Non è stato facile decidere di scrivere la mia storia. Non solo per la necessità di essere sintetica ma anche perchè farlo ha significato tornare indietro, all’inizio, e ripensare a come è stata la mia vita di madre nubile e a come è ora. La traccia che avete fornito inizialmente l’ho vissuta come un’imposizione (“ma come? mi dicono anche che cosa devo dire?”, ho pensato), in realtà, mi ha molto aiutata a non perdermi tra ricordi e pensieri, desideri e bisogni, gioie e dolori.
Mi guardo e guardo Emma, mia figlia oramai adoloscente. Ci guardiamo spesso l’un l’altra con orgoglio. Da subito si è sviluppata tra noi un’intesa mista a complicità, aiuto reciproco, comprensione e ovviamente tanto amore. Non lo scrivo per consolarmi, ma perché l’ho osservato in tante storie: i figli cresciuti con un genitore solo è come avessero una marcia in più e non solo “qualcosa di meno”, come molti continuanano a voler sottolineare, quasi a godere di questo. In fondo, anche loro sanno bene (e ciò probabilmente li rattrista o li fa innevorsire) che è famiglia ciò che tiene uniti, che crea amore, che aiuta a stare meglio nel mondo, a vivere in pienezza, al di là di convenzioni e pregiudizi e del numero dei suoi componenti.
I primi anni sono stati i piu duri. Il padre a metà gravidanza ha deciso che la sua vita era un’altra. Non l’abbiamo mai più visto né sentito. Le fatiche per me sono state molte, sono ancora molte: lavorare per poterci mantenere con dignità (e pensate oggi con la crisi che ci sta soffocando la vita cosa questo voglia dire…). Il dover chiedere aiuto economico ai propri genitori che per quanto semplici operai e non piu giovani hanno sempre trovato il modo di essere disponibili. Sono a loro infinitamente grata, come lo sono per quegli amici (la mia vera famiglia allargata) che ci sono stati accanto come angeli custodi scesi sulla terra e lo sono ancora.
Una mentalità ancora diffusa tra la gente guarda con una certa diffidenza e pregiudizio quelle madri che da sole hanno messo al mondo un figlio. In fondo, retaggio anche di una certa cultura dura a morire, queste donne (un tempo si sarebbero chiamate “ragazze madri”) sono in “un’anomalia pericolosa”. Non sono parte di una coppia, non hanno un uomo in famiglia (e magari neppure fuori dalla famiglia), sono indipendenti economicamente (nonostante tutto) e volendo possono anche “rubare l’uomo di un’altra”, come una volta mi sono sentita dire da una mamma. Che ipocrisia. Per non parlare del mondo della scuola, quando capita di trovare maestre che in classe fanno fare a tutti i lavoretti per la festa del papà o della mamma sebbene in classe ci siano bambini senza uno di questi genitori, oppure danno temi della serie “racconta i tuoi primi anni di vita” quando tra gli alunni hanno magari bambini adottivi che neppure sanno o vogliono sapere cosa sono stati prima di arrivare qui. Questi esempi mi hanno fatto sempre pensare che ci sia ancora molto da fare, anche se oggi rispetto a dieci o quindici anni fa molte cose sono cambiate. C’é ancora da fare, prima di tutto a livello culturale: tra le famiglie, nella scuola, nella comunità, nelle istituzioni. Ma c’è anche un grosso lavoro da fare su chi come me è un genitore single. Il senso di inadeguatezza, l’isolamento nel quale ci troviamo e in parte ci mettiamo, il sentirsi alla fine “diversi”, la paura del giudizio degli altri (“non sei stata capace neppure di tenerti un uomo”). E poi c’è il continuo dialogo con tua figlia per farle capire che non è lei a essere una perdente, a mancare di qualche cosa, ma è il suo padre biologico ad avere perso qualcosa quando ha deciso di sottrarsi al ruolo di genitore e di uomo.
C’è poi tutto il tema della vita materiale. Viviamo con quanto riesco a guadagnare come lavoratrice precaria, che oggi è come fare un vero e proprio corso di sopravvivenza quotidiana. È come camminare su una fune a chilometri da terra (che per me che soffro di vertigini è veramente un’impresa eroica). A volte vorrei invitare a prendere il mio posto quei formatori per manager che si inventano giochi e simulazioni per temprare il carattere e lo spirito da leader, risparmierebbero soldi e io mi potrei riposare un po’ (conosco mamme single che fanno anche quattro lavori per sbarcare il lunario).
Ma ora voglio anche scrivere del lato bello di questa meravigliosa avventura umana. Il veder crescere tua figlia serena, gentile, autonoma, affettuosa, l’amore degli amici, dei nonni e degli zii. Ed anche constatare che, nonostante tutto, ce la sto facendo. “Brava”, mi dico quando sono un po’ giù.
Cosa vorrei avere per vivere meglio? Sicuramente vorrei sentirmi meno sola in questa avventura, poter contare su delle istituzioni che finalmente riconoscono la mia presenza (come quella di molte altre madri e padri come me) ma soprattutto ottenere piena legittimità e dignità per mia figlia al pari degli altri bambini o ragazzi. Questo accadrà quando avremo finalmente anche in Italia una politica fiscale adeguata, quando ci saranno aiuti adeguati per quei genitori single che sono in sofferenza (e non quattro soldi da destinare agli “sfigati sociali”, scusate la crudezza), ma anche aiuto a chi vive una vita normale e che si può trovare, in certi momenti della vita o per alcuni bisogni, in una condizione di necessità. Quando al centro delle attenzioni non ci sarà la coppia (sposata o non sposata che sia) ma ci saranno i figli. Mi piacerebbe che, così come accade per le famiglie numerose, anche le “piccole famiglie”, come voi le avete chiamate, abbiano attenzione, cura, rispetto. Sono certa che accadrà, prima o poi. Perché è così che, nel bene o nel male, che piaccia o no, sta andando il mondo. Averne coscienza è già un fatto di civiltà. Sarebbe proprio un bel regalo per me, ma soprattutto per mia figlia.