Le famiglie e le case in cui abitiamo è un grande tema che questo anno di pandemia ha reso ancor più visibile: differenze sociali, situazioni di crisi e fragilità, realtà a lungo scarsamente considerate, se non del tutto ignorate.
A partire da ciò, una riflessione sul presente e sul futuro che ci aspetta si impone, e con essa la necessità di intervenire con urgenza là dove non si è fatto abbastanza.
Questo tempo difficile ha ricordato – anche ai più distratti – come vi sia ancora una forte disuguaglianza nelle condizioni di accesso e uso della casa e della città; come sia ancora difficile trovare nel proprio quartiere e territorio reti strutturate di aiuto e servizi in grado di ascoltare ed assistere soprattutto chi si trova in condizioni di bisogno e precarietà; come siano spesso inique le iniziative promosse a sostegno alle famiglie (quando ci sono) perché non di rado si rivolgono volutamente ad alcune tipologie familiari escludendone altre.
Famiglie sempre più variabili nella loro geometrie
Smallfamilies aps da anni racconta della famiglia che cambia, delle diverse geometrie che oggi le nostre famiglie hanno: coppie con figli, coppie senza figli, genitori soli con figli conviventi, genitori soli con figli non conviventi, single, anziani che convivono con chi si sta prendendo cura di loro, gruppi di amici/amiche che condividono un pezzo di vita. Famiglie unipersonali, allargate, ricostituite, di fatto, monogenitoriali, numerose, “tradizionali”, omogenitoriali. Figli che ritornano a vivere con gli anziani genitori (caso molto diffuso a seguito di una separazione, per esempio), anziani genitori che rimasti soli o bisognosi di cura vanno a vivere con i loro figli, etc.
Una mosaico di tipologie famigliari, di forme di convivenza, la cui estensione aumenta di anno in anno (l’Istat parla di 25 milioni di famiglie italiane nel 2018), ma che diminuisce progressivamente nel numero dei componenti (50 anni fa c’erano circa 4 persone per famiglia, oggi 2,3). Famiglie sempre più piccole ed isolate perché le loro reti di relazione si fanno via via più corte e deboli.
Aumentano i single, i genitori single (divorzi e separazioni), i genitori unici, le convivenze di fatto; diminuiscono i matrimoni (i matrimoni civili hanno superato quelli religiosi e molte sono seconde nozze), le famiglie numerose, le nascite (400mila in meno nel 2020, più del 5% rispetto all’anno prima, il numero più basso dall’Unità d’Italia ad oggi. Denatalità e aumento dell’età media della popolazione (invecchiamento), sono i due aspetti che connotano quello che alcuni sociologi chiamano l’“inverno demografico” che coinvolge l’Italia e più in generale i paesi occidentali.
Una polverizzazione della famiglia le cui forme sono in continuo mutamento -come da tempo osserviamo e ci dicono esperti di varie discipline- e che non sempre le parole di cui disponiamo sono in grado di descrivere. Basti ricordare l’effetto che la parola “congiunto” ha provocato nel nostro Paese quando è stata pronunciata il 27 aprile dello scorso anno dall’ex premier Giuseppe Conte. In migliaia si sono riversati nel web a cercare il significato di questa parola ai più sconosciuta.
Casi di case
Questa profonda trasformazione sociale che attraversa anche il nostro Paese rappresenta una questione in generale poco indagata da chi è chiamato a progettare e pianificare il sistema abitativo, a parte per alcune specifiche tipologie di abitanti o mercati immobiliari considerati particolarmente interessanti.
Assistiamo da alcuni decenni a una mutazione antropologica che fa fatica a trovare casa. Da una parte, vi è una domanda sempre più dinamica ed articolata, dall’altra, un’offerta abitativa ancorata a vecchi paradigmi e superati modi di interpretare le culture contemporanee dell’abitare.
Anche la progettazione di nuove unità abitative non sembra voler tener conto della grande rivoluzione a livello demografico, sociale, culturale ed economico in atto.
Cambiano le stagioni della vita, le condizioni familiari e di salute, le esigenze e le possibilità, ma l’idea di casa più diffusa (anche nell’immaginario di chi progetta, pianifica, costruisce) sembra rimanere sempre la stessa. Come a non voler proprio stare al passo con i tempi, si avverte un evidente mismatch (mancata corrispondenza) fra patrimonio abitativo esistente, o di prossima realizzazione, e nuovi stili di vita e modi di abitare.
Nello schema tradizionale una giovane coppia compra una casa (meglio se un trilocale) un po’ abbondante. Arrivano i figli e così lo studio diventa una cameretta e ci si stringe un po’, poi i figli escono e si sposano e la coppia di pensionati si allarga di nuovo, si riprende lo spazio. Oggi non è più cosi, il ciclo della vita nelle case è cambiato. Si è fatto irregolare, imprevedibile, spesso schizofrenico, come lo sono le storie delle nostre famiglie. I figli rimangano a casa fino ai 30 anni o più, i nonni sono sempre più longevi. Nelle case spesso si ritrovano a vivere contemporaneamente tre generazioni. Oppure, si vive soli per scelta o per eventi della vita. Se consideriamo poi i genitori single o le cosiddette “famiglie ricostituite” (quelle in cui uno o entrambi i partner che formano il nuovo nucleo familiare portano figli da unioni precedenti) ci troviamo dinnanzi anche al fenomeno dei figli pendolari dalla casa della mamma a quella del papà.
A volte per vivere bene servirebbe più spazio, altre volte bastano spazi più piccoli ed essenziali. Se fossimo in un Paese con la cultura dell’affitto come quella nordamericana, per esempio, la soluzione sarebbe il trasloco: cosa impensabile in Italia dove l’80% è proprietario di casa. Traslochi, rogiti, tasse, provvigioni, etc. Si resta dove si è. Al più si affitta una stanza a chi ne ha bisogno e intanto si fa quadrare il bilancio familiare che di questi tempi non è cosa da poco.
In Italia, resta per noi ancora un miraggio la tipologia abitativa elaborata dall’architetta Elsa Prochzka per un appartamento di circa 80-85 mq all’interno del “Frauen-Werk-Stadt I”, complesso residenziale realizzato da un team di progettiste (Franziska Ullmann, Liselotte Peretti, Gisela Podreka, Elsa Prochazka, Maria Auböck) a Vienna (1992-97) e dal 1997 anche conosciuto con il nome “Margarete Schütte-Lihotzky-Hof” in onore della prima architetta austriaca. Tenendo fisse le posizioni del bagno e della cucina, quest’ultima ricavata all’interno di blocchi aggettanti (chiamati “erker”), ed evitando muri portanti interni, la progettista è riuscita ad interpretare egregiamente il principio ispiratore: “un appartamento per ogni fase della vita” proponendo diverse soluzioni che possono trasformare nel tempo lo stesso alloggio.
Crediti: l’immagine di apertura del post è un’opera dell’artista Marco Petrus, Atlas 4, 2013, olio su tela