Progetto Oltre la pandemia STORIE

La prima causa per riconoscimento di prole extraconiugale. Michela Dazzi

scritto da Smallfamilies

La prima causa per riconoscimento di prole extraconiugale in Italia si deve a Michela Dazzi, autrice e scrittrice, oggi nonna orgogliosa. Una battaglia civile che risale a 50 anni fa e ha fatto storia. Di recente è stata approvata la legge che consente di dare il doppio cognome, o comunque non pone ostacoli a usare il cognome solo della madre, anche in casi in cui l’altro genitore non ci sia. È un modo per slegare il riconoscimento dalla sola figura paterna. Il tema è stato dibattuto più volte in parlamento e ora è legge. Chissà, forse i due anni di pandemia, mettendo in palese evidenza la fragilità giuridica e sociale delle madri single, hanno portato a più miti consigli.

Abbiamo chiesto a Michela Dazzi di ricordarci la sua storia e se sente che questa legge sia anche un po’ merito delle sue battaglie.

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Siamo negli anni Sessanta ed è fondamentale rammentare che il diritto di famiglia era tagliato totalmente su abiti patriarcali: i figli erano riconosciuti nel matrimonio e come legittimi gli veniva dato il cognome del padre, cosa che in automatico è avvenuto fino a oggi. I figli nati fuori dal matrimonio potevano essere riconosciuti come figli naturali. Dal 2013 questa distinzione non esiste più: tutti i figli sono legittimi. Questo per dire che le cose, quando iniziai la battaglia civile, erano molto diverse da oggi. Allora le ragazze che procreavano fuori dall’istituto del matrimonio, dovevano anelare al riconoscimento del figlio da parte del padre naturale, che se c’era aveva la facoltà o meno di fare quel gesto. Molti non c’erano e le madri restavano bollate, emarginate a coccolarsi un figlio di N.N. perché se un padre non riconosceva il proprio figlio, la madre non aveva nessun diritto di esercitare la patria podestà. Molti altri padri naturali, pur essendoci, non lo facevano quel gesto umano, perché magari sposati. Così le madri nubili vivevano tutta la vita rincorrendo uomini, magari inetti, affinché dessero il cognome al figlio.

La mia storia rientra in uno di questi casi.

Dicevo, anni Sessanta. Lui era un giornalista importante, direttore di giornale all’epoca, aveva vent’anni più di me ed era un amico di mio padre. Ci siamo innamorati prima che io rimanessi incinta, e quando lui andò da mio padre a raccontargli la situazione, mio padre mi buttò fuori di casa, senza appello. Così andammo a vivere insieme, appoggiandoci alla casa di un amico. Quando rimasi incinta della prima figlia successe il finimondo, soprattutto perché lui era separato, ma ancora sposato perché la riforma del diritto di famiglia e il divorzio sarebbero arrivati più di dieci anni dopo. Rimanemmo però insieme e io restai incinta una seconda volta, per scelta: volevo tenere insieme la famiglia, farne una più grande e unita, nonostante gli ostacoli. Arrivammo così al 1967, anno di nascita della mia secondogenita. Intanto le cose nella coppia si guastarono al punto che decisi di andarmene. Mi trasferii a vivere a Roma dove iniziai a lavorare tra carta stampata e Rai grazie anche a un cerchio di amicizie legate al padre delle mie figlie, che a quel punto sceglie di non avere più rapporti con noi, non riconosce le creature come figlie naturali, non pensa mai, ovviamente, alla loro sussistenza. Lavoravo molto, soldi ce n’erano anche se non in allegria, ma ce n’erano. Sergio Zavoli mi ha fatto lavorare in Rai e mi ha molto valorizzato. Anna Maria Mori, allora caporedattrice di Annabella, mi ha aiutato a lavorare. Per citare solo due delle persone che mi sono state vicino.

La mia famiglia, invece, è stata completamente assente, non avevo più rapporti con loro. Avevo un fratello pittore, con lui ci si vedeva, ma morì giovane. C’erano anche aiuti dello Stato, ma finivi nelle liste di coloro a cui si poteva togliere il figlio, quindi no grazie.

A piccoli e grandi balzi, però, ci si avvicina alla riforma del diritto di famiglia e a quel punto alcune cose si smuovono: si può iniziare una battaglia legale. Con Laura Remiddi, grande avvocatessa che mi prende in carico, iniziamo la causa di riconoscimento di paternità delle mie figlie. Abbiamo chiamato a testimoniare dal direttore del Corriere della Sera, a grandi nomi della letteratura e della cultura che frequentavano la nostra casa quando nacquero le bambine.

Nel percorso legale dovemmo fare anche le analisi del gruppo sanguigno, portammo avanti la causa prima a Roma, poi a Milano. Facevo la spola tra le due città. Una causa durata 10 anni durante i quali il padre delle mie figlie muore, lasciando un altro figlio di dieci anni più grande delle mie. La battaglia legale procede lo stesso e alla fine vinciamo la causa. Le mie figlie anziché avere quell’N.N di fianco al nome, possono scegliere di prendere il cognome del padre. A quel punto, però, le mie figlie rifiutano: non lo hanno praticamente conosciuto, lui non è mai stato con loro e ora è anche deceduto. Loro si riconoscono nel mio cognome e alla fine è questa la linea che passa. Nel mio libro Il matrimonio extraconiugale (ndr ormai fuori catalogo) ho raccontato la mia storia: la vita di una ragazza-madre dell’epoca, ne parlavo con ironia che salva sempre la vita.

Sono felice che le mie figlie abbiano scelto il mio cognome e in questo siamo state tutte antesignane: oggi la legge permette il doppio cognome, addirittura.

Penso che sia una giusta legge, ma credo anche che la cultura e la tradizione conservatrici siano dure a morire, le donne avranno ancora molte difficoltà a usare il doppio cognome, penso che sarà accettato più facilmente in ambienti molto emancipati.

I giudici, poi, non hanno sempre un atteggiamento positivo verso le donne che scelgono di essere madri single, soprattutto nella parte di Europa dove viviamo.

Questa legge apre una finestra su una nuova cultura e in effetti mi pare un riconoscimento verso le madri single, soprattutto. Speriamo che le madri nubili smettano di rincorrere uomini inetti e che non vogliono esserci: il cognome è anche un fatto di patria podestà.

 

 

immagine: © S. Hermann & F. Richter – pixabay.com

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Smallfamilies

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