“L’amour flou: come separarsi e restare amici” è una commedia francese del 2018 uscita in questi giorni nelle sale italiane che ha ottenuto due candidature al prestigioso premio Cesar del 2019.
Romane Bohringer e Philippe Rebbot, dopo 10 anni di vita in comune, scrivono, dirigono e interpretano la storia della loro separazione coinvolgendo come attori le loro reali famiglie (i due figli Rosa e Raoul, i rispettivi genitori, il loro cane) e girando le scene nei loro veri luoghi.
Questo film (ventisei giorni di riprese, suddivisi in sei mesi) è una ironica e a tratti surreale autobiografia della loro separazione. Un insolito progetto sentimentale (e immobiliare) che suggerisce un modo diverso di guardare la fine di una coppia e la costruzione di un diverso ménage familiare e genitoriale.
“Contrariamente a quello che si può pensare, Philippe e io siamo piuttosto pudici – racconta Romane – eppure l’amore, la famiglia, i bambini sono temi che riguardano tutti. Abbiamo pensato che la nostra storia intima potesse essere condivisa, ci siamo visti come eroi di una commedia sentimentale. Nel film tutto è vero ma tutto è trasformato, digerito, sublimato. Avevo paura dell’esibizione – confessa Philippe – Romane però mi ha convinto che tenendo unicamente la vena comica della situazione avremmo tenuto una distanza ragionevole tra il film e la nostra vita.”
Non ci sono avvocati, né tribunali; non c’è rabbia, né violenza. I due protagonisti decidono di separarsi senza conflitto, di rimanere complici, di rivoluzionare l’idea stessa di separazione e di famiglia. Sembrerebbero ispirarsi alla pratica collaborativa (https://praticacollaborativa.it) anche se non la menzionano in modo esplicito.
Anche il modo di riorganizzare lo spazio, prevedendo due appartamenti contigui e autonomi ma collegati tramite la stanza denominata “SAS” (Stanza Accesso Separati), è un colpo di genio e rappresenta una possibile risposta a quell’urgente bisogno di trovare nuove soluzioni all’abitare delle famiglie a geometria variabile, come da tempo andiamo sostenendo noi di Smallfamilies. Non a caso, a un certo punto compare la giornalista e politica Clementine Autain con la quale Philipe fa un ragionamento relativo ai numeri sempre più alti di coppie che si separano e la sempre più problematica questione della casa.
Ogni separazione tocca nel vivo alcune questioni nodali, vitali: dal come dirlo ai figli e alle rispettive famiglie d’origine al problema della casa; dal rapporto con il mondo della scuola al desiderio di rimanere entrambi vicini al figli e nel quartiere dove ci sono relazioni e affetti; dal costo degli alloggi al problema più generale dei soldi.
“Non siamo né sociologi né politici – dice Romane – ma è vero che avevamo voglia di dire qualcosa sul nostro mondo. Abbiamo girato il film durante il periodo delle elezioni in Francia, c’era un clima molto reazionario. Avevamo voglia in modo semplice anche ingenua, di dire: amiamoci, restiamo vicini, inventiamo dei nuovi legami, siamo dolci, siamo divertenti. Per Philippe siamo degli hippie contemporanei, post moderni. Volevamo fare un album musicale ma lo avevano già fatto Yoko Ono e John Lennon.”
In molti potrebbero obiettare che la realtà, almeno qui in Italia, è diversa, che solo nel mondo della finzione o in particolari condizioni è possibile tutto ciò. E’ vero. Non è per nulla facile ma è pensabile. E’ auspicabile.