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L’attività di cura a carico delle donne prima e dopo la pandemia. Un’indagine ce ne parla.

scritto da Gisella Bassanini

Una cosa è certa: l’emergenza covid 19 ha reso visibile come una cartina al  tornasole le criticità già presenti nella nostra società e a lungo ignorate. Fra queste: la difficoltà, se non impossibilità, di  conciliare il tempo della famiglia, il tempo per il lavoro e il tempo per sé, soprattutto  per le donne.

Un’ulteriore conferma dell’arretratezza del nostro Paese in materia ci arriva dall’indagine “Donne e cura in tempo di covid 19” condotta da  IPSOS per conto di  WeWorld* da 50 anni impegnata a difendere i diritti di donne e bambini con progetti di Cooperazione allo Sviluppo e aiuto Umanitario in 29 Paesi del Mondo, compresa l’Italia, e che si inserisce nella campagna #Togetherwebalance lanciata da questa organizzazione italiana indipendente per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle difficoltà che le famiglie e i più fragili hanno attraversato – e attraversano – a causa dell’emergenza coronavirus.

I dati e le considerazioni che possiamo trarre da questa analisi mostrano come le misure messe in campo dalle Istituzioni non sono  adeguate ai bisogni delle famiglie in generale, e delle donne in particolare. Soprattutto queste ultime   dichiarano “un senso di oppressione, di difficoltà nel gestire un carico mentale e fisico enorme, nella maggior parte dei casi senza poterlo condividere con nessuno”. Difficoltà denunciate   anche da chi ha  chiesto  aiuto alla helpline di WeWorld attivata durante l’emergenza e dedicata alle donne.

La riorganizzazione obbligata dei ritmi e tempi della quotidianità tra lavoro, cura della casa, gestione delle attività scolastiche in remoto e dei momenti di gioco dei figli e molto spesso assistenza agli anziani e alle persone fragili ha pesato ancor di più sulle spalle delle donne.

Da Nord e Sud – dice l’indagine –  un numero significativo di donne ha gestito in solitaria l’attività di cura (circa il 60% contro il 21% degli uomini), percentuale che aumenta (71%) nella fascia  31-50 anni e raggiunge il 90% al Sud.

Per quanto riguarda il ruolo dei  nonni va segnalato che al Nord  il 16%  di loro offre un aiuto importante.

Sulla suddivisione del carico di cura domestico e familiare  interessante è notare come all’interno della coppia vi siano percezioni diverse a riguardo come testimonia il grafico qui sotto. E ciò fa riflettere.

A pesare è soprattutto la molteplicità di attività da compiere nello stesso momento: l’essere multitasking è una bella metafora se resta tale ma quando si cala nella realtà della vita quotidiana ecco che allora diventa peso e fatica, voglia di fare le cose con calma e magari una alla volta.

Le donne sono penalizzate anche in fase di ripresa, e tanto più se i nidi, asili e scuole continueranno a rimanere chiusi, come si può osservare dal grafico che segue, e poco ha aiutato e aiuta, per esempio,  il bonus baby sitter utilizzato solo dall’1% dei genitori intervistati.

La pandemia ha avuto un impatto negativo anche sui progetti di vita futuri (cercare lavoro, cambiare casa, andare in vacanza, etc.) e modificato profondamente le priorità: 1 donna su 2 del campione ha rinunciato ad almeno un progetto contro 2 uomini su 5.

Le condizioni di fragilità economica e di povertà sono inoltre aumentate: circa 3 milioni di italiani hanno usufruito di aiuti diretti (consegna pasti, consegna di beni alimentari e di medicine a domicilio,  etc.) da parte delle associazioni di volontariato e del Terzo settore per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia, con maggiore incidenza al Sud.

Una mia considerazione per concludere  

L’indagine, che è stata realizzata nel periodo 5-13 maggio 2020, ha coinvolto 2000 persone,  un campione selezionato in base al sesso, classe di età, titolo di studio, ampiezza del Comune di residenza, condizione professionale, area geografica di appartenenza.

Tra gli  indicatori scelti per definire il campione, e dichiarati nel rapporto di ricerca, non troviamo però la “geometria familiare” delle persone intervistate.  Che peccato, perché questo dato ci avrebbe permesso di comprendere ancor più nel dettaglio le condizioni che danno origine a questa anomala situazione italiana.

Molte donne sono sole nell’attività di cura – questo emerge con evidenza da tutta la ricerca – lo erano prima della pandemia e lo saranno anche in futuro. Ma ciò avviene perché  il partner non collabora?   Oppure, perché  un partner con cui condividere il lavoro di cura domestico e familiare non c’è, o non c’è mai stato? Esiste una rete familiare o amicale che supporta le famiglie? E quali servizi sono presenti sul territorio?

Nelle indagine statistiche o giornalistiche che siano  manca quasi sempre nel nostro Paese (è da anni che lo denunciamo) un’attenzione nei confronti delle nuove forme familiari e delle differenti geometrie che queste hanno assunto nel tempo. Manca un’attenzione  ai  loro bisogni e necessità come è nel caso delle famiglie monogenitoriali.  Non c’è che augurarsi che questa sistematica dimenticanza  un giorno abbia fine. Ne risulterebbe una descrizione della società in cui viviamo  meno stereotipata e scontata e più  vicina anche alle nostre reali vite.

 

* In Italia WeWorld lavora principalmente nelle periferie con programmi nazionali di contrasto alla povertà educativa e di promozione dell’empowerment femminile e contro ogni forma di violenza sulle donne. Allo scoppio dell’emergenza si è attivata immediatamente per non lasciare solo nessuno, garantendo e intensificando le proprie attività, seppur a distanza: sostegno psicologico e genitoriale per le famiglie, supporto nella didattica a distanza, percorsi di supporto dedicati alle donne in difficoltà o a rischio di violenza domestica.

 

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

autore

Gisella Bassanini

Docente e ricercatrice, ho una figlia, Matilde Sofia. Coordino le attività di  Smallfamilies aps di cui sono fondatrice e presidente.  Seguo in particolare  l’area  welfare e policy, le questioni legate all’abitare e per il nostro Osservatorio mi occupo dello sviluppo  di  progetti di ricerca sulle famiglie monogenitoriali e più in generale sulle “famiglie a geometria variabile”.

Abito a Milano (città che amo) e, dopo la laurea in architettura al Politecnico di Milano,  ho trascorso molti anni  impegnata  in università (dottorato di ricerca, docenza, scrittura di libri) e nella libera professione (sviluppo di processi partecipativi,  piani dei tempi e degli orari della città, approccio di genere nella progettazione architettonica e nella pianificazione urbana). Ora insegno materie artistiche nella scuola pubblica e continuo nella mia attività di studio e ricerca in modo indipendente. La nascita di mia figlia nel 2001 ha trasformato profondamente (e in meglio) la mia vita, nonostante la fatica di crescerla da sola. Da allora, il desiderio di fare qualcosa per-e-con chi si trova a vivere una condizione analoga è diventato ogni giorno più forte. Da questa voglia di fare e di condividere, e dall’incontro con Michele Giulini ed Erika Freschi, è nata Smallfamilies aps, sintesi ideale della mia storia personale e del mio percorso professionale.

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