Uno spazio ideale, dove casa e lavoro s’incontrano. Dove si può realmente essere flessibili perché, tra una telefonata e l’altra, tra una presentazione da finire e un progetto da portare avanti, si possono fare due passi, raggiungere un’altra stanza e stare insieme con i propri figli, che intanto giocano con altri bimbi sotto gli occhi delle educatrici. E dove si può anche risparmiare del tempo per faccende come il pagamento di bollette e il servizio di lavanderia, perché c’è qualcuno che le può sbrigare per noi. Questo è in sintesi Piano C, dove la C sta per coworking: condivisione del lavoro. Ma anche cobaby, grazie a una sala dedicata ai bambini e, naturalmente, community.
Piano C ha aperto i battenti il 10 dicembre scorso a Milano, in via Simone D’Orsenigo: nato dall’idea di cinque donne, poi affiancate anche da soci uomini. Perché se è vero che il progetto è stato tagliato a misura di donna, non è vero però che sia chiuso agli uomini. “Abbiamo per esempio due papà” racconta Raffaele Giaquinto, community manager di Piano C “che hanno la possibilità del telelavoro. Ma anziché restare a casa, dov’è difficile lavorare se si hanno figli, preferiscono venire da noi: così possono conciliare l’esigenza di lavorare con quella di trascorrere del tempo con i propri bambini”.
E proprio per andare incontro a esigenze che cambiano col tempo, per esempio a causa della chiusura delle scuole, Piano C ha aperto uno spazio estivo all’Idroscalo, un grande parco a sud-est di Milano che offre la possibilità di sport a laboratori anche per bambini. Così, mentre i genitori lavorano, i figli possono divertirsi: i più grandi ma anche i più piccoli, grazie alle educatrici di Piano C. “Da settembre si tornerà invece tutti in via D’Orsenigo, con qualche novità” aggiunge Giaquinto: “Offriremo la possibilità di usufruire di un micro nido e, per andare incontro alle richieste di coworker e di aziende, amplieremo lo spazio dedicato agli uffici”.
Il modello, insomma, funziona ma siamo ancora lontani dai numeri che, potenzialmente, può raggiungere. I coworker “fissi” sono circa venti (contro i quaranta ospitabili in Piano C) ma molto maggiore è il numero che frequenta lo spazio occasionalmente o per partecipare agli eventi formativi aperti a tutti, come il primo soccorso pediatrico organizzato con la Croce D’Oro. La rete complessiva di Piano C, però, conta a oggi ben 1.400 persone che seguono ciò che accade negli spazi attraverso il web. “Nell’agenda sociale europea il coworking è ormai identificato come uno dei modelli organizzativi che migliorano la qualità della vita” conclude Giaquinto. “Ed è senz’altro uno dei sistemi per far aumentare l’occupazione femminile, che in Italia è ferma al 46% contro una media europea del 62%”.
Questione, soprattutto, di cultura: ma, ormai, sono questi i modelli ai quali sempre più donne (soprattutto) guardano per conciliare famiglia e lavoro. Certo, il coinvolgimento delle istituzioni aiuterebbe molto: e così il comune di Milano, primo in Italia, lo scorso maggio ha emesso un bando dedicato proprio al coworking, che copre fino al 50% delle spese.