STORIE

Gli “altri”

Le separazioni, per quanto possano essere liberatorie a detta di alcuni, sono sempre un trauma per gli esseri viventi coinvolti.

Umani o animali che siano.

Per i primi c’è una letteratura sterminata, redatta dagli esperti del settore, che fornisce consigli pratici riguardo a come affrontare il momento critico.

Non entro nel merito poiché a sbagliare sono bravi tutti, e io sono ancora il campione imbattuto per quanto concerne gli errori.

Per i secondi, viceversa, il più delle volte si procede quasi come fossero oggetti: “Questi libri li prendo io, il quadro no perché è tuo, e per Fritz … come facciamo?” (cane o gatto che sia).

Lo so, alcuni protesteranno perché non cito il pesce rosso, la tartaruga, i pappagallini, il serpente, il geco di Formentera e la tarantola di vattelapesca …

Abbiate pazienza; alcuni degli esclusi li ho pure avuti come ospiti…altro che Circo Orfei!

Sono nato e cresciuto in mezzo agli animali e poco incline, quindi, a fare discriminazioni, però riconosco che alcuni di essi sono partecipi alla vita familiare; e quando vivevo in Africa con i miei genitori, la nostra casa, una villa con grande giardino, ne accoglieva diverse tipologie.

Sul tetto del soggiorno, ad esempio, una colombaia di mattoni grezzi dava riparo a circa trenta tra colombi e piccioni, e ricordo che, ogni mattina, qualcuno di noi si arrampicava sulla scala di legno e li liberava fino al tramonto, quando rientravano in volo dalla giornata trascorsa in libertà.

A volte non tornavano proprio tutti; del resto, lì, anche i predatori avevano diritto a nutrirsi, ma nel tempo il numero delle presenze era stabile.

In una zona del retro giardino, avevamo una specie di pollaio, un recinto sui generis, cui trovavano riparo galli e galline, molto solerti a colpire e uccidere gli scorpioni, qualche tacchino, conigli e una piccola scimmia.

Nelle strade di Khartoum si vedevano parecchi cani abbandonati: quattro di essi furono adottati dalla nostra famiglia.

Non pago della fauna che animava l’abitazione, mio padre, ogni tanto, rientrava dal mercato con un ospite nuovo che, una volta cresciuto, sarebbe stato poco salutare tenere in casa.

Lo faceva per permettermi di “vederlo da vicino”.

Un cucciolo di leone restava con noi per qualche settimana; un piccolo coccodrillo, viceversa, non soggiornava nella vasca da bagno che per pochissimi giorni, poiché le proteste di mia madre erano molto persuasive.

Ogni volta che qualcuno voleva lavarsi, dovevamo acchiappare il piccolo rettile e metterlo in una tinozza grande, con i cani eccitati che abbaiavano in continuazione…insomma, l’igiene diveniva un’impresa ardua, oltre che rumorosa.

Sono stato educato, quindi, in un mondo dove il “diversamente umano” era tollerato fino a quando non cercava di “sgagnarti” una mano.

Ad ogni modo, quella specie di Arca di Noé fu regalata a parenti e conoscenti quando giunse il momento di lasciare il Sudan.

Già allora, rammento, mi dispiacque non poco dovermene separare.

Non che fossero i miei soli amici, ma loro erano più strani e mi piaceva stare a contemplarli per ore.

Consuetudine, quella d’incantarmi a guardare gli animali, che mi sono trascinato fino alla veneranda età; adesso, però, osservo gli esseri cosiddetti umani, e qualcosa mi sfugge, poiché colgo in loro molte similitudini con l’agire bestiale.

Ad ogni modo, a Milano la nostra vita cambiò radicalmente e con essa anche le abitudini “filantropiche” nei confronti degli altri generi viventi.

Ma, per quanto piccola fosse la nostra abitazione, un cane, nel tempo, ha trovato sempre accoglienza, fino alla fine dei suoi giorni.

Anche quando sono andato a vivere da solo, ho avuto con me il miglior amico dell’uomo.

Anzi, era la mia cartina tornasole.

Per quanto adorabile potesse essere la partner che frequentavo, se mostrava insofferenza nei confronti del mio coinquilino, ebbene, questo m’induceva a ritenere che la “liaison” non sarebbe durata poi molto.

In fondo, se non tollerava la taciturna presenza del quadrupede, come avrebbe potuto sopportare la rumorosa esistenza del bipede in questione?

Altro, però, era il quesito che mi tormentava, cui tuttora non ho saputo trovare una risposta.

Ogni volta che i cani entrano in ascensore, cosa pensano che sia …?

Alcuni dei suddetti “pensatori” appartengono a periodi particolari della mia esistenza, e il ricordare loro, inevitabilmente, mi porta a evocare le persone e i luoghi che insieme abbiamo frequentato.

Il barboncino, mi rammenta l’adolescenza milanese in zona San Siro; il maremmano, la fidanzata ballerina classica; il grifone, la convivente partenopea; il segugio, il primo lavoro per la televisione; e l’attuale cane, la mia famiglia.

La madre dei miei figli è cresciuta prevalentemente con i gatti, animali che ho iniziato ad apprezzare proprio grazie a lei, e il suo primo cane le fu regalato quando ancora non mi conosceva.

Va da sé che lei, con il suo primo golden retriever bianco, e io, con il mio segugio italiano a pelo ruvido, non potevano non incontrarci e formare una coppia glamour.

La nascita dei figli, ma, soprattutto, la fine per vecchiaia dei nostri rispettivi “quattro zampe”, ci convinse che era giunto il momento di adottare un altro cane che avrebbe accompagnato la famiglia nel tempo a venire.

Per oltre undici anni, Nilo, il secondo golden retriever che prendemmo quando i ragazzi erano piccoli, è stato il compagno delle mie passeggiate mattutine, pomeridiane e notturne; oltre a spartire, insieme ai miei piedi, la scrivania sotto cui dormiva mentre io digitavo al computer.

Amico discreto, non ha mai riferito e neppure commentato le storie che scrivevo e rileggevo a voce alta; e per chi coltiva aspirazioni pseudo-letterarie, avere un uditore tollerante è un privilegio non da poco.

La nostra famiglia ha condiviso con Lui una porzione importante di tutte le vacanze estive; il periodo che volavamo all’estero, invece, Nilo lo trascorreva al lago, nella casa dei nonni materni, nuotando ogni giorno per ore intere; insomma, era accudito e amato dalla maggior parte dei parenti.

Lo consideravano il nipote peloso!

La notte di Natale, quando sotto l’albero scartavamo i regali, ebbene, c’era qualcosa anche per Lui, oltre alla carta dei pacchi dono che si divertiva a stracciare in mille pezzettini con i denti.

Le fotografie lo ritraggono, negli anni della crescita, insieme ai nostri figli; nelle immagini Lui è quello bianco, pulito e con l’espressione intelligente.

Non l’abbiamo mai considerato un animale, ma un membro della famiglia a tutti gli effetti.

Riconosceva in me il capo branco e i ragazzi e la mia ex, invece, come suoi pari, nel clan di cui facevamo tutti parte.

Poi, è avvenuta la separazione.

Nel dolore immenso ci siamo suddivisi recriminazioni e incazzature, dimenticando che altri occhi, oltre a quelli dei ragazzi, ci stavano osservando.

Non potevo portarlo via con me, non avevo un posto dove andare, e lei non avrebbe acconsentito che il suo cane, legalmente è la proprietaria, fosse allontanato dai ragazzi, i quali avrebbero patito un dispiacere ancora maggiore.

Ne convenni e me ne andai, lasciando, in quel luogo, quasi tutti gli esseri viventi che mi ricordavano momenti belli, anche quando non lo erano stati.

Sapevo che la gestione del cane avrebbe comportato un aggravio delle fatiche quotidiane a qualcuno di loro, prima era delegato a me quel compito.

Immaginavo, soprattutto, che il tempo da dedicare alle naturali esigenze di Nilo, sarebbe divenuto breve e frettoloso; gli orari delle attività lavorative e scolastiche, infatti, mal si conciliano con l’impegno del giretto in strada, almeno tre volte il giorno.

E tutto questo a prescindere dalle condizioni atmosferiche, che in certi periodi dell’anno non invogliano a uscire da casa neppure i più motivati, figurarsi quelli che hanno poco tempo.

Ma non potevamo fare diversamente.

Da allora non ho più avuto un cane, non ho ancora una mia abitazione, e poi perché, finché c’è Lui, non potrei mai tradirlo.

Con i miei figli abbiamo avuto modo di elaborare il lutto della separazione e, forse, adesso, a distanza di anni, l’abbiamo accettata, ma con Nilo non c’è mai stato un chiarimento.

La qualità della sua vita è, inevitabilmente, peggiorata, poiché le passeggiate lunghe si sono ridotte a pochissimi minuti e non sempre negli orari abituali.

Ogni volta che mi reco a trovare i ragazzi, Lui mi viene incontro scodinzolando e deambulando, è invecchiato parecchio, e, nonostante veda poco e senta ancor meno, riconosce la mia voce e la carezza che era abituato a ricevere quotidianamente.

Quando sono lì, a casa loro, scendiamo ancora insieme, e sebbene il ritmo di entrambi sia più lento, condividere la nostra silenziosa passeggiata è sempre piacere intimo.

Entrambi riconosciamo nell’altro l’amico e il complice delle sere di undici anni trascorse a vagabondare in strada, mettendo un passo dopo l’altro.

M’intenerisce vederlo in queste condizioni, acciaccato e rintronato, e spesso mi chiedo se anche Lui, come Argo, nel periodo in cui sono stato assente, abbia atteso, sospirando, il ritorno definitivo del suo Ulisse.

Chissà, forse attende ancora adesso…

* * *

claudio barbagallo – barbecoq

autore

Claudio Barbagallo-barbecoq

Autore, creativo, padre separato di due figli, fondatore del gruppo Gli ammaccati (sentimentali). Autore di uno dei racconti di smALLholidays, il secondo titolo della collana smALLbooks, edita da Cinquesensi Editore in Lucca. Per il sito collaboro alla sezione “Diario d’autori”.

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