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La nanna insieme. Abbandoni e simbiosi

scritto da Giuseppe Sparnacci

Mi chiamo G.

Le scrivo perché ho provato tutto, ma mio figlio non vuole proprio dormire.
Forse le devo fare un breve riassunto della nostra storia per riuscire a capire. Ho rotto il sacco alla 28 settimana di gravidanza, lui è nato alla 32esima, è stato intubato e ha passato i suoi primi 25 giorni in terapia intensiva! Ho allattato al seno esclusivo per 8 mesi, con tutte le pratiche del portare: marsupioterapia, fascia, contatto.
Non so se è importante ma in tutto questo mio marito ha pensato di trovarsi un’altra persona ed ad oggi non vive più con noi. Viene solo a vedere il piccolo e a passare un po’ di tempo con lui.
Fin da neonato mio figlio ha sempre dormito sul mio petto e tra le mie braccia e ancora oggi dorme così a quasi un anno di vita.
Si addormenta senza troppe storie ma nel lettino niente da fare…..solo addosso a me! Lui ha comunque un sonno molto agitato.
Ho provato tutto ma non riesco a staccarlo da me.
In effetti non mi dispiace affatto che dorma abbracciato a me ma vorrei anche aiutarlo a crescere e a renderlo autonomo. Credo inoltre che tutta la nostra storia mi abbia reso morbosamente attaccata al piccolo e non penso sia salutare per lui! Mio figlio mi ha aiutata molto e forse questo è stato il mio modo per non farlo soffrire per la nostra situazione famigliare, per proteggerlo! Ha qualche consiglio per me? Come posso fare? La ringrazio per il suo aiuto…..

I consigli dati dall’esterno spesso non servono a molto, perché appunti “estranei”. Cercherò di darle piuttosto un aiuto offrendole delle riflessioni. Nelle poche righe in cui lei condensa una storia intensa, lunga più di un anno, tra madre – padre (che ha abbandonato) – figlio, io posso solo cogliere degli spunti e sottolinearli.

La vostra storia (di mamma e figlio) mi appare all’insegna della reciproca protezione: lei che protegge un bambino nato immaturo e separato da lei per 25 giorni da ulteriori possibili separazioni, lui (il bambino) a cui si richiede una protezione verso la madre dai suoi dispiaceri (abbandono del compagno – e padre –,timori vissuti per la rottura pretermine del sacco amniotico e della nascita). Una protezione che è sicuramente una grande rassicurazione per entrambi. Abbiamo sofferto, abbiamo dovuto guadagnarci la nostra unione e ora ci teniamo stretti l’uno all’altro. Lei stessa lo ammette, scrivendomi che in fondo non le dispiace affatto che Enrico dorma abbracciato a lei. Ma nello stesso tempo insinua il timore che questo rapporto l’abbia resa morbosamente attaccata al piccolo e ha paura che per lui non sia salutare.

Con tutte le motivazioni comprensibili derivate da quanto mi racconta, le chiedo però (e la invito a chiedersi): lei perché vorrebbe (se lo vorrebbe) modificare le vostre reciproche abitudini? Per il bene del bambino? Perché lo stretto contatto comincia a pesarle? Per aiutarlo nella crescita di una autonomia? Per il bene di lei mamma? Per il vostro reciproco benessere?

L’avverto da subito che le abitudini consolidate in questo primo anno saranno dure da modificare. Se vuole intraprendere una strada di cambiamento delle abitudini apprese dal bambino ci vorrà tempo e pazienza da parte sua. Il bambino dovrà trovare altri punti di sicurezza che non sia solamente il contatto con il suo corpo. Non c’è niente di sbagliato di per sé nel dormire abbracciati, utilizzare a lungo fasce e marsupi, attuare il cosiddetto alto contatto anche nella vita da sveglio del bambino. Ma in futuro è facile che ne soffrirà l’autonomia reciproca e forse il bisogno di autonomia ne soffre già adesso. Sono convinto che il bene più grande che possiamo fare ai figli (e a noi stessi) è quello di aiutarli (e aiutarci) a essere autonomi. Un po’ come fa mamma gatta.

L’autonomia nasce e si sviluppa nel piacere di provare a fare le cose da se stessi. Essere convinti di voler regalare questa capacità a un figlio è già una buona strada per saper cogliere le occasioni da offrirgli. Per suo figlio che ha sperimentato per tutti i giorni di tutti i suoi mesi di questo primo anno questa modalità di attaccamento, non esiste una alternativa. Questa andrà costruita piano piano, aiutata dal linguaggio che sicuramente (col tempo) farà capire al bambino ciò che gli si chiede.

Mi sento di dirle (se già non la fa) di non chiudere la sua vita e quella di suo figlio a una dualità esasperata. Quali altre persone vede (o potrebbe vedere) il bambino? E quali altre persone vede (o potrebbe vedere) lei? Il bambino va (o potrebbe andare) all’asilo nido o quali aiuti lei riesce a utilizzare? E così via: è importante crearsi una rete, è importante che suo figlio abbia anche altri esempi e affetti oltre il suo (che è sicuramente fondamentale). Riesce a confrontarsi con altri genitori, non per condividere solo i problemi ma anche la bellezza, la creatività, la crescita gioiosa di un bambino che costruisce il suo mondo?

Le auguro una grande serenità per il futuro.

autore

Giuseppe Sparnacci

Psicologo e psicoterapeuta, sono padre separato di un figlio e nonno di tre nipoti. Già autore di uno dei racconti di smALLholidays, il secondo titolo della collana smALLbooks per Smallfamilies® (Cinquesensi Editore), sostengo le attività dell’associazione e per il sito mi occupo, insieme con Laura Lombardi, del progetto “Riletture in chiave Sf”.

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