Prodotto e distribuito da Netflix, è disponibile in questo periodo sulla stessa piattaforma La vita davanti a sé, film con Sophia Loren, diretto da di lei figlio Edoardo Ponti. Film che viene proposto nei titoli di testa come “basato” sul romanzo La vita davanti a sé di Romain Gary, uscito nel 1975, capolavoro assoluto intorno al quale ho lungamente scritto qualche anno fa una delle nostre “Riletture in chiave in sf”
Quel “basato” è un abuso, un tradimento. Il tradimento non sta nel fatto che il quartiere parigino di Belleville diventa nel film una Bari simil-Napoli, non sta nella trasposizione della vicenda in un tempo recente, cellulari alla mano. Il tradimento sta nel fatto che di tutto ciò che rende il libro una creazione palpitante, commovente, profonda, tenera, costruita su un’invenzione linguistica geniale, nel film non resta pressoché nulla.
Dello strepitoso romanzo il film non porta sullo schermo niente se non il titolo e i nomi dei personaggi.
Già nel 1978 era stato portato sugli schermi un film ispirato al romanzo, con protagonista Simone Signoret, e già di quel film era stato scritto che non riesce a mantenere l’incisività e la freschezza del romanzo. Così come era stato scritto che il film sta in piedi solo grazie alla bravura della protagonista.
La stessa cosa possiamo dire a proposito di questo nuovo film. Con un’aggravante.
Non basta neppure la bravura della protagonista per farlo stare in piedi. La Loren è super, magari la candideranno pure all’Oscar, Dio ce ne salvi, e non era certo necessaria questa interpretazione per ricordarcelo, ma davvero non basta. Non basta la sua bravura a dar luce, a dare profondità, calore, emozione. Il film è spento, piatto. Della splendida storia, della descrizione così avvincente di una relazione viscerale fra un bambino musulmano e una ex prostituta ebrea, surrogato di madre, obesa e malata, ci arriva una banalizzazione irritante, una narrazione prevedibile, stanca, piatta. Un film inutile, dalla regia ugualmente piatta, banale. Un film girato da un regista che probabilmente riesce a fare quel mestiere solo grazie al suo nome. Non se ne sentiva proprio il bisogno.
Viva Roman Gary, viva la vera letteratura. La vera Arte.