In questo periodo Netflix propone nella sua classifica “top 10”, la miniserie Maid.
La protagonista è una ragazza molto giovane – compagna di un uomo che la ama ma la cui dipendenza dall’alcol lo trasforma e la cui volontà di disintossicarsi non basta mai – la quale, al fine di proteggere se stessa ma soprattutto la figlia di tre anni e garantirle una vita il più possibile serena, trova la forza di uscire dalla condizione in cui si trova. Con niente in mano, nessun appoggio concreto, nessun rifugio.
Alex, interpretata da Margaret Qualley, è infatti figlia di una madre molto eccentrica (interpretata peraltro dalla vera madre dell’attrice, ossia Andie macDowell), di fatto bipolare, totalmente incasinata e non in grado quindi di costituire un riferimento, nonché di un padre dal passato segnato ugualmente da dipendenze e manifestazioni violente il quale ha ricreato una famiglia da cui Alex è di fatto esclusa.
Alex può contare solo sul suo baricentro interiore, sul suo amore, sulla sua morale e rettitudine potremmo dire intuitive. Inizialmente va a tentoni, segue l’istinto, cerca aiuto non nella consapevolezza di averne diritto e di averne bisogno, ma via via, grazie agli incontri, alle strutture di sostegno, e soprattutto al modo con cui affronta e gestisce il disagio sociale e il suo lavoro di addetta alle pulizie, cedendo sì allo sfruttamento, al sottopagamento, ma sempre con dignità, grazie a questo percorso di progressiva presa di coscienza, pur non essendo un angelo, pur incontrando momenti bui, arriva alla svolta sognata. Per sapere come, guardate la serie.
Guardatela, ve lo consigliamo, non solo perché è una storia di riscatto, in cui una madre sola, giovane, dimostra che “ce la si può fare”, non solo perché è una storia di amore incondizionato di una madre verso una figlia, ma anche perché c’è anche dell’altro amore, amore non sempre limpido, amore contraddittorio, a volte incasinato, ma pur sempre amore.
La serie racconta infatti una storia, ispirata alla quella vera di Stephanie Land, autrice dell’omonimo libro, i cui personaggi sono credibili, sono riconducibili a un’umanità autentica, fatta di dubbi, di contraddizioni, di ricadute, di quella non linearità che è di tutti.
Nella vita non ci sono i buoni o le buone da una parte, e gli stronzi o le stronze dall’altra. Siamo tutti e tutte contemporaneamente geniali e meschini. Così nella serie. Che ci piace per questo.