Abitare Policy

Emergenza Covid-19, quando restare a casa non è per tutt* uguale

scritto da Gisella Bassanini

Un anno fa, in Italia, siamo stati chiusi nelle nostre case per sessantanove  giorni consecutivi (dal 9 marzo al 18 maggio 2020) e anche ora molti di noi escono solo se strettamente necessario.

I confini tra sfera pubblica e sfera privata si sono fatti ancora più sottili, hanno subito una sorta di cortocircuito.  La citta è entrata prepotentemente nella nostre case tra lavoro, scuola, aperitivi e feste di compleanno online,  webcam, piattaforme, dispositivi, connessioni, social media, smart tv, etc.

Nei mesi del nostro confinamento è stata stilata una classifica delle attività maggiormente seguite sui social e dei contenuti che hanno generato più interazioni connesse all’hashtag #iorestoacasa.  La top of the list è stata occupata dal cucinare, con un interesse sempre maggiore per i lievitati. Abbiamo vissuto molto in cucina. A seguire, nella classifica dei trend topic, c’è stato l’allenamento alternativo da fare a casa, seguito da piattaforme quali Netflix (57% delle conversazioni relative al tema) e in misura minore di RaiPlay (16,5%) e Prime Video (11,7%).

C’è  stato poi il tema caldo dello smart working (oggetto delle nostre conversazioni soprattutto nella settimana che va dal 10 marzo al 22 marzo). Rispetto ai 12 giorni precedenti i contenuti relativi a questo tema hanno registrato un + 325% soprattutto su Instagram.  Altri contenuti sono stati: come riorganizzare lo spazio in casa se non si dispone di una zona studio; cosa mangiare in pausa pranzo; come ottimizzare il tempo quando si lavora; come allenarsi nonostante le tante ore seduti; come distrarsi dopo una giornata di lavoro condotta a casa; come conciliare la giornata di lavoro con l’impegno dei figli.

Si sono registrati nuovi comportamenti, nuove opportunità, ma anche nuovi disagi e problemi che hanno dettato il ritmo  -e ancora lo fanno-  dei nostri giorni tra la vita in remoto e la  vita in presenza.

Lo stare chiusi in casa, e liberati solo per fare la spesa o per brevi uscite, ha  messo a dura prova il benessere psicofisico di molte persone, spesso a causa di abitazioni inadatte (troppo piccole, sovraffollate, male illuminate, prive di balconi, di una bella vista dalle finestre, di  giardini, di spazi verdi nelle vicinanze, etc.), della  mancanza di strumentazione adeguata (dal pc alla stampante) e di una decente connessione. Abitando 24 ore su 24 nelle nostre case ci si è accorti che le prese elettriche per ricaricare i vari   dispositivi non sempre sono sufficienti;  che la cucina insieme al soggiorno non è il massimo; che non si dispone di  sedie da lavoro ergonomiche e neppure di un piccolo angolo dove poter lavorare o seguire le lezioni in tranquillità; che l’isolamento acustico non è dei migliori e si è costretti a sentire i rumori dei vicini senza pause di silenzio.  Altro che “casa dolce casa”.

Anche un’indagine online, svolta durante il periodo di lockdown e realizzata dal Politecnico di Milano e dell’Università di Genova coinvolgendo quasi 10mila persone, lo attesta: 1 italiano su 4 ha sofferto di significativi sintomi ansiosi e depressivi a causa delle condizioni abitative. Secondo l’Istat 4 minori su  10  vivono in case sovraffollate senza spazi adeguati per lo studio. L’Istat definisce come sovraffollate  quelle case dove più di 4 persone vivono in meno di 40 metri quadri; quelle con oltre 5 occupanti in 40-59 metri quadri e quelle tra 60 e 79 metri quadri e oltre 6 persone.

Il 33,8% delle famiglie italiane non ha pc o tablet (Istat, 6 aprile 2020). 1 famiglia su 3 non è stata in grado di sostenere la didattica a distanza (Dad) dei figli durante il lockdown tra marzo e maggio del 2020. È il risultato di una ricerca dell’Unicef con l’Università Cattolica del Sacro Cuore condotta su 1.028 famiglie italiane nel giugno dello stesso anno. Il 27% del campione sostiene di non aver avuto le tecnologie necessarie per i collegamenti online, mentre al  30% è mancato il tempo necessario per  seguire i figli, soprattutto i più piccoli.

Secondo lo studio, nel 6% dei casi analizzati, ciò ha comportato l’abbandono delle lezioni da parte dei bambini più svantaggiati, soprattutto a causa di problemi di connettività o per mancanza dei dispositivi.

Sebbene il 46 % delle famiglie intervistate dichiari di aver ricevuto nuovi dispositivi digitali dagli Istituti scolastici e 1 famiglia su 4 abbia ricevuto un abbonamento a internet per accedere alla Dad, le disuguaglianze tra famiglie restano.

Le spese per la casa solitamente sono tra quelle che incidono di più sul bilancio familiare. E così molte famiglie, soprattutto quelle con figli – dicono le indagini – vivono in condizioni abitative disagiate perché non possono permettersi una migliore sistemazione.  Nel suo ultimo rapporto uscito a dicembre 2020, l’Oipe – Osservatorio italiano sulla povertà energetica – evidenzia come il tema della povertà energetica sia fortemente legato a quello della condizione abitativa. Questo disagio infatti spesso coinvolge le famiglie la cui condizione abitativa è già resa difficile da immobili vetusti e con meno servizi. I motivi sono perlopiù  economici: dall’impossibilità di accedere al credito alla mancanza di risorse, senza contare il fatto che per le famiglie che vivono in affitto significherebbe investire in un immobile non di proprietà. Le famiglie con figli si trovano più spesso in povertà assoluta (9,2% delle famiglie con figli si trovano in questa condizione, a fronte del 6,4% medio). E sono anche più spesso in affitto. Il 35,2% dei monogenitori con almeno un figlio minore vive in affitto. Tra le coppie con almeno un figlio minore, il 7,8% segnala problemi di umidità e l’11,9% dichiara di non potersi permettere di riscaldare adeguatamente la casa. Tra le famiglie monogenitoriali, il dato sale rispettivamente al 8,8% e al 15,7% (fonte: Osservatorio povertà educativa #conibambini  realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile).

Negli interminabili giorni del lockdown – va inoltre ricordato – numerosi anziani, persone fragili, con disabilità, genitori single e unici con figli minori, non potendo uscire non sapevano come fare con la spesa  o la farmacia. Isolati  nelle loro case, è stato grazie all’aiuto della rete del volontariato locale se sono riusciti a mettere qualcosa in tavola e/o continuare a curarsi.

 

Futuro post pandemia

Riviste di settore e quotidiani nazionali hanno intervistato nei mesi scorsi archistar ed esperti chiedendo loro opinioni e idee per l’abitare del futuro: dagli oggetti pensati per far rispettare  le  norme legate al  distanziamento tra le persone a come dovrà essere il nostro mondo domestico. In un mondo diseguale, intriso di paradossi e dove la cultura del progetto vive spesso lontano anni luce dalla realtà si è sentito di tutto, anche un imprenditore immobiliare ammettere candidamente che “le persone faranno qualche viaggio in meno ma d’ora in poi è certo che si prenderanno case con una stanza in più, balconi abitabili e terrazzi”.

Sui balconi, tetti abitabili e terrazzi, sulla necessità di avere case più grandi, stanze in più rispetto al numero dei famigliari, più bagni, magari un giardino, magari andare a vivere in zone meno inquinate, e per chi ha mezzi economici sufficienti anche costruirsi  una piscina nel giardino di casa,  si sono sprecati fiumi di inchiostro. Si è scritto della necessità di progettare case con spazi modulari, multifunzionali, ambienti attrezzati e trasformabili a seconda dell’ora della giornata,  “emozionalmente confortevoli”; dell’importanza degli spazi esterni, del bisogno di creare continuità e connessioni  tra  interno e esterno, delle opportunità  offerte dalle tecnologie (dai sistemi di ventilazione meccanica che garantiscano un flusso d’aria costante 24 ore al giorno alle porte con riconoscimento facciale e ascensori con comandi vocali per evitare l’uso di pulsanti e comandi manuali).

Ma sempre più si sta scrivendo, ora che gli effetti della crisi sanitaria ed economica si fanno ancor più sentire,  delle condizioni di vita di una fetta significativa di popolazione italiana alle prese con il lavoro che non c’è, la cassaintegrazione che sta per scadere, l’aumentata precarietà, etc.

Ugo La Pietra, “Ex-Voto”, tecnica mista su carta, 19 marzo 2020

 

In un articolo apparso su Domani, il 15 dicembre scorso, Nunzia De Capite, sociologa Caritas Italiana, Forum Disuguaglianze Diversità, parla di un Paese – il nostro – in cui solo il 4 % delle persone ha accesso a un alloggio con affitto calmierato; in cui il tasso di deprivazione abitativa è doppio rispetto al resto d’Europa (11 per cento vs 5 per cento); dove deteniamo il primato in Europa per il numero di famiglie che vivono in condizione di sovraffollamento (24 per cento vs 16 per cento dei paesi Ocse); in cui gli sfratti eseguiti in dieci anni (dal 2006 al 2016) sono cresciuti del 57 per cento e quelli per morosità incolpevole sono passati dal 75 per cento all’89 per cento; in cui il 50 per cento di coloro che vivono in strutture di edilizia residenziale pubblica ha più di 65 anni e si assiste a un fenomeno di iper-permanenza nelle abitazioni assegnate, in genere dai 10 anni in su (il 20 per cento vi risiede da più di 20 anni e il 17 per cento da più di 30 anni).

“Un intreccio di livelli che richiede in primis consapevolezza dei cambiamenti sociali ed economici in atto: l’”inverno demografico” a cui andiamo incontro genererà necessariamente una transizione abitativa tra anziani e giovani da gestire e governare e da cui deriva, sin d’ora, la profonda differenza che si riscontra tra i profili di coloro che abitano tuttora nelle abitazioni di edilizia residenziale pubblica – e che, pur molto eterogenei tra loro, si caratterizzano per una netta prevalenza di utenza anziana – e i profili di bisogno di coloro che, invece, popolano le liste di attesa.” E continua segnalando come tra le famiglie che attendono una casa molte siano famiglie numerose e nuclei monoparentali.

“Serve una riforma per garantire a tutti una casa”, che è poi il titolo dell’articolo qui citato.   Va sviluppato o rafforzato il welfare abitativo, garantito un accesso più democratico alla casa e ai servizi ad essa collegati.

Ci si sta interrogando  sugli effetti che questa inedita esperienza lascerà sui nostri modi di pensare, progettare, vivere gli spazi e i tempi delle nostre case e città, sulle nostre vite. Una riflessione sul futuro che ci è aspetta è quanto mai necessaria, ma non basta. Bisogna andare oltre. Agire.

 

 

 

 

NOTA

Foto che accompagna il post: casette per uccelli in Pakistan

autore

Gisella Bassanini

Docente e ricercatrice, ho una figlia, Matilde Sofia. Coordino le attività di  Smallfamilies aps di cui sono fondatrice e presidente.  Seguo in particolare  l’area  welfare e policy, le questioni legate all’abitare e per il nostro Osservatorio mi occupo dello sviluppo  di  progetti di ricerca sulle famiglie monogenitoriali e più in generale sulle “famiglie a geometria variabile”.

Abito a Milano (città che amo) e, dopo la laurea in architettura al Politecnico di Milano,  ho trascorso molti anni  impegnata  in università (dottorato di ricerca, docenza, scrittura di libri) e nella libera professione (sviluppo di processi partecipativi,  piani dei tempi e degli orari della città, approccio di genere nella progettazione architettonica e nella pianificazione urbana). Ora insegno materie artistiche nella scuola pubblica e continuo nella mia attività di studio e ricerca in modo indipendente. La nascita di mia figlia nel 2001 ha trasformato profondamente (e in meglio) la mia vita, nonostante la fatica di crescerla da sola. Da allora, il desiderio di fare qualcosa per-e-con chi si trova a vivere una condizione analoga è diventato ogni giorno più forte. Da questa voglia di fare e di condividere, e dall’incontro con Michele Giulini ed Erika Freschi, è nata Smallfamilies aps, sintesi ideale della mia storia personale e del mio percorso professionale.

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