludendo, disegnare attorno a noi una grande famiglia che va al di là dei vincoli di sangue, ci ha permesso di sentirci sempre a casa. Di amare ed essere amati. Di “fare tana”, ovunque.
Ho cresciuto mia figlia nella consapevolezza che esistono al mondo tanti tipi di famiglia e che non c’è una taglia migliore o più giusta delle altre. Devo confessare che, su questo fronte, non ho fatto molta fatica: i nostri figli e figlie hanno la testa e il cuore molto più liberi dei nostri. Siamo noi ad avere pregiudizi; ad erigere muri ovunque, non loro.
A scuola non sempre è stato così scontato veder riconosciuto la nostra condizione di smallfamilies. Ricordo ancora i laboratori sulla genitorialità programmati dalla scuola media di mia figlia dove, le psicologhe animatrici del gruppo genitori, proprio non riuscivano ad uscire dal modello familiare madre-padre-figlio con “buona”, si fa per dire, pace di chi come me continuava ad insistere che “no, alla simulazione della coppia di genitori che litiga sull’educazione del proprio figlio ribelle non voglio partecipare; il ruolo del padre proprio non lo voglio fare, neanche per gioco”. La mia ribellione non è stata però compresa. All’interno del mondo della scuola, infatti, c’è ancora molto da fare in tal senso. Nonostante l’esistenza di tante tipologie familiari, questo tema (le famiglie e non la famiglia) resta un tabù.
In questi diciotto anni abbiamo vissuto moltissimi momenti felici nei quali siamo state solo noi due. Insieme, abbiamo scoperto città e Paesi, sperimentato il piacere del viaggio. Certo, con tutti i limiti di una cultura, parlo soprattutto di quella italiana, che ancora non prevede “sconti famiglia” ai genitori single e ai loro figli, e neppure servizi dedicati a noi. Ancora ricordo un viaggio allucinante in autostrada (io alla guida, lei sul suo seggiolino) e non solo per i chilometri da percorrere, ma soprattutto per l’impossibilità per me di andare in bagno, perché allora non c’erano nei bagni degli autogrill i seggiolini per bebè che ora invece si trovano con facilità. Il problema di dove lasciare, e a chi, mia figlia non trovava soluzione, almeno in quel luogo.
“Condividere” è stata, ed è, la mia parola-chiave. Dà senso alle mie esperienze, piacevoli e dolorose che siano, errori compresi; è l’antidoto alle mie paure. Condividere storie ed esperienze aiuta. Con questo spirito è nata l’associazione Smallfamilies©: un desiderio che si è trasformato in realtà; un altro dono prezioso che l’esistenza mi ha concesso. E con la nascita dell’associazione, grazie a tutte e tutti coloro che partecipano, ho/abbiamo potuto piano piano creare una rete di supporto e anche dare seguito alla mia convinzione che le storie degli altri e delle altre aiutano a crescere: insieme a Cinquesensi, un piccolo editore di qualità di Lucca, abbiamo dato vita a smALLbooks, prima collana di libri dedicata alle famiglie in trasformazione bastata su racconti in prima persona, testimonianze che offrono un caleidoscopio di storie formato smallfamilies.
Mia figlia Matilde compie 18 anni e sono immensamente felice per questo traguardo: buon compleanno mio piccolo grande amore.
Foto di Mavi Hetzer