Corpo Spirito Mente

Chi è il lupo cattivo?

scritto da Sergio Anastasia
<<Per essere ben osservata una legge, 
è bene che sia amata>>
J.J. Rousseau

Il Diritto di Famiglia sembrerebbe oggi diventato uno degli Istituti giuridici più rappresentativi della scollatura e del lento distanziamento che si sta generando tra le Istituzioni e le persone comuni. Lo si può notare dal come si sia consolidata la prassi di anteporre le questioni giuridico-contrattuali che definiscono il patrimonio, anche e soprattutto dinanzi al diritto inalienabile dell’individuo di affermare le proprie scelte di libertà, in materia di affetti e di relazioni amorose.

Per uscire da questa impasse, occorrerebbe ricordare che la separazione sia quanto di più difficile l’uomo o la donna possano affrontare, specialmente in alcuni momenti della loro vita. Qualcosa in cui il buon senso viene messo da parte, per lasciar spazio a dolore, angosce catastrofiche, rabbia, sentimenti ri-vendicativi.

Sulla base di questi sentimenti, le separazioni si trascinano in tribunale, ove viene affidato a un terzo la ipotetica risoluzione di probabili continui litigi, incomprensioni e difficoltà irrisolte che hanno preceduto la richiesta di almeno una delle parti di potersi separare.

Dinanzi a tali situazioni potenzialmente esplosive, il Giudice può fruire di strumenti che risultano solo parzialmente appropriati e adeguati: le indagini giudiziarie.

Eppure, al contrario di altre forme di diritto privato, penale, o commerciale (litigi tra condomini, o tra vicini, furti, rapine, insolvenze, fallimenti, etc), il diritto di famiglia ha un’evidente e marcata attinenza con “Fatti Psichici, Emotivi e Affettivi”, più che “reali”, accaduti nell’interazione tra due persone e, in particolar modo, all’interno di una difficile dinamica di elaborazione di un lutto.

Sappiamo come la fine di una relazione si caratterizzi per il desiderio di assumere sull’altra persona la maggior parte delle responsabilità, se non delle colpe del fallimento. È un meccanismo normale, legato anche a un iniziale sentimento di sopravvivenza a qualcosa di davvero troppo gravoso da affrontare, senza più neppure l’aiuto dell’altra persona, con cui si ha condiviso tante esperienze sino a quel momento.

Le reciproche accuse possono far sì che i “fatti psichici, emotivi e affettivi” intercorsi tra le parti, prima della separazione, siano difficilmente comprensibili e interpretabili a un occhio esterno. Anche perché il riferito delle parti risulta come amplificato da un altoparlante, attraverso il quale richiedere al giudice il riconoscimento di una presunta giustizia superiore.

In queste situazioni l’iter processuale rischia di non rispondere più al bisogno primario dell’individuo, ovverosia: il raggiungimento di un nuovo equilibrio il più possibile rapido, solido, funzionale ed equilibrato, di cui possano fruire anche gli eventuali figli nati dalla coppia.

Non essendo più possibile ristabilire una ragionevole corrispondenza tra le versioni dell’uno e dell’altra parte della contesa, accade più e più volte che il processo si tramuti in un’inevitabile e inconsapevole caccia al colpevole.

D’altra parte, la colpa e il conseguente risarcimento che ne consegue è sempre più divenuto l’elemento centrale di tutte le dispute tra gli individui. E nel diritto di famiglia questa prassi rischia di portare all’appiattirsi delle vicende umane sottese a quelle processuali, su dinamiche di indagine sui comportamenti, sulle attitudini personali e sulle modalità di svolgimento delle responsabilità dell’uno o dell’altro genitore.

Frequentemente, dopo che sia fallito ogni altro tentativo di ristabilire i “fatti” che hanno portato alla separazione, l’ultimo baluardo cui si appigliano i contendenti è proprio la presunta mancata capacità genitoriale del partner, sulla base della quale avanzare pretese di Giustizia e di Verità. Per rispondere a queste, Il Giudice non di rado si trova costretto ad affidare a un consulente esterno, il CTU (Consulente Tecnico di Ufficio), l’accertamento della veridicità delle reciproche accuse o mancanze manifestate dai contendenti.

Tantissime situazioni, dove la responsabilità individuale sarebbe stata sufficiente a determinare la cessazione di un conflitto sterile, inutile e persino pericoloso per la prole, si sono trasformate in materia oggetto di consulenza tecnica.

All’interno di questi iter processuali, gran parte delle volte, viene tolta la responsabilità alle parti coinvolte, considerate come incapaci e immature per poter risolvere un conflitto. A volte è così, altre volte, si tratta invece di normali conseguenze dei difficilissimi processi di elaborazione relativi alla fine di una relazione affettiva complessa e profonda, come quella che si viene a creare tra due persone, soprattutto quando tra di loro vi sono dei figli.

Spesso la via giudiziaria e la consulenza di ufficio (CTU), divengono la strada che viene percorsa per rivolgere ad altri pretese infantili, bisogni primitivi e desideri vendicativi, che nulla hanno a che fare con la capacità dell’individuo di essere genitore.

La risoluzione di una dinamica di questo genere sarebbe attuabile, restituendo responsabilità alle parti coinvolte, in primo luogo i genitori, per poi soltanto dopo passare agli avvocati e ai giudici.

Ammonimenti; registri degli operatori competenti; obblighi di formazione; radicale trasformazione della disciplina consulenziale; separazione netta tra le cause di divorzio ordinario e quelle in cui si presuppone la presenza di abusi o violenze, con discipline processuali differenti e anche normative differenti; sanzioni per i professionisti che abusino del potere loro conferito; obbligo di accordi pre-matrimoniali e tutto ciò che possa contribuire alla realizzazione di un sistema normativo, in tema di famiglia, orientato a una giurisprudenza solidale e individualizzata, piuttosto che normativa e centrata ancora su anacronistici presupposti patriarcali-maternocentrici.

Se è vero, come ci ricorda L. Carrol, in “Alice nel paese delle meraviglie”, che tutti noi cambiamo continuamente, anche durante la nostra stessa giornata, è vero anche che si possa e debba offrire al bambino, al giovane, la possibilità di muoversi all’interno di un ambito il più possibile ampio di scelte affettive e più in generale sociali.

Quanto più la famiglia è in grado di ri-organizzarsi sulla base dei mutamenti sociali e le prassi diffuse e condivise, tanto più la prole potrà godere di modelli di riferimento adeguati e formativi. Tanto più la famiglia resterà radicata a modelli sociali desueti e principi regolatori anacronistici, tanto più un figlio resterà disorientato, nel momento in cui si affaccerà nel mondo adulto, sempre impaurito dalla presunta presenza, nascosta da qualche parte, di un immaginario lupo cattivo.

Di tutti questi elementi, una società sana e sintonizzata sui cambiamenti in atto dovrebbe farsi carico, anche attraverso profonde modifiche dei propri istituti giuridici e legislativi.

 

* Illustrazione al post realizzata da Jessart   (instagram_contact: jessart83)

autore

Sergio Anastasia

Psicologo e psicoanalista collaboro con le Neuropsichiatrie dell’Infanzia e dell’Adolescenza degli Ospedali Policlinico e Niguarda di Milano. Mi occupo, come responsabile, del Centro di Comunicazione Aumentativa di Milano, di promozione della lettura ad alta voce, accessibilità per bambini e ragazzi della letteratura per l’infanzia, attraverso formazioni e laboratori nelle scuole.

lascia un commento