Abbiamo ricevuto da Emma (nome di fantasia) la sua storia che pubblichiamo qui integralmente. La ringraziamo di cuore per aver deciso di condividere con noi il suo dolore ed anche il suo coraggioso e luminoso desiderio di rinascita.
Ho incontrato l’uomo predatore in una sera di ottobre di tanti anni fa. Ma non sapevo fosse lui. Ai miei occhi era dolce e protettivo come un nobile cavaliere e io diventai la sua dama. Camminavo felice nel giardino dell’amore: cominciai a danzare e a sognare.
Finché non ebbe l’anello al dito non si tolse la maschera e anche dopo lo fece con circospezione. Il suo gioco crudele fu lento e costante, come la goccia che cadendo ogni giorno sul marmo, alla fine lo consuma.
Cominciò a far tabula rasa dei miei amici: per lui erano brutti, stupidi, ignoranti.
Poi fu la volta di mia madre: ero succube, secondo lui, troppo complice e troppo legata a lei.
Così cominciarono le offese, mi voleva far sentire una stupida, una bambina incapace di pensare con la propria testa.
E mentre mi faceva il vuoto intorno, mi legava a sé con una fune: un giro, due giri, tre giri… sempre più stretta.
Dopo aver avuto una bellissima bambina, tornai al lavoro, ma dopo un po’ lui cominciò ad umiliarmi anche per questo: “ti sfruttano, lascia il lavoro e stai a casa!”
Voleva stringere il cappio ma io mi opposi. Cominciò la guerra vera, perché io ribattevo, sostenevo le mie ragioni, le mie idee, difendevo i miei principi e i miei diritti! Ma come io mi armavo di parole, lui chiamava l’esercito e partiva al galoppo per massacrarmi. Mi provocava, mi dava ordini, mi derideva e umiliava.
Io dovevo stare un passo indietro e un gradino sotto. Sempre.
Poi venne il tempo dei castighi. Se non mi comportavo come voleva lui venivo punita. Lui decideva qualunque cosa, io gli dovevo chiedere tutto, non avevo alcuna autonomia.
Cominciai a pensare che, forse, me lo meritavo perché non riuscivo a fare bene il mio dovere, non ero all’altezza del mio ruolo di moglie. Cominciai a sentirmi fragile e insicura. Ad accettare le punizioni, a chinare il capo. Ma ero sempre più stanca e infelice.
Dove era il mio nobile cavaliere? Dove era il mio amore? Non era più lui, lui non c’era più. C’era un bruto, un orco, un padre padrone, un uomo di cui avevo paura: era l’uomo predatore. Un uomo che voleva solo dominarmi, far valere su di me la sua superiorità di maschio, col sopruso, con la violenza psicologica e con il vuoto affettivo.
Poi cominciarono le umiliazioni verbali sulla mia persona anche a livello fisico: voleva ferirmi, denigrarmi persino davanti a nostra figlia, una bambina piccola.
Un giorno mi guardai le mani: erano vuote, sentivo di aver perso tutto, anche me stessa. Tutto si stava sgretolando e con il nostro amore anche la mia persona.
Giorno dopo giorno le sue torture psicologiche avevano frantumato il mio cuore, dilaniato la mia anima, depredato la mia dignità.
A volte urlavo la mia rabbia per dirgli che io esistevo, a volte piangevo disperatamente, ma lui era sordo e cieco, era di pietra e io cadevo ai suoi piedi, inerme, priva di forze, implorando il suo ascolto.
Cominciarono gli attacchi di panico. Sempre più forti, sempre più frequenti.
Quando lui mi vedeva ridotta così mi accoglieva di nuovo tra le sue braccia, mi dava l’illusione che fosse stato tutto un brutto incubo, che ero fragile, malata e che dovessi riprovarci, anche per nostra figlia. Proprio questi momenti di ritrovata dolcezza, in realtà mendace e parte della strategia del demone, mi tenevano ancora legata al mio aguzzino.
Io ormai ero come neve al sole, come un cencio vecchio che era stato buttato via. Lui ormai mi faceva sentire una matta, bellicosa, instabile. Me lo diceva anche, ma era lui ad avermi ridotta così. E lui voleva passare per la vittima, non per il mio carnefice.
”La mamma è matta” disse un giorno alla nostra bambina.
Si, stavo scendendo agli inferi, negli abissi del dolore, della paura, della disperazione. E non esistevo più. Desideravo solo la morte.
Una sera ebbi il coraggio di guardare me stessa dal di fuori e poi guardai mia figlia, la mia bambina, una piccola “me”. Fu in quel momento che capii che non potevo, non volevo, non dovevo più continuare così. Cominciai il viaggio della risalita, un viaggio faticoso ma in compagnia di altri: un esercito di anime belle che mi hanno aiutata a ritrovare me stessa, la mia forza interiore, la gioia di vivere.
Ora, dentro di me, c’è un giardino rigoglioso di fiori colorati, dai mille profumi. Ci sono il mare e il vento, le salite e le discese, le colline sinuose, ci sono la forza e la serenità. In questo giardino c’è una piccola serra dove sono custoditi i fiori più delicati e preziosi. Lì nessuno può più entrare, nessuno può più calpestare quei fiori. Sono la forza e la bellezza delle donne. Sono i fiori della nostra dignità.
Stiamo allerta contro l’uomo predatore! Condividiamo le nostre tempeste e le nostre rinascite, la violenza fisica ma anche quella psicologica, l’abuso silenzioso, il gaslighting.
Non dobbiamo avere paura, mai darci per vinte. Chiediamo aiuto, per ritrovare noi stesse e rinascere. Come la fenice.
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