Giornalisti e avvocati che scrivete e ragionate di genitori single…ma come parlate? Le parole contano, eccome se contano! Avrei voglia di dirlo così, come Nanni Moretti in Palombella rossa. Perché recentemente mi sono imbattuta in diversi articoli che affrontano con linguaggio da guerra il fenomeno del progressivo impoverimento, economico e relazionale, che coinvolge molti genitori a seguito di una separazione o un divorzio e la spinosa questione della gestione e condivisione del tempo libero e delle vacanze con i propri figli, che si acutizza durante le feste natalizie e d’estate (si veda la nostra collana smALLbooks).
Mi hanno colpita – e vista la virulenza dei termini è proprio il caso di dirlo – le parole utilizzate da molti giornalisti e molte giornaliste. Le più usate sono:
guerra, conflitto, ostilità, figli contesi.
Secondo un approccio che identifica l’altro come un avversario: un nemico da combattere e possibilmente sconfiggere. Non è certo una novità che i rapporti tra due genitori, a seguito di una separazione, si facciano spesso tesi e problematici e sappiamo bene che ci sono molte situazioni in cui, purtroppo, i figli si ritrovano, loro malgrado, a pagare il prezzo più alto. Non c’è nessuna guerra da vincere perché questa non è, e non deve essere, una guerra. E, comunque la pensiate, sono convinta che nessuno possa dire di dormire sonni tranquilli dopo che l’altro o l’altra è stata “annientata” per riprendere un’espressione che ho trovato frequentemente in alcuni forum di genitori single, o nei blog di alcuni avvocati interessati più ad alimentare il conflitto che a trovare soluzioni condivise e condivisibili.
Confesso di non capire a chi giova tanto astio e rancore.
Ma perché non si può usare un altro linguaggio? Perché non scegliere di ricostruire anziché demolire? Perché i titoli dei giornali sembrano fare a gara a chi “colpisce più duro?” Ascolto, empatia, gestione dei conflitti sono le parole di un lessico che possiamo utilizzare anche per raccontare le nostre vite, le nostre famiglie, il futuro che ci attende. Perché le parola contano.
Per trasformare rancore e delusione in nuovi desideri e possibilità. Per amore di noi stessi e dei nostri figli.
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