Chi ha detto che il brutto tempo possa essere una mezza sciagura? A me, ad esempio, ha permesso di percorrere Milano-Marsala in auto, ritrovando parte della mia vita. Altro che ritorno al futuro!
Mi sarei dovuto imbarcare a Napoli per Palermo, ma mentre cercavo sull’Appennino, sotto la pioggia battente, un percorso alternativo alla colonna infinita che bloccava l’Autostrada tra Bologna e Firenze, a causa del solito incidente, mi è giunta comunicazione sms che, per le pessime condizioni meteorologiche, quel servizio traghetti era sospeso per oltre 24 ore.
Ci mancava pure questo! Quando si dice piove sul bagnato…
Il tortuoso tratto di strada dell’Appennino tosco-emiliano mi ha permesso, quindi, di recuperare ricordi di gioventù che avevo smarrito in qualche curva della mia esistenza. In prossimità di quei boschi avevo campeggiato nelle estati del secolo scorso, in tende canadesi e con amici dell’oratorio, lo so, ho un passato discutibile, e avevo fraternizzato con indigene che si trastullavano nell’ozio.
A quel tempo ero solo un figlio scapestrato in cerca di guai. Il problema per i miei genitori era che essi, i guai, si lasciavano trovare facilmente.
Rammento che l’accordo era di una telefonata settimanale a casa per aggiornare sul mio stato di salute, sul fatto che mangiassi a sufficienza e che avessi ancora denaro. Che stessi bene era palese nel medesimo istante che telefonavo, che mi nutrissi adeguatamente era un atto di fiducia, e che avessi speso tutti i soldi nell’offrire da bere alle assetate autoctone, che bevevano come cammelli, non era neppure da dubitare.
Quella telefonata ogni sette giorni, comunque, mi sembrava un’imposizione asfissiante … e che diamine, un po’ di libertà, lasciatemi respirare!
Se penso all’ansia che mi assale adesso quando i miei figli non rispondono a uno degli innumerevoli messaggi che invio loro quotidianamente sul cellulare, mi sento in colpa sia per l’atteggiamento avuto da ragazzo con i miei genitori sia per quello ho, attualmente, come padre.
ça va sans dire!
Scendendo verso il centro Italia, le immagini del passato affastellano la mente per un motivo a me sconosciuto; evidentemente bisogna andare lontano per vedere meglio le cose che si hanno vicine. L’indicazione per Roma mi ricorda la prima grande marcia per la pace cui avevo partecipato negli anni dell’impegno giovanile. Eravamo un milione persone, provenienti da tutte le regioni, speranzose di migliorare il mondo e l’attuale terrorismo, crisi economica e disastro ambientale sono la conferma della nostra euforica propensione ai fallimenti.
Forse è meglio non dire ai ragazzi che tipo di pianeta gli lasceremo, ma, saggiamente, consigliargli di comperare una casa in montagna, così quando si alzeranno i livelli delle acque per l’innalzamento della temperatura si ritroveranno con un’abitazione vista mare.
Leggevo un articolo di giornale cui era esposta, in modo molto semplice, la tesi che la qualità della vita dei nostri figli non sarà mai più simile a quella che abbiamo beneficiato noi; purtroppo per loro le disuguaglianze sociali cresceranno, le libertà individuali si ridurranno e il lavoro sarà una chimera per molti, tantissimi; proprio come vincere un biglietto della lotteria.
E allora che fare?
Il giornalista non dava una risposta, e quando mai, fotografava solamente la situazione che si potrebbe palesare fra pochissimi anni. Un senso di angoscia mi assale e vorrei avere i ragazzi vicino; le chiacchiere e quel modo ingenuo di decifrare la società mi allietano sempre.
Parliamo di molte cose quando siamo insieme nei giorni cui vado a trovarli, e sovente mi domando se la gentilezza e la mitezza dell’animo che esibiscono non sia un ostacolo per loro quando dovranno rapportarsi con un mondo popolato di disperati arrivisti e spregiudicati sgomitatori disposti a tutto, anche ad apparire in programmi televisivi.
Forse dovrei insegnargli a essere cinici e opportunisti e non raccontargli di poesie che mi hanno emozionato e che loro considerano, prendendomi in giro, il nutrimento dei depressi.
Ok, però Kavafis non me lo toccate!
In prossimità di Napoli mi fermo per un caffè rigenerante, e qui vengo istruito dal barista dell’Autogrill, un ex dirigente delle assicurazioni, sulla differenza tra un ottimo espresso e la brodaglia dell’americano. La nobiltà partenopea!
Non concordo, ma lascio esporre la dotta tesi perché mi piace ascoltare coloro che discettano con eleganza su ogni cosa, approfittandone così per stare un po’ in piedi. Una delle critiche che muovo ai miei figli è che sovente nella descrizione dei fatti tendono a essere sintetici e a dar per scontate molte cose.
Loro si definiscono “essenziali” e criticano il mio modo di prenderla sempre molto da lontano.
Qui potrebbe aprirsi un dibattito infinito, ma io ho una meta da raggiungere e voi non avete del tempo da perdere.
Così, proseguendo sotto la pioggia, giungo sulla Salerno-Reggio Calabria rievocando la famosa frase del film Blade Runner: “Ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi…”. Evidentemente Hauer quando rimaneggiò il celebre monologo, molti non sanno che fu proprio l’attore a mettervi mano, non era stato ancora in Italia.
L’unica cosa che potrebbe darmi soddisfazione é il fatto che la minaccia di Daesh-Isis: “Siamo a sud di Roma”, non é imminente poiché se dovessero imboccare quell’Autostrada, avremmo ancora parecchio tempo prima di preoccuparcene.
Il viaggio verso l’ignoto, non sapevo, infatti, quando sarei arrivato, era un pretesto per portare alcune cose di un amico dalla sua casa del nord a quella del sud. La pioggia, il vento, la strisce a intermittenza dell’Autostrada e l’abitacolo colmo di masserizie sono una scusa per indurmi a uscire dal presente e pensare ancora ai ragazzi.
Viaggiavo in uno dei giorni cui sarei potuto stare con loro e un leggero senso di colpa mi torturava l’anima. Conoscevano la motivazione per la quale mi assentavo e per incoraggiarmi a non recedere dal proposito, si erano dichiarati felici al fatto che andassi in Sicilia.
Evidentemente volevano restare un po’ da soli…soprattutto a cena. Forse non ne potevano più di sentirsi domandare se era abbastanza ciò che gli avevo preparato da mangiare. L’ho già scritto una volta; siamo figli delle abitudini familiari.
Nella memoria, infatti, riecheggia ancora la frase che udivo ripetere dalle suore nella mensa della scuola che frequentavo, l’ho detto che ho avuto un passato torbido: “Ne vuoi ancora, alla tua età si ha una fame da lupi, dai prendine ancora…”, e senza attendere la risposta, le pinguine mi riempivano il piatto di sbobba disgustosa che, immancabilmente, donavo al ragazzo cicciotello della classe.
Chissà, magari è diventato una delle tante persone in soprappeso a causa mia.
Devo fare attenzione alle porzioni che servo nei piatti quando sono dai miei figli; è vero che stanno crescendo con un altro esempio davanti agli occhi, quella santa donna della madre, infatti, è perennemente a un passo dall’anoressia, così mi dicono, ma questa è un’altra storia.
Ad ogni modo, la promessa di tenerli aggiornati riguardo a ciò che avrei incontrato lungo il viaggio, mitigava appena la perplessità per la scelta che avevo fatto e che mi tormentava…ecco, sono qui in direzione del sole, del caldo e loro, invece, sono in balia del freddo e nella precoce oscurità della sera, senza che io sia lì a cucinargli qualcosa di buono.
Ma quando mai?!
Il sud annegava sotto uragani di piogge mentre il nord si rischiarava alla luce di un pallido sole, e il servizio di pizza a domicilio, di cui siamo accaniti divoratori, era ancora funzionante. Lo voglio dichiarare subito, così non ci sono equivoci: non siamo celiaci. E non abbiamo, per ora, allergie alimentari, quindi, per la moda imperante in questo periodo, siamo degli emarginati da guardare con sospetto. Mi rendo conto della provocazione che sto perpetrando; sto sfidando la tolleranza dei frequentatori di simili argomenti che è notoriamente pari a quella che esibiscono i praticanti religiosi nei confronti dei “diversamente credenti”: cioè zero. Il farmacista delle Colonne di San Lorenzo, luogo cui ho abitato per oltre dodici anni, nel millennio trascorso, esponeva una singolare tesi riguardo alla sopravvivenza della specie umana. Le medicine, sosteneva, aiutano a vivere a lungo rendendoci però più fragili; quindi, auspicava una selezione naturale. Solo i più forti e sani, a suo avviso, avevano il diritto di campare, per tutti gli altri…è stato un piacere conoscervi. Non commento una simile teoria, però non posso fare a meno di pensare che era propugnata dall’uomo che vendeva medicinali.
Qualcosa mi sfugge!
L’ho ripeto, in famiglia non abbiamo intolleranze alimentari e mangiamo ogni cosa sia commestibile, assoggettandoci unicamente al diritto ad avere gusti differenti, soprattutto riguardo alle pizze. E con tale sicurezza proseguo fino alla prima tappa: Cosenza. Qui ho la rivelazione di cosa significhi dimenticare.
Gli eventi prodigiosi accadono pure al sud. Giravo, infatti, per le vie del centro cittadino guardando con occhi curiosi un luogo che non avevo mai veduto.
Così credevo.
Poi, l’insegna che indica la direzione per il Teatro Rendano, sortisce l’effetto simile a un flash sparato all’improvviso nel buio del passato. Ero già stato lì nei miei primi trent’anni. La mia unica tournée teatrale mi aveva condotto a recitare anche in quel luogo, e ora la passeggiata notturna faceva riaffiorare volti che erano stati rimossi. E mi sono rivisto giovane, spensierato e incosciente, oddio, questo magari lo sono ancora. Come una stella cadente che solca il buio della notte, ecco apparire vivido il ricordo di un tavolino appartato in un angolo del ristorante, cui solitamente andavamo a cena noi, giovani attori, e Lei, la bella sconosciuta che mangiava da sola e che, allora, mi parve rispondere agli sguardi. Rammento che sfoderai tutta la mia “canagliaggine” per suscitare interesse. Strano a dirsi, ma ora che la memoria era tornata, quella sera mi appariva ben nitida. Fu una notte consumata a camminare per le strade del centro, raccontandole storie fantastiche, inventate di sana pianta, per cercare di fare breccia nel suo cuore, e non solo in quello.
Forse utilizzai anche frasi rubate qua e là da qualche monologo teatrale per impressionarla ancora di più, quando si è cialtroni si agisce da professionisti, ma nonostante i sorrisi, le occhiate languide e un paio di baci furtivi rubati nella penombra di un androne di palazzo, non ottenni nulla di più. Era catechista e, mannaggia, poco incline a lasciarsi abbindolare subito la prima volta, seppur molto lusingata dalle mie attenzioni e anche … assai incuriosita. L’alba ci raggiunse su una panchina, ancora avvolti nel ruolo di anime perdute che il destino aveva voluto far incontrare sotto quel cielo stellato, veramente era stato in un ristorante, ma non importa, avrei dichiarato qualsiasi cosa pur di beneficiare dei suoi “favori”.
Finì così com’era iniziata.
Quella stessa mattina Lei partiva per Siracusa, andava a conoscere la scuola dove avrebbe insegnato, e io per Lamezia Terme dove avrei ancora interpretato, indossando un pastrano di cuoio nero, il ruolo di un inflessibile commissario di polizia. Nulla di più distante dalla mia indole. Ad ogni modo, la bella sconosciuta non la vidi più e in quella notte molte virtù furono salvate, purtroppo. Quel ricordo mi riporta a mio figlio, il maggiore, e alla grande diversità delle nostre esperienze alla stessa età. Per me, a quell’epoca, tutto era una conquista, una ribellione davanti ai divieti e, soprattutto, un bruciare le tappe. Il mondo era lì, a portata di mano; andava solo afferrato e assaporato in tutti i suoi gusti, sia quelli dolci sia quelli discutibili. Lui, viceversa, pare essere indifferente ad accelerare il passo e con la calma degli ignari preferisce procedere nella fanciullesca spensieratezza. Ne abbiamo discusso più volte, ma niente da fare, non troviamo un minimo comune denominatore.
Pazienza.
Mi somiglia tanto, in molti aspetti, e gli voglio un bene dell’anima, ma temo che se non si libererà presto di alcune “catene psicologiche” che lo frenano, potrebbe scivolare, fra qualche tempo, tra la moltitudine d’infelici che deambulano tra un presente assai precario e un futuro ancor più incerto. Insomma, vorrei evitargli di fare la mia stessa fine! Intanto il messaggio della buona notte di mia figlia lampeggiava nello schermo del cellulare, posizionato sul silenzioso, da almeno trenta minuti, prima che mi accorgessi che aveva anche tentato di telefonarmi. Mia figlia, colei che, insieme al fratello, ha il potere di annullare qualsiasi preoccupazione possa palesarsi al mio orizzonte, m’inviava un saluto e io, per inseguire futili riflessioni…l’avevo mancato.
Non potevo crederci.
Non solo avevo il rammarico di non essere lì con loro, ma non rispondevo alle sue telefonate, e, cosa ancora più grave, nonostante mi sforzassi, non ricordavo neppure il nome della bella sconosciuta.
Di male in peggio.
Così, per tacitare la mia coscienza di genitore distratto le invio subito l’immagine del Teatro Rendano aggiungendo il commento che suo padre, cioè io, aveva recitato in quel luogo. Confidavo in un flebile spirito di orgoglio filiale. Nessuna risposta: evidentemente era già tra le braccia di Morfeo. Non mi rimaneva che provare allora con mio figlio, dopo aver pensato certe cose di lui, volevo “idealmente” essergli ancora più vicino.
Beccato.
La sua replica gentile, mi conferma quello che sospettavo da qualche tempo e cioè che avrebbe dovuto intraprendere la carriera diplomatica. Sempre misurato e attento nelle risposte, e non solo nei miei confronti, mi chiedevo quale potesse essere la sua vera opinione riguardo a me? Meglio non approfondire. I figli, come per i genitori, non si possono scegliere e più c’illudiamo di conoscerli e meno ne siamo certi.
Villa San Giovanni, il giorno dopo, mi appare soffocata da pesanti nuvoloni e riesco ad imbarcarmi all’ultimo minuto sul traghetto che sta per salpare.
La felicità é stampata sul mio volto.
Alla veneranda età dei datteri, infatti, attraversavo lo Stretto di Messina con l’entusiasmo di un giovane garibaldino che tornava sui propri passi per riconquistare la Trinacria.
Potevo forse esimermi, durante quel tratto di mare, dallo scattare foto con cellulare e inviarle a figli e amici, neppure fossi un novello Odisseo dinnanzi a Scilla e Cariddi?
Claro que no.
Non ho saputo resistere poi alla tentazione d’infilarmi alle spalle di un gruppo di asiatici in posa per la foto di rito e lasciarmi immortalare come fossi un loro connazionale.
Il solito italiota.
Se, rivista la foto, l’avessero eliminata, non avrebbero avuto più un ricordo di quel momento; in caso contrario entravo a far parte per sempre del loro viaggio.
L’idea di essere divenuto un clandestino in formato digitale mi eccitava; alla mia età ormai ci vuole poco.
La conquista di Palermo esigeva prima un pensiero a Capo d’Orlando, dove ha residenza un regista televisivo di cui ero stato l’aiuto, e poi una sosta a Cefalù per rifocillare anima e corpo.
Provo ancora un sentimento di riconoscenza nei confronti di chi fu molto paziente e assai comprensivo riguardo alla mia giovane età e all’inesperienza con cui mi gettai a capofitto in un mestiere fantastico: fare cinema.
Ho conosciuto personaggi che tuttora sono sulle prime pagine per film realizzati e premi vinti, e alcuni di loro, seppur sia trascorso molto tempo, sono certo che, incontrandomi, saprebbero riconoscere il ragazzo cui avevano confidato speranze, paure e progetti, quando si usciva insieme a bere qualcosa nei vari locali di Brera.
Eravamo, come l’iconografia prevedeva, giovani, belli e dannati, oltre a possedere un alito pesante il giorno dopo la sbornia.
Il mio essere volubile mi ha condotto infine altrove, ma è meglio fermarsi qui; il resto sarebbe inopportuno.
La passione per il cinema però l’ho trasmessa ai miei figli, almeno quella, e adesso sono esigenti fruitori di buone pellicole.
Spesso ci confrontiamo su trame e dialoghi e alcune volte scherziamo, mettendoci alla prova, citando battute famose o per pochi intenditori.
Ma la bontà del pranzo a Cefalù m’induce al presente e alla mia poca propensione per il pesce.
Non amo il suo gusto, lo ammetto, e questo è un limite che ho trasmesso a mia figlia.
Immagino i salti di gioia della madre che invece si nutrirebbe solo di quello.
Il menù offre alternative, anche per i non celiaci, evviva, qui non siamo discriminati: busiate condite in un sugo la cui ricetta è tramandata dal 1600, coppa di vino locale, cannolo siciliano e malvasia superlativo, oltre al famoso caffè americano.
Ho lo spirito estasiato e vorrei fermarmi in questa località per il resto della vita e cantare le lodi del cuoco a tutti i turisti che dovessero transitare, poi il conto finale che mi porge la sorridente cameriera mi riporta alla cruda realtà.
C’è sempre un prezzo da pagare nella vita.
Meglio ripartire.
Troverò conforto a Marsala, dove so attendermi un amico molto bravo a condire la mozzarella; vi sbriciola sopra grissini col sesamo e vi aggiunge olive greche.
Ma si, i piatti semplici, infine, sono i più buoni, me lo ripeto ad alta voce nella speranza di convincermi.
Il pensiero di cosa, nel frattempo, avrebbero mangiato i ragazzi mi tormenta fino a Palermo.
Se ci fossi stato io il problema non si poneva, carboidrati a mezzogiorno e proteine la sera.
Essendo da soli, la madre era in studio a lavorare, ero certo che avrebbero fatto di testa loro: wurstel di pollo e basta.
Una telefonata è bastata per confermare le ipotesi.
Mio figlio non era rientrato a pranzo preferendo restare in università e mia figlia, sempre allegra al telefono, quando una verifica scritta le andava bene, mi risponde a monosillabi.
Come non detto.
Però come pronuncia lei papo, non lo sa dire nessuno e io mi sciolgo in brodo di giuggiole e prometto di condurla con me la prossima volta.
Per invogliarla ad accettare, la informo che non sarebbe stato necessario fare tutta quella strada in macchina, ma con un volo Rayanair in un’ora e mezza saremmo giunti a destinazione.
Com’era quel fatto che crediamo di sapere tutto dei nostri figli…?
Vengo a scoprire, a distanza di un anno, che l’ultimo volo preso con la madre, di ritorno dall’America, era stato burrascoso, tanto che le hostess avevano dovuto dare qualcosa a molti passeggeri, tra cui mia figlia, per calmare l’agitazione che si era diffusa; e da quel momento i ragazzi preferivano evitare l’aereo.
Non ero a conoscenza dell’episodio perché avevo rivisto i miei figli, l’anno scorso, qualche giorno dopo il loro rientro dalle vacanze americane e la cosa era passata nel dimenticatoio.
Meglio non commentare.
Palermo é già alle spalle e Marsala non è solo la mia destinazione, ma il destino; lo so, gioco sporco, ho parafrasato una citazione cinematografica.
Atteso come babbo natale che porta doni, sono accolto affettuosamente dal mio anfitrione, e seppur la macchina sia colma solo di lampadari, poltrona a righe e tessuti per tende e libri, ai suoi occhi appare gradita come la slitta trainata dalle renne.
Ho giusto il tempo di scaricare il contenuto dall’auto, di farmi una doccia calda, e poi via a salutare gli amici del posto.
È bello tornare nei luoghi cui ti conoscono e ti accolgono con sorrisi e abbracci e ti offrono qualcosa da mangiare.
L’anziana madre di un amico, che era momentaneamente fuori casa per una commissione, si prodiga nell’offrirci ogni ben di dio.
Tentiamo di arginare quel flusso inarrestabile di cibo che potrebbe saziare un intero esercito quando, alla nostra ennesima supplica di fermarsi, ci sentiamo rispondere con una frase che mi riporta all’infanzia: “Ma i ragazzi come voi mangiano pure i sassi!”.
Non è possibile!
Me la ripeteva mia nonna e io mi ci arrovellavo all’idea di come facessero a masticarli.
Beata ingenuità.
Con l’amico presente ci scambiamo uno sguardo d’intesa, la vegliarda sa il fatto suo, indora la pillola chiamandoci ragazzi.
All’apparire del piatto di pasta fumante, fatta in casa, mi sorge spontanea un’idea…madame, mi scusi, non posso proprio, sono celiaco…
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claudio barbagallo – barbecoq