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Donne e violenza. Come chiedere aiuto. Chi contattare

scritto da Laura Lombardi

Omicidi in ambito familiare o affettivo, così li definisce l’Istat. Nel 2019 costituivano il 27,9% del totale degli omicidi di uomini, ma ben l’83,8% del totale degli omicidi di donne.

In un altro passaggio del report dell’Istat uscito a febbraio 2021, si legge inoltre che: “per le donne la situazione si è però ulteriormente aggravata nel primo semestre 2020. Gli assassini di donne sono stati pari al 45% del totale degli omicidi, contro il 35% dei primi sei mesi del 2019, e hanno raggiunto il 50% durante il lockdown nei mesi di marzo e aprile 2020. Le donne sono state uccise principalmente in ambito affettivo familiare (90% nel primo semestre 2020) e da parte di partner o ex partner (61%).”

I dati Istat sulle chiamate al numero verde antiviolenza 1522 (promosso e gestito dal Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio) evidenziano inoltre che nel periodo marzo – ottobre 2020, ossia durante la pandemia da Covid-19, il numero delle chiamate valide sia telefoniche sia via chat è notevolmente cresciuto rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+71,7%), passando da 13.424 a 23.071.

In uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblicato agli inizi di marzo 2021 si legge, in sintesi, che, nel mondo, una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale da parte di un partner maschile, marito, compagno o fidanzato.

Questo tipo di violenza, attuata da mariti o partner, è quindi la più diffusa e riguarda circa 641 milioni di donne sebbene solo: “il 6% delle donne a livello globale riferisce di essere stata violentata sessualmente da qualcuno che non era il marito o il partner. Considerando l’elevato livello di stigmatizzazione e la scarsità di denunce degli abusi sessuali, è probabile che la cifra reale sia significativamente più alta”.

woman raised her hand for dissuade, campaign stop violence against women.

Lo studio dell’OMS ha analizzato i dati pubblicati tra il 2000 e il 2018, riguardanti 161 paesi, i quali  non includono quindi il periodo della pandemia di COVID-19, ma in un passaggio dello stesso studio si legge che la direttrice esecutiva delle Nazioni Unite Phumzile Mlambo-Ngcuka ha dichiarato: “sappiamo che i molteplici impatti del COVID-19 hanno innescato una pandemia ombra di crescita di segnalazioni di violenze di ogni tipo contro donne e ragazze. Ogni governo dovrebbe adottare misure forti e proattive per affrontare questo problema e coinvolgere le donne nel farlo”.

E ancora nello stesso studio viene riportata anche una dichiarazione di Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS: “La violenza contro le donne è endemica in ogni paese e cultura, causa danni a milioni di donne e alle loro famiglie, ed è stata esacerbata dalla pandemia COVID-19, ma a differenza del COVID-19, la violenza contro le donne non può essere fermata con un vaccino. Possiamo combatterlo solo con sforzi radicati e sostenuti – da parte di governi, comunità e individui – per cambiare atteggiamenti dannosi, migliorare l’accesso a opportunità e servizi per donne e ragazze, e promuovere relazioni sane e reciprocamente rispettose.”

Ma governi, comunità e individui sapranno cogliere questo appello?

Che cosa occorre ancora fare e ribadire? Quanto dobbiamo ancora lottare noi donne?

Focolai di rabbia e proteste stanno emergendo in questi giorni in tante parti del mondo, tante donne sono scese in piazza in Australia, Messico, Regno Unito, per dire basta, per ribadire che violenze di genere, molestie, abusi, femminicidi non sono più tollerabili, per esprimere indignazione contro i governi accusati di sminuire il problema, addirittura di screditare le donne, di non sostenere chi ha il coraggio di denunciare.

Senza dimenticare che le donne sono anche le prime vittime economiche della pandemia, specialmente se si tratta di donne con figli a carico. Oltre il 50% ha visto diminuire le entrate e peggiorare la propria condizione finanziaria negli ultimi dodici mesi, come rileva l’indagine “La condizione economica femminile in epoca di Covid-19” realizzata da Ipsos per WeWorld, organizzazione italiana indipendente attiva in 27 Paesi, compresa l’Italia, con progetti di Cooperazione allo Sviluppo e Aiuto Umanitario per garantire i diritti delle comunità più vulnerabili a partire da donne, bambine e bambini.

Ma proprio la situazione di lockdown, o semi lockdown, le convivenze forzate, il tessuto sociale disgregato, con gli effetti devastanti di solitudine, paura e diffidenza accresciute a dismisura, proprio tutto questo rende ancora più difficile chiedere aiuto.

È più che mai necessario essere vigili, attenti. Per una donna che per salvarsi dal compagno violento ha avuto la prontezza di chiamare la Polizia fingendo di ordinare la pizza, ci sono migliaia di casi in cui le donne non riescono ad avere voce e soccombono.

Proprio in questi giorni è diventato virale anche in Italia un video (Signal for Help) in cui viene diffuso un gesto di allarme inventato e codificato nell’aprile 2020 in Canada dalla Canadian Women’s Foundation. Quando una donna alza la mano, gira il pollice sul palmo e lo copre chiudendo le altre quattro dita, significa che è in pericolo. L’iniziativa canadese è lodevole, certamente, ed è auspicabile che la sua codificazione diventi universale, ma, attenzione, per ora non lo è. È invece molto importante sapere che facendo girare questo video si rischia di far credere che esista un protocollo di intervento anche in Italia.

Non è così, le nostre forze dell’ordine non hanno nessuna comunicazione a questo proposito, se la Polizia viene chiamata perché qualcuno ha visto una donna fare questo gesto non ha alcun dovere di intervenire, è una segnalazione come tante altre e sono i singoli  a decidere. Il rischio di far girare troppo questo video è che una donna veramente in pericolo pensi di mettersi al sicuro facendo questo gesto, ma non è affatto detto che accada.

Come segnala l’associazione D.i.Re “Donne in Rete contro la violenza”, è invece importante, in caso di emergenza, continuare ad usare i numeri utili 112 e 1522.

Per ricevere informazioni, cure, aiuti, ecco invece un elenco di Centri a cui è possibile rivolgersi:

  •  centri antiviolenza sul sito del Dipartimento delle pari opportunità:
  •  centri antiviolenza sul sito D.i.Re
  •  centri antiviolenza sul sito Differenza Donna: https://www.differenzadonna.org/centri-antiviolenza/
  •  telefono rosa antiviolenza e anti stalking 1522 
  •  mappa dei consultori in Italia
  • App 1522, disponibile su IOS e Android, che consente alle donne di chattare con le operatrici. E’ possibile chattare anche attraverso  il sito ufficiale del numero anti violenza e anti stalking 1522
  • App YouPol realizzata dalla Polizia di Stato per segnalare episodi di spaccio e bullismo, l’App è stata estesa anche ai reati di violenza che si consumano tra le mura domestiche
  • Pronto Soccorso, soprattutto se si ha bisogno di cure mediche immediate e non procrastinabili. Gli operatori sociosanitari del Pronto Soccorso, oltre a fornire le cure necessarie, sono tenuti a indirizzare la persona vittima di violenza verso un percorso di uscita dalla violenza
  • Farmacie, per avere informazioni se non è possibile contattare subito i Centri antiviolenza o i Pronto soccorso.
  • Telefono Verde AIDS e IST 800 861061 se si è subita violenza sessuale. Personale esperto risponde dal lunedì al venerdì, dalle ore 13.00 alle ore 18.00. Si può accedere anche al sito www.uniticontrolaids.it

 

Ben vengano iniziative di sensibilizzazione che possano contribuire all’emersione del problema, abbiamo bisogno di tutti i mezzi possibili. Rimane comunque il tema che oltre la situazione di emergenza contingente spesso le donne non sanno come proseguire il percorso e non trovano una presa in carico specializzata (…) Oltre a un segnale di richiesta di aiuto dovrebbero esserci risposte concrete, specializzate, da parte di tutti gli attori in causa come le forze di poliziala procura, la magistratura, i servizi sociali, le avvocate e gli avvocati specializzati sulla violenza e, naturalmente, i centri antiviolenza e le case rifugio, perché oggi in Italia il ‘Codice Rosso’ troppo spesso non risolve la situazione di violenza. A ogni iniziativa di questo tipo dovrebbero seguire risposte operative da parte di chi lavora specificatamente sul tema della violenza e che, per questo, sia in grado di affrontare tutte quelle dinamiche complesse che si verificano nel percorso a ostacoli di fuoriuscita. Altrimenti ogni iniziativa rischia di rimanere fine a se stessa”. (Simona Lanzoni, vicepresidente di fondazione Pangea Onlus).

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autore

Laura Lombardi

Scrittrice, con un passato televisivo. Coordinatrice dell’area culturale ed eventi. Madre separata di una figlia, sono curatrice, insieme con Raethia Corsini, del progetto smALLbooks. Per il sito scrivo per la sezione “Magazine” e “Diario d’Autori”. Condivido con Giuseppe Sparnacci il progetto “Riletture in chiave smallfamily”.

Sono nata nel 1962, scrivo e ho un’unica adorata figlia nata nell’anno 2000. Con Susanna Francalanci ho scritto alcuni libri per ragazzi pubblicati dall’editore Vallardi e il giallo Titoli di coda, per Eclissi editrice. Per parecchi anni ho lavorato come autrice televisiva, soprattutto in Rai, soprattutto con la vecchia RaiTre. Prima ancora c’era stato il periodo russo, quello in cui ho frequentato Mosca, l’Unione Sovietica e la lingua russa.Il canto, la ricerca attraverso il suono e la voce, il tai chi, sono gli strumenti privilegiati con cui mi oriento. Amo camminare, soprattutto nel silenzio denso di suoni dei boschi dell’Alta Valmarecchia, dove ho la fortuna di avere una casa che saltuariamente apro per ospitare incontri, corsi e altre iniziative: Croceviapieve. Vivo il progetto Smallfamilies come parte fondamentale del mio percorso evolutivo.

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