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Dopo l’amore, resta l’economia di coppia

Dopo l’amore è un film apparso di recente sul grande schermo. Come spesso accade un film si va a vedere anche per il passaparola. E poi si commenta tra amici. Noi (Laura e Raethia) lo abbiamo fatto scambiandoci opinioni via email dal martedì al sabato nei ritagli di tempo, una da Milano l’altra da Roma. Ed è venuta fuori questa anomala recensione scritta a quattro mani e due teste. Una recensione…mostruosa 🙂

martedì

Dunque dopo aver visto il film mi hai detto: «È girato tutto in un interno, praticamente, MA non è claustrofobico. È interessante, MA la storia è un distillato di realtà senza un intreccio particolare. Gli attori sono straordinari, bravissimi, le bambine stupende, MA non so se c’era la volontà di dire qualcosa sopra o sotto o dietro le righe, il cosiddetto messaggio o la cosiddetta morale. Non l’ho colto. Non mi pare. MA in ogni caso il film non mi è dispiaciuto, anzi. Non è male.»

Sulla scorta di questa tua premessa non troppo esaltante, sono andata a vedere il film in questione: Dopo l’amore. Ed effettivamente è proprio così. Un film dove una coppia con due bambine piccole, gemelle, sta attraversando una profonda crisi e il regista ci propone scene straordinariamente credibili di ordinaria tensione, incazzatura, ambiguità, disorientamento, di litigiosissimi e prevenuti tentativi di gestione dell’andamento della casa da separati in casa. In attesa di un’evoluzione legata al fatto che ci si deve accordare sul denaro. Quale sarà la parte di lui, che ha messo il suo lavoro nella ristrutturazione di casa mentre i soldi li ha messi lei? Come uscire dall’impasse? Come fare delle considerazioni equilibrate, sensate, oneste? Come tenere conto di tutto, in primis delle bambine? Come si può fare? Come andrà a finire?

E poi: ci si potrebbe riprovare? Azzerare il malanimo e rilanciare sul rapporto in forma diversa? Anche questo provano a fare i protagonisti, sebbene in modo approssimativo, senza una vera scelta consapevole.

Il regista belga Joachim Lafosse, tempo fa, ha dichiarato di credere nel valore della “rinuncia”. Ha detto che avrebbe fatto un film “commovente” perché tutti sappiamo che basterebbe poco per rimanere insieme. Basterebbe provarci con fermezza, decisi a rinunciare a qualcosa di individuale per salvare il bene duale che comunque c’è, sopravvive, è forte. Soprattutto quando si hanno figli. Non condivido. Non del tutto. Perlomeno non in termini astratti. – Laura

mercoledì

La parola rinuncia ha un sapore punitivo, preferisco “scelta”. Penso che per stare insieme – figli o non figli – serva un lavoro costante, la convinzione profonda della scelta fatta (sto con lui/lei) e ricordarsi, un giorno sì e uno no, due cose: la ragione profonda per la quale ci si è innamorati del partner e la sicurezza di potersi liberare in qualunque momento da una storia che non ci rispecchia più. L’idea di poterlo fare è fondamentale, ma c’è una frase che dice la madre della protagonista “una volta si aggiustava tutto: si rammendavano i calzini, si aggiustavano gli attrezzi invece oggi si butta tutto, non si cerca di aggiustare, neppure una relazione”. Credo che il cuore del messaggio sia lì, ma credo che stare insieme per proteggere qualcuno o qualcosa (i figli, i genitori, il denaro, l’immagine…) sia prima di tutto una bugia che si dice a se stessi e che, proprio per questo, sia scorretto verso chi si dice di amare, perché il rischio di coltivare rancore nei suoi confronti è alto proprio perché frutto di una rinuncia, non alla libertà tout court ma al proprio sentire più profondo. – Raethia

giovedì

In ogni caso si desume dalle parole del regista che il suo intento nel fare questo film era chiaro. Aveva un obiettivo. Che anch’io però non ho colto. Anch’io sono uscita chiedendomi che cosa avesse in mente quando l’ha scritto e girato. Anche per me è stato un: sì, MA. Più vicino al ni. Ma perché? Niente è più noioso della banalità del vivere senza accadimenti speciali, sogni o visioni? Ossia come i protagonisti? Niente è più noioso che parlare di soldi senza avere come controcanto sparatorie e gangster? Vado al cinema soprattutto per il suo valore d’evasione? Aiuto, no! Non è questo il punto. Tu che dici? Perché invece poi, alla fin fine, anch’io mi dico che film come questi hanno il loro valore e vanno visti? Forse per alcune persone vanno visti ASSOLUTAMENTE?? – Laura

giovedì sera

Azzardo e dico che in questo film intravedo due obiettivi suggeriti dal titolo originale L’economie du couple (L’economia della coppia): uno riguarda proprio l’aspetto materiale, del denaro, dei beni materiali che si condividono quando si fa famiglia e, inevitabilmente, diventano i protagonisti durante una separazione. In questo senso la regia sottolinea un aspetto sociale sempre più diffuso: l’uomo della coppia è disoccupato e la donna recrimina sul fatto che il marito non si impegna abbastanza per contribuire all’economia casalinga e questo alimenta scontento e acuisce (o diventa la scusa più evidente) la crisi. La seconda lettura/obiettivo suggeriti dal titolo è più nel senso di economia di qualcosa (di un’opera, di un progetto, di una famiglia, di una coppia) che in italiano come in francese, significa anche intelaiatura, orditura, organizzazione, ossatura, struttura: come a suggerire che una separazione affonda le radici nell’ossatura stessa, ossia nella ragione stessa per cui si è diventati coppia (false aspettative? illusioni? secondi fini?) e quando l’amore finisce (dopo l’amore, appunto) le basi traballanti emergono prepotenti. Infatti io mi sentirei di suggerire la visione del film soprattutto a chi è in mezzo al guado: crisi di coppia profonda, ma ancora incertezza sul da farsi; sensi di colpa per quel che non si è fatto, rimpianto per quel che si pensava poteva essere e ci sembra non sia stato… Vedere sullo schermo – come in uno specchio – tutte le bêtises (stupide cose) della quotidianità che ci portano a desiderare una separazione, quanto meno possono indurre a una riflessione ulteriore. Penso sia questo che, in ultima analisi il regista suggerisca. – Raethia

venerdì

Una cosa mi è comunque ben chiara. Ossia che se avessero avuto la possibilità di un consulto congiunto esterno, (gratis, perché lui lo propone anche, e lei risponde: chi paga?) di sostegno e di indirizzo, si sarebbero probabilmente risparmiati mesi di inutili tensioni e li avrebbero soprattutto evitati alle figlie. Le dinamiche raccontate sono comuni, tipiche. Si può anche cercare di starne fuori, ma da soli è difficilissimo. Meglio farsi aiutare. Aiuto che però costa. – Laura

venerdì notte

Su questo concordo pienamente. Un confronto con e di fronte a terzi è sempre fondamentale, se non altro per scoprire punti di vista inesplorati e inesplorabili quando si è troppo coinvolti in una situazione. – Raethia

sabato

Già, rimango convinta della giustezza di ciò che noi auspichiamo: uno sportello gratuito, di orientamento-informazione, un aiuto per trovare la giusta vicinanza. NON la giusta distanza. Perché vicini si deve comunque rimanere, nell’interesse dei figli. Non si deve pensare di dover sostenere solo i casi estremi di fragilità, ma anche tutte le situazioni più o meno ‘normali’ MA ugualmente difficili da affrontare. Che ne dici? Sei d’accordo? Io sono una mamma separata da molti anni, tu sei una figlia di genitori separati sebbene in epoca ben diversa dall’odierna. MA sicuramente il tuo occhio vede da un altro punto di vista. – Laura

sabato pomeriggio

Concordo. E da figlia di separati ciò che dici mi piace, soprattutto il concetto di “vicinanza” contrapposto a “distanza”: se c’è una cosa che riconosco ai miei genitori è di essere stati vicinissimi tra loro nel condividere il progetto educativo nei miei confronti. Loro, due persone davvero distanti in quasi tutto, avevano (e hanno) valori di fondo coincidenti ed è su quelli che mi hanno allevata, uniti, vicini, seppure separati e anche con una causa dolorosa e lunga: era il 1964, prima della riforma del diritto di famiglia, quando la patria podestà era solo per padre e c’era ancora il delitto d’onore, per inquadrare il periodo storico. L’equilibrio della mia famiglia, molto creativamente variabile, penso si sia retto proprio su una “naturale” vicinanza di valori educativi di fondo. E forse (ne sono quasi certa) non sarebbe stato lo stesso se i miei genitori fossero rimasti coppia (insieme) “per me”. – Raethia

🙂

autore

Raethia Corsini e Laura Lombardi

Insieme, siamo curatrici della collana smALLbooks, edita da Cinquesensi Editore e concepita a sostegno del progetto Smallfamilies®.

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