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Mamme, come parlare del padre quando il padre non c’è?/II

scritto da Benedetta Silj

Come parlare del padre quando il padre non c’è, seconda puntata (la prima la trovate qui) prova a rispondere alle molte madri ci hanno scritto spronandoci a riflettere su questo tema e avanzando molti dubbi difficili da sciogliere. In questa seconda puntata rispondiamo ad altri tre interrogativi:

Come spiegare a un bambino che il papà è un uomo sposato e quindi non ha accettato la sua nascita e se ne è lavato le mani? O addirittura che un padre c’era ma è stato allontanato perché era violento con la mamma? E come parlare ai bambini di un padre separato ma immaturo ed egocentrico, che dimentica puntualmente il saggio e il compleanno dei figli?

Anche in questa seconda puntata vi proponiamo alcune riflessioni di massima rispetto ad ognuna di queste situazioni. Non troverete una ricetta universalmente valida, ma solo alcuni spunti da vagliare e approfondire soggettivamente e, quando necessario, con un aiuto mirato.

Quando è sposato con un’altra e se ne lava le mani

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Zeus ed Hera – Athena Fountain di Carl Kundmann, Josef Tautenhayn, Hugo Haerdtl, Vienna.

Sarebbe ipocrita non menzionare questo caso, che è molto più diffuso di quanto non si ammetta e che in genere racconta di una giovane donna implicata in una situazione affettiva deprivante e problematica ancor prima che diventasse madre. Forse ancor prima che diventasse donna, già dalla sua propria infanzia. Cosa può dire una madre, al bambino che crescerà, se il padre biologico ha un’altra famiglia e magari altri figli “legittimi” e non vuole saperne di assumersi responsabilità? Valgono, in linea di massima, i medesimi accorgimenti indicati nel precedente post a proposito di cosa rivelare quando il padre, seppure libero, sparisce dalla circolazione e non riconosce il bambino. Certamente bisogna, anche qui, calibrare ogni scelta caso per caso. Mi preme fornire, però, qualche precisazione a monte di quel che la madre dirà, o non dirà, al figlio, a proposito del suo padre biologico. Mi riferisco alla dimensione affettiva, emotiva ed esistenziale della madre che ha urgente bisogno, in questi frangenti, di un sostegno e di una attenzione particolari. La sua quasi certa auto- colpevolizzazione, infatti, può ricevere un incremento esponenziale dalla colpevolizzazione “sociale”: si viene facilmente etichettate come le attentatrici della felicità familiare altrui e come le artefici della propria sventura e di quella del proprio figlio. Una donna si può sentire talmente sola e discriminata, a quel punto, da non avere più la fiducia e il discernimento necessari a “custodire” la funzione paterna con parole che curano, che soccorrono, che proteggono. Un percorso psicoterapeutico può essere di grande aiuto, in questi casi, per pacificarsi con la propria storia biografica e sentimentale e per arrivare a iscrivere, il bambino che nascerà, in una accoglienza sufficientemente bonificata dal senso di indegnità e dalla sfiducia verso il maschile e verso il padre. Se quest’ultimo si rivela totalmente indisponibile a riconoscere il bambino e anche a frequentarlo durante la sua crescita la mamma dovrà calibrare la comunicazione di questa verità con estrema delicatezza e in modalità talmente soggettive e talmente dosate sull’età e sulla situazione che sarebbe fuorviante indicare delle strategie generiche. Al contempo, però, possiamo affermare che sarà decisiva, sia per la mamma che per il bambino, la presenza di amiche e amici veri . Come riconoscerli? Non giudicano e sono felici di restituire al bambino una immagine di piena potenzialità di fioritura e alla mamma sola una immagine di se stessa degna e amabile, capace di reinventare la sua vita sia come donna che come madre.

Quando è stato allontanato perché violento

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Il ratto delle sabine – Giambologna

Come parlare ai figli di un padre sciagurato e violento che la madre è riuscita ad allontanare da sé e dal nucleo familiare? Non sarebbe meglio “nascondere” la vera natura di certi padri? C’è un film, Il segreto di Esma, della regista Jasmila Zbanic, che risponde in modo struggente e costruttivo a questi quesiti. Anche se il caso narrato dal film si riferisce ad un contesto di guerra, quindi ad una situazione veramente estrema, si tratta di una metafora potente ed esemplare della capacità femminile di proteggere una figlia e di “salvare” contemporaneamente la funzione simbolica del paterno. Ecco, brevemente, la trama del film. Esma è una donna bosniaca al tempo delle guerre etniche nei Balcani, è stata violentata in un campo profughi ed è rimasta incinta. La storia inizia, nel film, quando Sara, la figlia, è un’ adolescente assolutamente convinta della veridicità della “storia” che la madre le ha raccontato: il padre è morto in guerra come eroe. Che tipo di bugia è questa? Non è, a mio avviso, la bugia della mistificazione velenosa, del segreto tossico di famiglia. Secondo me, in questo caso, la bugia è una supplenza etica temporanea (e sottolineo, temporanea) deliberatamente escogitata dalla madre per trovare un posto simbolico al padre, alla funzione paterna. La madre riesce a creare una stampella di supplenza della funzione paterna, nonostante l’orrore della storia, per permettere alla figlia di crescere e strutturarsi con un diritto simbolico alla discendenza dal paterno. La madre adora questa ragazzina e per mantenerla e offrirle tutto ciò di cui ha bisogno si fa anche lei “funzione paterna”: lavora, la educa, la coccola, si priva del cibo per darlo a lei, ma anche la disciplina, dice alcuni “no”, introduce il limite e la regola. Faccio notare che la ragazzina ha una stanzetta sua, non dorme con la madre. Per quanto piccolo e umile sia il loro appartamento, ci sono spazi differenziati. Questo segnala la capacità di Esma di concepire la figlia come altro da sé e questo è molto importante: non usa la figlia per riparare il trauma o il proprio vuoto affettivo. Dunque tira avanti con il suo “segreto benigno”. Finché una gita scolastica, a cui la figlia potrebbe partecipare gratuitamente in quanto figlia di un eroe di guerra, costringe – ma potremmo dire aiuta – Esma a rivelare alla figlia adolescente la verità sul suo concepimento. Il rapporto di fiducia tra madre e figlia è così esposto ad un terremoto radicale. Ma dopo la fase della disperazione spaesante e rabbiosa della ragazzina è come se la forza autentica della cura materna avesse fatto da contenitore sicuro alla emergenza della verità. La loro relazione può ora rafforzarsi e confermarsi nell’ottica della verità perché giunge in un momento in cui la madre ha dato già tutto quel che poteva, ed era tantissimo. La funzione paterna è stata a qualche grado strutturata, protetta e incarnata da una genitorialità femminile-singolare ma generosa, prodiga, vivissima. Ovviamente ogni caso è un caso unico e parlare ai figli di un padre assente perché violento richiede accorgimenti, tempi e modulazioni assolutamente contestualizzate e personalizzate (vedi anche il post di benedetta Silj…quando lui è violento) . Il messaggio del film, ad ogni modo, indica una via: elaborazione del trauma da parte della madre, tempo, fiducia, impegno nel lavoro di differenziazione tra se e i figli, amore della vita e amore della verità.

Quando è separato ma “discutibilmente presente”

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Persefone di Bernini, paritcolare

Si danno situazioni, infine, in cui una madre è di fatto sola perché non può contare, in modo continuativo e fiducioso, sul contributo pratico e affettivo del padre biologico. Mi riferisco a quei padri che dopo la separazione non spariscono del tutto con i figli ma sono intermittenti, distratti o ritardatari sugli appuntamenti pratici e sui compleanni, inaffidabili sul piano del sostegno economico e immaturi ed egocentrici nell’affettività. Non c’è nulla di più delicato, anche in queste situazioni, del modo in cui la madre parla del padre ai figli. Si può inavvertitamente scivolare, infatti, in una rabbiosa e costante negativizzazione di questa figura agli occhi dei bambini. E rendere loro ancora più difficile servirsi costruttivamente della presenza, se pure precaria, della figura paterna. Anche qui il grande passaggio che una donna può compiere è quello di differenziare i suoi vissuti – di rabbia, di delusione, di fatica – dalle esigenze dei figli che stanno crescendo. E capire che la vera urgenza non è conquistare l’alleanza dei bambini contro il padre ma, al contrario, custodire il posto simbolico del padre, tenerlo asciutto e pulito, il più possibile libero da giudizi, reattività, dispetti e contromisure virulente. E’ molto rassicurante per i bambini se la mamma riesce a mettere in massima evidenza quel che c’è di buono, fosse anche poco, della figura del padre reale. La protezione materna del bambino, infatti, presuppone una intelligenza costante e sensibile dei suoi bisogni di bambino. Potersi costruire una imago paterna sufficientemente buona è uno di questi bisogni e laddove è autenticamente possibile occorre “trattare separatamente” la propria rabbia e delusione e sostenere i piccoli con leggerezza, pazienza e fiducia.

Immagine apertura: particolare Endimione dormiente- Antonio Canova

autore

Benedetta Silj

Sono analista biografico a orientamento filosofico (www.sabof.it) e ideatrice, con Carla di Quinzio, dei due Sportelli per "madri sole" e per "padri soli", iniziativa nata in collaborazione tra Philo, Sabof e Smallfamilies aps. Per questo sito scrivo consigli/interventi/risposte/ per l'area "Corpo-Spirito-Mente".

1 commento

  • Io sono cresciuta senza padre. Ha lasciato mia madre quando lei gli ha detto che era incinta o meglio – e rimasto con lei per altri 6 mesi ma solo perchè non sapeva come andarsene da una donna incinta.. Mi ha riconosciuta e poi è sparito nel nulla. Da bambina ho sofferto molto. Non avevo il papà. Mia madre e mia nonna mi parlavono male di lui tipo è un irresponsabile, è una merda. L’unica cosa buona che ha fatto in vita sua sei te. Io ci credevo. Ma quando avevo 15 anni volevo conoscerlo. Volevo conoscere le mie radici. Quello che ho trovato non è un irresponsabile. E non è di certo una merda. È un uomo che non ha avuto scelta. È diventato mio padre senza volerlo come io sono diventata sua figlia senza chiederlo. Ormai ho 24 anni. Sono fidanzata con un ragazzo meraviglioso. E una cosa l’ho capito: La decisione di fare un figlio si prende in due. Non c’e dispetto più grande di quello di una donna che decide da sola di fare un figlio. Che mette al mondo un bambino con un padre che tale non vuole essere. La vera merda in questa storia e mi dispiace dirlo è mia madre.

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