L’adozione mite: è tornata a parlarne la recente sentenza della Corte di Cassazione n.1476 del 25 gennaio 2021.
In Italia la legge n.184 del 1983 regola due tipi di adozione:
1) l’adozione legittimante, o meglio adozione piena (dopo la legge del 2012 che ha parificato tutti i figli, per cui non esiste più la terminologia figlio adottivo): il minore, dichiarato in stato di adottabilità, acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti e recide ogni legame con la sua famiglia biologica e con il suo passato;
2) l’adozione in casi particolari, o meglio adozione semplice: il minore, non necessariamente dichiarato in stato di adottabilità, viene accolto da una famiglia e non recide il suo legame con i genitori biologici.
Ci sono altri tipi di adozione: l’adozione cosidetta mite e l’adozione cosidetta aperta.
L’adozione aperta di origine anglosassone, prevede il mantenimento dei legami con la famiglia d’origine, nonostante ci sia la dichiarazione dello stato di adottabilità, in virtù dell’importanza di non recidere i legami affettivi preesistenti positivi per il bambino.
Nell’ordinamento italiano nessuna delle due trova una regolamentazione formale, anche se la giurisprudenza dei Tribunali ordinari ha utilizzato la norma dell’adozione in casi particolari, l’art. 44, 1 comma, lettera d), per applicare l’adozione mite nelle situazioni di abbandono semipermanente, ovvero di grave fragilità genitoriale, seppure in presenza di un rapporto affettivo significativo.
L’interpretazione estensiva di questa norma è stata avvalorata anche dalla stessa Corte EDU, la quale ha condannato l’Italia per aver preferito l’adozione legittimante anche a scapito del diritto alla vita familiare ex art. 8 della Convenzione (Zhou vs Italia).
La recente Cassazione, quindi, ribadisce che la pluralità di modelli di adozione presenti nel nostro ordinamento, tra cui l’art. 44, lettera d), impone di valutare, di volta in volta, tenendo conto della peculiarità del caso concreto il ricorso al modello di adozione che non recida in toto i rapporti del minore con la famiglia d’origine, piuttosto che il ricorso all’adozione “legittimante”.
Ne consegue che il giudice deve sempre accertare se sussiste l’interesse del minore a conservare il legame con i suoi genitori biologici, anche se non pienamente idonei. L’esclusione della piena capacità genitoriale non comporta di per se stessa che il genitore non possa rivestire un ruolo importante e complementare, rispetto a quello svolto dalla coppia affidataria, nella vita del minore e nell’interesse dello stesso.
Nel caso, dunque, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dalla madre, la quale aveva sempre dimostrato di non voler abbandonare la figlia e di volersi gradatamente riavvicinare e recuperare un rapporto affettivo, pur ammettendo di non essere in grado pienamente di accudirla e riconoscendo l’affidamento come un’opportunità per la figlia. Il giudice dell’appello, erroneamente, aveva concluso per confermare lo stato di abbandono, non approfondendo la situazione concreta della madre, anche mediante la consulenza psicologica.
La sentenza si pone, dunque, in linea con l’orientamento prevalente che considera l’adozione legittimante l’extrema ratio, alla quale deve preferirsi l’adozione in casi particolari. Ne consegue che la dichiarazione di adottabilità rimarrà possibile solo in casi estremi, quali il minore non riconosciuto alla nascita, il minore gravemente maltrattato da genitori irrimediabilmente violenti, il minore totalmente trascurato da genitori inesistenti sul piano educativo e affettivo.
Ad oggi i casi più frequenti non rientrano tra questi, ma tra quelli in cui l’inadeguatezza dei genitori è parziale o altalenante ed esiste un rapporto affettivo tra genitori e minore. L’autorità giudiziaria e i servizi sociali, dunque, dovranno attrezzarsi, avendo ben chiaro fin dall’inizio che la rescissione dei legami non potrà essere la norma, ma la protezione delle relazioni.
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