Recentemente l’Istat ha pubblicato il report “Matrimoni, unioni civili, separazioni e divorzi” relativo all’anno 2020 che conferma, dati alla mano, come la pandemia, e la crisi economico-finanziaria conseguente, abbiano indotto molte persone a rimandare o rinunciare a nuovi progetti di vita. Tra questi anche sposarsi, separarsi o divorziare.
I matrimoni celebrati in Italia sono stati 96.841, il 47,4% in meno rispetto al 2019. In calo soprattutto le nozze con rito religioso (-67,9% contro -28,9% dei matrimoni civili) e i primi matrimoni (-52,3%)”. La battuta d’arresto -viene spiegato- si osserva a partire da marzo 2020 con picchi ad aprile e maggio proprio per via delle pesanti restrizioni imposte dalla pandemia. Alcune misure di contenimento (divieto di assembramenti, numero massimo di persone in caso di eventi) hanno comunque riguardato l’intero anno 2020 e si sono protratte nel 2021. Ulteriori elementi a sfavore delle nozze si sono aggiunti, via via, a seguito del dispiegarsi degli effetti sociali ed economici indotti dalla crisi sanitaria.
A livello territoriale, il calo è molto più pronunciato nel Mezzogiorno (-54,9%) rispetto al Centro
(-46,1%) e, soprattutto, al Nord (-40,6%). La diversa intensità nella diminuzione dei matrimoni è riconducibile anche alle diverse tipologie di celebrazioni e festeggiamenti e al livello di partecipazione che in genere contraddistinguono le tradizioni del nostro Paese. “Il crollo del 2020 accentua drammaticamente la tendenza alla diminuzione della nuzialità che si osserva da oltre quarant’anni, legata a profonde trasformazioni sociali e demografiche” -rileva l’Istat- precisando che “la caduta dei matrimoni è attribuibile soprattutto al calo delle prime nozze che, nel 2020, registrano un nuovo minimo, soltanto 69.743 (-52,3% rispetto al 2019). A diminuire di più sono state le prime nozze con lo sposo in età tra 30 e 39 anni (-55,8%) e quelle con la sposa fino a 39 anni (-54,4%). Un calo più limitato riguarda invece i primi matrimoni in cui entrambi gli sposi hanno almeno 50 anni (-26,9%)”.
Nel 2020 sono state celebrate 18.832 nozze con almeno uno sposo straniero, in diminuzione del 44,9% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, la quota sul totale dei matrimoni è rimasta praticamente invariata: il 19,4% rispetto al 18,6% del 2019. I matrimoni misti (in cui uno sposo è italiano e l’altro straniero) ammontano a oltre 14 mila (circa 10 mila in meno rispetto all’anno precedente). Hanno subito una dura flessione invece le nozze di cittadini che dall’estero sceglievano l’Italia come location per il loro sì: le restrizioni alla mobilità internazionale hanno pesato fortemente e così le nozze di coppie di stranieri in cui nessuno dei due è residente nel nostro paese sono passate dalle 4.094 del 2019 alle 918 del 2020 (-77,6%).
In sintesi: le diminuzione hanno coinvolto soprattutto i riti religiosi, le nozze tra i giovani, le unioni tra stranieri e quelle al Sud. La notizia del crollo di matrimoni non è nuova e non è del tutto legata alla pandemia. Sono infatti almeno 40 anni che in Italia – rilevano i ricercatori Istat –c’è una tendenza alla diminuzione della nuzialità, legata a profonde trasformazioni sociali e demografiche. Sin dalla metà degli anni Settanta si è assistito sia alla posticipazione dell’età al primo matrimonio sia alla progressiva diffusione delle libere unioni, quasi quadruplicate dal periodo 1999-2000 al 2019-2020 (da circa 380mila a poco meno di 1 milione 400mila). L’incremento dipende prevalentemente dalla crescita delle libere unioni di celibi e nubili (da 170mila a 863mila circa). Anche la bassa natalità che si osserva sempre dagli anni Settanta ha avuto effetto sui matrimoni. Meno giovani significa, secondo Istat, meno matrimoni anche a parità di propensione a sposarsi. Qualche oscillazione curiosa però c’è stata: ad esempio, è stato osservato un aumento dei matrimoni nel 2000 con il cambio di millennio.
I dati provvisori Istat relativi ai primi nove mesi del 2021, mostrano come i matrimoni siano raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2020. Questa ripresa delle nozze, tuttavia, non è sufficiente a recuperare la situazione precedente al 2020. Confrontando, infatti, i primi nove mesi del 2021 con lo stesso periodo pre-pandemico la variazione resta infatti negativa (-4,5%) e in linea con la diminuzione già sperimentata negli anni più recenti.
Sono soprattutto le coppie a basso reddito quelle che non se la sono sentita di affrontare una separazione o un divorzio, ben sapendo che oltre al costo umano ed economico vi è un conseguente e grave impoverimento delle finanze familiari a causa della duplicazione dei costi, come quelli legati alla necessità di mantenere due abitazioni. Separarsi e divorziare è, infatti, per molti un lusso che non ci si può permettere, ora. Questo spiega, dicono gli esperti, il fatto che, nel caso in cui la separazione non sia più rinviabile, si sia cercato di farlo in accordo.
“La pandemia ha avuto impatto anche sull’andamento dell’instabilità coniugale scrive Istat – soprattutto nel periodo delle chiusure degli uffici e delle restrizioni alla mobilità; in particolare, nel caso dei provvedimenti presso i Tribunali, la conclusione dei procedimenti del 2020 ha riguardato separazioni e divorzi iniziati negli anni precedenti”. “Le separazioni legali – si legge – rappresentano ancora oggi in Italia il fenomeno più rappresentativo dell’instabilità coniugale, considerando che non tutte si convertono in divorzi, nonostante le semplificazioni procedurali introdotte a partire dal 2014”. Nel 2020, le separazioni sono state complessivamente 79.917 (-18,0%). Dopo l’aumento tra il 2015 e il 2016 (da 91.706 a 99.611; +8,6%), le separazioni si sono mantenute fino al 2019 sullo stesso livello, con piccole oscillazioni. Nello stesso anno i divorzi sono stati 66.662, il 21,9% in meno rispetto al 2019 e il 32,7% in meno nel confronto con il 2016, anno di massimo relativo (99.071 divorzi).
La composizione tra separazioni/divorzi consensuali e giudiziali risulta pressoché invariata rispetto all’anno precedente. Infatti, nel 2020 l’85,3% delle separazioni si è concluso consensualmente, percentuale rimasta pressoché stabile nell’ultimo decennio. È più contenuta la quota di divorzi consensuali (71,7% nel 2020) ma sostanzialmente in linea con l’anno precedente (70,1%). Dopo il picco del 2016 (78,2%) la proporzione di divorzi consensuali decresce per tornare in prossimità del valore di inizio decennio (72,4% nel 2010).
Considerando il complesso dei provvedimenti consensuali (sia extragiudiziali che non), quasi una separazione consensuale su tre e quasi un divorzio consensuale su due avviene al di fuori del Tribunale. I percorsi consensuali extragiudiziali (D.l. 132/2014) riguardano rispettivamente il 26,7% di tutte le separazioni e il 32,7% dei divorzi. Negli accordi extragiudiziali per separarsi o divorziare le quote delle negoziazioni assistite da avvocati (ex art. 6) sono, rispettivamente, 43,0% e 29,1%, entrambe in crescita rispetto al 2019 (37,7% e 24,9%).
Nel 2020, 12.177 separazioni e 15.467 divorzi sono stati effettuati direttamente presso il Comune (con tempi e costi molto più bassi rispetto alle altre tipologie): si tratta del 15,2% di tutte le separazioni e del 23,2% di tutti i divorzi, quote in linea con quelle dell’anno precedente.
Infine, dall’analisi dei primi nove mesi del 2021, “seppur basata su dati ancora provvisori”, si registra un aumento rispetto allo stesso periodo del 2020 (+36,4% per le separazioni e +32,8% per i divorzi) riportando i casi a livelli simili a quelli del 2019.
Esperti e analisti concordano nel ritenere che le separazioni e divorzi riprenderanno ad aumentare nel prossimo futuro, appena la situazione economica e finanziaria che ha investito il Paese migliorerà.