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Gli ammaccati sentimentali. Gruppi spontanei fioriscono

Ammaccati sentimentali, così ci siamo chiamati. Questa è la storia. Una volta nella vita, quasi tutti noi abbiamo subito delle “bottarelle” psicologiche al cessare delle relazioni affettive; ammaccature, più o meno profonde, che hanno lasciato il segno nell’anima e spesso anche nel fisico; ed è per questo motivo che decidemmo di affibbiarci questa definizione: “ammaccati sentimentali”.

Lo eravamo per davvero; e spesso la nostra autostima finiva calpestata proprio da noi stessi poiché eravamo soli ad affrontare la battaglia delle emozioni. Parlarne con altri, che avevano attraversato le medesime esperienze, forse, avrebbe potuto essere d’aiuto.

È nato così il nostro gruppo.

Uscivamo entrambi, Silvia ed io, da convivenze fallimentari e l’idea d’incontrarsi davanti ad un calice di vino rosso e confidarsi tutto quello che c’era successo, in quei rapporti disastrosi, era tanto intrigante da sembrare quasi un appuntamento al buio.

Lei, artista figurativa con una figlia a carico; io, elaboratore d’immagini con figli lasciati all’ex compagna, c’eravamo conosciuti venti anni prima nei giardini pubblici cui portavamo i nostri bambini a giocare. Qualche cena a casa dell’uno o dell’altro con le nostre rispettive famiglie e una vacanza estiva a Forte dei Marmi, sancirono un legame d’amicizia, che seppur non avevamo alimentato con assiduità, anzi, non ci frequentavamo più, resisteva all’usura delle vicissitudini.

Le nostre storie sentimentali, sciagurate, erano molto differenti, ma simili nell’esito.

Ci accorgemmo, nel parlare a ruota libera e senza la necessità di voler apparire quello che non eravamo, che avevamo alcuni punti in comune. Per esempio, l’ansia di essere single alla nostra età che si manifestava prevalentemente in alcuni periodi dell’anno e durante i fine settimana; oltre, ovviamente, alle nuove dinamiche di rapporto con i nostri ragazzi.

Nonostante il nostro ribadire di essere, ora, felici e pieni di energie e con una voglia di sperimentare tutto ciò cui avevamo rinunciato per amore del quieto vivere, in verità cercavamo di mascherare una certa paura della solitudine. Temevamo, soprattutto, il periodo natalizio, le feste comandate e l’avvicinarsi delle vacanze estive.

Sentirsi soli in quelle circostanze era annichilente.

Non eravamo gli unici: amici comuni, pure loro “ammaccati sentimentali”, vivevano analoghe angosce. Non ricordo chi fu, di noi due, a proporre di affrancarci da quest’assillo incontrandoci più spesso; magari anche con altre “anime perse”. In due è facile sorridere, ma se fossimo stati assai di più, ci poteva scappare qualche sana risata. Nulla d’impegnativo; ogni tanto avremmo organizzato un happy hour, nei vari locali sui navigli, compatibilmente con gli obblighi familiari di ognuno di noi.

E così fu.

Eravamo in ugual numero di genere e la nostra età spaziava dai quaranta a …salire, anche molto. Tanti “ammaccati” erano di Milano e parecchi delle località limitrofe.

L’idea di condividere alcune ore in chiacchiere futili, ma non inutili, era la motivazione che ci spronava a uscire da casa, a prescindere dalle condizioni climatiche, e incontrare altre persone, seppur sconosciute, legate però a qualche amico comune.

Volevamo spezzare l’assedio del sentirci “soli e sfigati” per come erano andate le storie affettive precedenti. Senza renderci conto, nelle uscite collettive che seguirono, si creò una sorta di “compagnia” di non più giovani, ma con i medesimi problemi sentimentali degli adolescenti.

Non avremmo abdicato dal nostro ruolo di genitori, ma ci saremmo addentrati in locali notturni abitualmente frequentati dai coetanei dei nostri figli; i quali, per la verità, all’inizio, ci guardarono con scetticismo e compassione, scuotendo ripetutamente la testa.

Per loro, evidentemente, eravamo esseri umani destinati ormai al divano con televisore incorporato o, eventualmente, a qualche sporadica cena in casa, con pochi altri intimi disposti ad ascoltare le reciproche lamentele riguardo a problemi di gestione familiare e d’insoddisfazione professionale.

Non immaginavano, i nostri figli, che avremmo avuto il coraggio di addentrarci in luoghi cui non mettevamo piede dall’età della spensieratezza: quella universitaria.

La prima volta che andammo all’Ostello Bello, ad esempio, fummo guardati con tale incredulità e stupore dai giovanissimi clienti, che ci sentimmo un po’ a disagio, quasi fossimo dei reperti archeologici, portati fuori per un trasloco estemporaneo. Fortuna volle che uno dei baristi comprendendo il nostro disorientamento ci rincuorò affermando che quello non era l’ostello della gioventù e che, quindi, eravamo benvenuti.

Così, da quel momento, divenimmo audaci e, tra pizzerie e altre locande, prendemmo pure l’abitudine di concludere le nostre serate al Shisha, un locale marocchino cui, con la scusa di bere del tè speziato, pipavamo allegramente, insieme con altri giovani avventori, essenze aromatiche dai narghilè, che profumavano l’ambiente e le nostre chiacchiere.

Ormai, i clienti abituali e i gestori dei locali cominciarono a riconoscerci: eravamo un’armata brancaleone che si ritrovava, saltuariamente, per scambiarsi opinioni riguardo a quello che ci capitava sia in famiglia sia sul lavoro, senza però il tono tragico o melodrammatico che spesso si recitava nel chiuso delle quattro mura casalinghe.

Parlavamo di cose serie, ma senza rinunciare a dirle in modo leggero.

Chi disponeva di una casa di campagna, grande abbastanza da accogliere altri ospiti, la metteva a disposizione; e fu così che molti di noi si ritrovarono a condividere, come adolescenti, letti a castello, turni del bagno e scherzi goliardici.

Una ventata di allegria e vitalità ci contagiò e le nostre “disgrazie affettive” assunsero, temporaneamente, un’importanza relativa. Ci sentivamo parte di una comunità solidale, in termini puramente teorici, con i nostri problemi.

La notizia passò di bocca in bocca.

Lo sparuto gruppo iniziale arrivò persino a comprendere, in alcune occasioni, ben più di venti, venticinque persone. Si aggregarono adepti anche più giovani e coppie di amici che non erano, in quel momento, degli “ammaccati sentimentali”, ma come tanti, volevano divertirsi a confrontare le proprie difficoltà quotidiane con coetanei, anche conosciuti in modo sommario, che avevano in comune la volontà di non volersi arrendere alla solitudine.

Sarebbero potute nascere anche amicizie “intime” della durata di una sola notte, ma la cosa non disturbò nessuno, poiché se fosse accaduto, ed è accaduto, sarebbe avvenuto sempre nel rispetto delle persone coinvolte; così pure, se fossero state storie d’amore più durature.

Non era l’obiettivo principale del nostro ritrovarsi: l’accoppiamento.

E se qualcuno, all’inizio si era avvicinato con queste finalità, ebbene, dopo poco, comprendeva che avrebbe avuto più chance di successo se si fosse indirizzato a qualche corso di tango o di canto.

Per concludere, gli “ammaccati” non erano sorti come un’agenzia matrimoniale o un ente di assistenza sociale, non avevano, e non hanno, una sede o un ritrovo abituale, non programmano appuntamenti fissi, non impegnano nessuno alla frequenza obbligatoria.

Sono solo un gruppo di persone che, sporadicamente, soprattutto nel periodo invernale, il momento più cupo, s’incontrano per il puro piacere di stare in compagnia con persone che hanno esperienze familiari/fallimentari simili.

Tanto che le nostre comunicazione/convocazioni, appunto, avvengono prevalentemente via facebook oppure creando, all’occorrenza, il gruppo su whatsapp.

Silvia F. è la presidentessa onoraria e io il vice (barbecoq@libero.it)

 

Foto di Public Affairs da Pixabay

autore

Claudio Barbagallo-barbecoq

Autore, creativo, padre separato di due figli, fondatore del gruppo Gli ammaccati (sentimentali). Autore di uno dei racconti di smALLholidays, il secondo titolo della collana smALLbooks, edita da Cinquesensi Editore in Lucca. Per il sito collaboro alla sezione “Diario d’autori”.

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