Oggi 14 febbraio entra in vigore il fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno. Se una ex moglie non riceve dall’ex marito l’assegno di mantenimento – e viceversa – può oggi chiedere allo Stato di anticipare la somma non versata. L’anticipazione della somma non può essere superiore all’importo dell’assegno medesimo e sarà distribuita su base trimestrale.
Lo stabilisce l’art. 1 commi 414, 415 e 416 della Legge di Stabilità 2016 che ha introdotto in via sperimentale la formazione di un Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno (750 milioni di euro) gestito dal Ministero della Giustizia.
A partire dal 14 febbraio 2017 (viene subito da pensare alla strana coincidenza con la data che corrisponde alle festa degli innamorati…) saranno messi a disposizione i moduli per presentare le domande.
A chi si rivolge
Il Decreto di istituzione del Fondo parla di “coniuge separato in stato di bisogno che non è in grado di provvedere al mantenimento proprio e dei figli minori, oltre che dei figli maggiorenni portatori di handicap grave, conviventi, qualora non abbia ricevuto l’assegno determinato ai sensi dell’articolo 156 del Codice civile – l’assegno di mantenimento – per inadempienza del coniuge che vi era tenuto”.
Dove si presenta la domanda
Le domande di accesso al Fondo possono essere presentate alle cancellerie dei tribunali che si trovano nei capoluoghi dei distretti giudiziari sede di Corte d’appello, ossia i capoluoghi di regione (esclusa la Valle d’Aosta che gravita su Torino), più Brescia, Caltanisetta, Catania, Lecce, Messina, Reggio Calabria e Salerno. La scelta non è libera ma vincolata alla residenza del/della richiedente. Le domande vanno compilate seguendo il modello disponibile sul sito del Ministero di Giustizia (www.giustizia.it) in una sezione ad hoc chiamata appunto “Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno”. Tra i requisiti: avere un ISEE in corso di validità pari o inferiore a 3 mila euro. All’istanza vanno allegati, pena l’inammissibilità, diversi documenti.
Il procedimento
Il Presidente del Tribunale o un Giudice da lui delegato, se ritiene sussistenti i requisiti previsti e, se necessario, acquisendo informazioni, nei trenta giorni successivi al deposito dell’istanza, valuta l’ammissibilità o meno dell’istanza e, nel primo caso, la invia al Ministero della giustizia ai fini della corresponsione della somma dovuta a titolo di mantenimento. Il Ministero della Giustizia si rivale sul coniuge (obbligato a corrispondere il mantenimento) inadempiente per il recupero delle risorse erogate. Quando il Presidente del Tribunale o il giudice da lui delegato non ritiene sussistenti i presupposti per la trasmissione dell’istanza al Ministero della giustizia, la rigetta con decreto non impugnabile. Il procedimento non prevede il pagamento del contributo unificato.
Le erogazioni vengono revocate qualora si accerti la mancanza di requisiti oggettivi o quando la documentazione presentata contiene elementi non veritieri o sia incompleta. In tale caso, facendo salve le conseguenze di legge (civili, penali e amministrative) si provvederà al recupero delle somme già versate.
Le criticità
Il Fondo si rivolge alle persone separate che versano in una condizione di bisogno, escludendo le persone divorziate e chi proviene da unioni civili, con una evidente discriminazione. Sono esclusi, inoltre, tutti coloro che non riescono a dimostrare di trovarsi in stato di bisogno (uno dei requisiti richiesti per l’accesso al Fondo). Inoltre, si è stabilito un tetto massimo di spesa che molti operatori del settore pensano non sia sufficiente a coprire le numerose situazioni di bisogno che esistono nel nostro Paese. Infine, va considerato l’ulteriore carico di lavoro che graverà ulteriormente sui Tribunali già in difficoltà nella gestione delle loro attività ordinarie.
Valutazioni più precise sull’efficacia di questo provvedimento saranno possibili dopo un primo periodo di sperimentazione.