Una delle prime cose che mi ha colpito quando ho iniziato a frequentare Parigi con una certa regolarità sono quattro (4) vetrine, proprio sotto casa, nel quartiere più gaio e meticciato di Parigi. Una insegna verde che poi si graficizza in un precipizio di lettere che cadono sulle vetrate e infine si squagliano una dentro l’altra.
All’interno del negozio una serie di espositori, colori diversi per suggerire e semplificare l’offerta. Cibo, fondamentalmente, oltre a una serie di prodotti per la cura della persona.
Ristorazione funzionale, ma anche precisa e ludica. Linea classica gialla, lilla leggera, nera ricette dello chef, viola gourmand della tradizione. E tutto monop, monoporzione. Il posto infatti si chiama proprio Monop. Mi crogiolo per un bel po’ di mesi nel pensiero che il nome derivi da una idea di una catena di negozi dedicato ai mono, ai mini, ai micro. Poi invece scopro che deriva da una iniziativa commerciale di Théophile Bader, il creatore delle ben più note Galeries Lafayette. Negli anni trenta, in piena crisi economica, fonda i magazzini popolari Monoprix, tutto a monoprezzo.
E questo concetto di mono, qualche decennio più tardi, diventa il motore di una nuova iniziativa, non più monoprezzo ma, elidendo una “r”, monopezzo, monoporzione. Per proprietà transitiva monopersona, et voilà.
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