Non so dove ho letto questa frase recentemente, ma da giorni mi gira nel cuore – giorni in cui io stessa ragiono sulla felicità e sui baratri che si aprono quando ci sfugge di mano e sulla facilità e la totale fiducia con cui l’accogliamo – quando torna.
I va e vieni della felicità possono essere spossanti.
Nel 1997 i CSI cantavano che la felicità è ondivaga, come i movimenti della contorsionista più famosa di Ulan Bator, Bolormaa, star bambina della Mongolia nomade.
Chissà se la bambina Bolormaa è stata felice, qualche volta?
Da sempre questa canzone torna nei miei momenti di peggiore sconforto e negli anni ho trovato talmente tante conferme alla natura ondivaga della felicità, da convincermi che sia una specie di segreto di pienezza.
Una vita piena è una vita di intensità, in cui vivere è stare pienamente in ciò che ci accade o in ciò che facciamo accadere: momento per momento e poi giorno per giorno, sapere cosa ci sta succedendo, con onestà e al contempo gentilezza verso noi stessi, è la chiave per vivere.
Quello che altrimenti resta è un lasciarci vivere, che porta con sé solo fatica – enorme, onnipresente e totalizzante fatica.
I percorsi di crescita interiore, l’amore per il proprio corpo e le sue espressioni, la conoscenza di sé attraverso i molti strumenti che abbiamo a disposizione – l’importante è fare, con onestà e gentilezza verso noi stessi, e non lasciare fare.
È inutile chiedere al cielo di essere sempre felici, è irrealistico: è molto più utile saper godere della felicità quando c’è e del dolore quando non c’è e saper stare nella felicità che non c’è e nel dolore che c’è.
Questa lunga premessa per una storia breve: Francesca è andata fuori di testa, dicono le amiche. In realtà Francesca, ingegnere e mamma single, ha solo raggiunto un tale livello di carico mentale, emotivo e anche fisico che a un certo punto non ha saputo inventarsi altro che un tentativo goffo e malriuscito di suicidio. Una fuga scomposta verso nessun posto.
Non ci è riuscita, nemmeno lo voleva: desiderava solo liberarsi della rete di frustrazione in cui era avviluppata. C’è uno psichiatra che la segue. Ma la seguo anche io, in un percorso in cui Francesca impara concretamente ad essere gentile con sé stessa. E la gentilezza comincia quando ci si lascia andare ai va e vieni della felicità, tenendo saldi i muscoli e sotto controllo il respiro per non farsi travolgere quando l’onda di dolore ci travolge e anche pronti gli occhi e il cuore per godere del cielo sopra la testa, del dondolio della risacca, del sapore salato sulla pelle.
La felicità va e viene: la buona notizia è che anche il dolore viene e poi va.
A completare questo post, vi consiglio due libri:
Simona Vinci, Parla mia paura, Einaudi, 2017
Sharon Salzberg, L’arte rivoluzionaria della gioia, Ubaldini Editore, 1995
Ph ©Letizia Battaglia 1985