STORIE

Monica e Azwa

scritto da SF storie

Mi è sempre piaciuto arrampicarmi. Sono un Ariete dopotutto. Ma la salita più difficile mi si è presentata con la nascita di mia figlia Azwa. Sono passati dieci anni e sono ancora con il fiato corto anche se ho trovato un passo che mi permette di continuare a salire.

Il mio viaggio con Azwa cominciò sulle montagne del Marocco. Una gravidanza che mi portò tantissima gioia e riempì il cuore di una pace fino ad allora sconosciuta. Quattro giorni dopo la sua nascita, mi sembrò di precipitare: Azwa aveva la Sindrome di Down e necessitava di una operazione al cuore. Da quel momento iniziò una battaglia con me stessa e con le istituzioni. Da donna singola e viaggiatrice mi ritrovai a dovermi occupare di un essere i cui bisogni oltrepassavano di gran lunga quello che avrei mai immaginato di poter offrire. La disabilità mi catapultò in un mondo di paure, pregiudizi (i miei prima di quelli degli altri) e di grande ignoranza istituzionale.

Ma torniamo un po’ indietro. Da molti anni vivo in Inghilterra e dopo la nascita di Azwa, come spesso mi accadde in passato, mi ritrovai stupita per il livello di supporto che il sistema sanitario inglese metteva a disposizione delle puerpere. Per i primi sei mesi una health visitor veniva a casa regolarmente controllando la crescita di Azwa ed assicurandosi che io stessi bene. E proprio a causa della sindrome una circo di professionisti si mise all’opera per sostenere Azwa durante i primi anni di vita: operatori sociali, logopedisti, terapeuti del gioco. Tutti motivati dal principio dell’integrazione del disabile nella vita di tutti i giorni. Malgrado ciò mi ritrovai spesso a dover oppormi ai tipi di intervento che, a mio avviso, non riflettevano il livello di conoscenza e ricerca della sindrome di Down e che ha le sue radici nell’America degli anni ‘50. Una ricerca che mi ha motivata a fare scelte diverse e non sempre facili attraverso le quali Azwa ha raggiunto competenze ben più sviluppate di quanto non si aspettassero quegli stessi professionisti, risultato di alcune mie scelte ma anche di una postura intellettuale che spesso si trova nei paesi anglosassoni. È un modo di proporsi più individuale, di eccentricità forse, ma aperto a un costante rinnovarsi di idee e atteggiamenti sociali. È il raggiungimento di diritti che vengono riconosciuti e mantenuti attraverso sostegni che vanno dall’indennità economica per il disabile ad agevolazioni per i trasporti, per andare a teatro, per attività sociali e di integrazione ed altro, e che fanno parte di quella grande invenzione inglese che è il welfare.

Lo stesso welfare che fa concessioni alle madri con bambini disabili ma anche alle madri single. Una madre single con figlio disabile come me può infatti non lavorare fino al dodicesimo anno di età del proprio figlio ed avere diritto al sussidio di disoccupazione, mentre deve tornare al lavoro al compimento del settimo anno del figlio se questi non presenta alcuna disabilità. Al contempo vi sono altri servizi di sostegno che aiutano coloro che si occupano del disabile – bambino o adulto – ad aver momenti di distacco e riposo. Per esempio foster families o residential short breaks che sono messi a disposizione anche di chi non ha le risorse economiche. Un servizio che è destinato all’utente disabile è il “direct payment”. Attraverso tale servizio il disabile, se maggiorenne, o chi ne fa le veci, riceve dal governo delle mensilità prestabilite per impiegare un personal assistant o badante che lo aiuta in tutte le attività domestiche e/o sociali. Questo servizio mi è stato utilissimo perché mi ha dato modo di riqualificarmi professionalmente mentre mia figlia era seguita da persone competenti e con referenze.

Per me è stata una grande rivelazione sia per l’efficienza (non servono moduli in carta bollata e visite a domicilio), sia per l’accessibilità. Non va dimenticato che questo sistema nasce dalle eccessive differenze sociali in un paese altamente classista. Infatti, il governo corrente conferma ancora una volta che “la democrazia non esiste”, come disse Margareth Thatcher. Tuttavia, il supporto e le opportunità che ho trovato qui mi hanno fatto conoscere ed esplorare una libertà di pensiero e azione che offre, a chi lo vuole, di creare le condizioni per crescere ed esistere come individuo.

La sommità? Non so se ci arriverò mai. Ma come è stato detto da qualche saggio: “non è la destinazione che conta ma il viaggio per arrivarci”. Questo viaggio con Azwa è un’arrampicata libera. Devo solo ricordarmi di non guardare giù ma sù, verso l’infinito del cielo. Quello è il vero limite.

autore

SF storie

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