La Corte di Cassazione (12 maggio 2022, n. 15148) si è pronunciata sul tema del diritto al risarcimento del danno da parte di un figlio non riconosciuto e nemmeno mantenuto dal genitore, per oltre 20 anni.
Il tema non è nuovo e la sentenza ha avuto voce sugli organi di informazione soprattutto per l’entità della somma liquidata. Ma molti e importanti sono i profili toccati da questa pronuncia.
Il caso
Un padre non riconosce il figlio al momento della nascita, e la filiazione è accertata successivamente con sentenza; non partecipa alla sua vita e omette completamente di concorrere al mantenimento.
Raggiunta la maggiore età, il figlio e la madre promuovono azione in giudizio contro il padre naturale: il primo chiede la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non, da lui subiti per la violazione degli obblighi familiari di mantenimento ed assistenza; la madre chiede la restituzione delle somme anticipate per il mantenimento del figlio, dalla nascita al 18° anno di età. Il Tribunale rigetta la domanda risarcitoria e accoglie quella di rimborso del mantenimento anticipato dalla madre, che quantifica in euro 50 mila. Madre e figlio appellano la sentenza, che viene riformata dalla Corte di Appello di Brescia, la quale condanna il padre a corrispondere al figlio euro 150 mila a ristoro del danno anche non patrimoniale patito ed a rimborsare alla madre circa euro 84 mila, come concorso al mantenimento anticipato.
Il padre ricorre in Cassazione e la Suprema Corte rigetta il ricorso, enunciando i seguenti principi:
- l’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio “trova la sua ragione giustificatrice nello status di genitore, la cui efficacia retroattiva è datata appunto al momento della nascita del figlio, per cui l’obbligo dei genitori di mantenere i figli sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsiasi domanda giudiziale”;
- la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce (infatti) gli effetti del riconoscimento e comporta per il genitore, ai sensi dell’art. 261 cod. civ., tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ai sensi dell’art. 148 cod. civ.;
- “la violazione dei doveri genitoriali non trova la sua sanzione, necessariamente e soltanto, nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma comporta che la relativa violazione, nell’ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, può integrare gli estremi dell’illecito civile (endofamiliare) e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’art. 2059 c.c., che possono essere liquidati anche attraverso il ricorso alla valutazione equitativa “pura”.
Qualche parola in più sul tema del risarcimento del danno.
La Corte conferma l’enunciato del Giudice di II Grado, fondata sul materiale probatorio acquisito, per cui “l’assenza della figura paterna aveva senza dubbio comportato un grave pregiudizio per il figlio, privato sin da bambino del sostegno morale e delle cure materiali necessarie ad una serena crescita”. D’altra parte, “ciascun genitore era tenuto al mantenimento, all’educazione, all’istruzione ed all’assistenza morale dei figli, anche se uno solo dei genitori aveva riconosciuto il figlio alla nascita; con la ulteriore precisazione che il disinteresse mostrato dal genitore nei confronti del figlio, se da un lato integrava gli estremi di una grave violazione dei doveri di cura ed assistenza morale da parte del genitore stesso, dall’altro non poteva che provocare una profonda lesione di tutti i diritti del figlio nascenti dal rapporto di filiazione”.
Viene così confermata l’esistenza di una lesione, risarcibile.
Quanto alla quantificazione del pregiudizio, la Cassazione conferma la legittimità del ricorso al criterio equitativo, a patto che la sentenza espliciti i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi posti a base della decisione.
Come, ritiene la Corte, è avvenuto in questo caso: “Infatti, la Corte di merito, dopo avere posto in evidenza che, in conformità all’orientamento di questa Corte (Cass. n. 26205 del 2013), il danno subito dal figlio deve essere liquidato in misura proporzionale “…alla maggiore incidenza dell’assenza della figura paterna durante il periodo cruciale degli anni di sviluppo e crescita… (0-18 anni) e poi in misura decrescente per il periodo successivo… quando ormai la situazione abbandonica può ritenersi, almeno parzialmente, stabilizzata ed ormai, presumibilmente, quasi metabolizzata o in fase di progressiva compensazione…”, acclarato che il C. ben sapeva della esistenza del figlio, ha liquidato il complessivo importo di Euro 150.000,00, somma comprensiva anche del danno non patrimoniale e degli interessi maturati, tenuto conto della durata dell’inadempimento e della assenza di qualsiasi ragionevole motivazione che potesse giustificare il comportamento del ricorrente che aveva omesso di prestare qualsiasi assistenza morale e di contribuire, anche in minima parte, al mantenimento del figlio, in tal modo riconoscendo la gravità del fatto e della sofferenza procurata al figlio”.
Si tratta di un tema estremamente delicato: quale è la compensazione economica socialmente adeguata al pregiudizio sofferto dal figlio?
La risposta non è univoca, questo precedente avrà sicuramente un rilievo, fermo restando che ogni caso è a sé e dunque le circostanze concrete condizionano fortemente l’esito del giudizio.
Come viene, invece, decisa la domanda di rimborso formulata dalla madre? La Corte ha ritenuto immune da vizi la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui, sulla scorta delle condizioni economiche del padre, descritte e da questo non smentite/contestate, ha reputato insufficiente la somma di 50 mila euro liquidata dal Tribunale (pari ad un assegno mensile di circa 231 euro, per i 18 anni di vita del ragazzo), e ritenuto congrua la somma richiesta di euro 83.600,00 (pari a circa 390 euro mensili x 12 mesi x 18 anni).
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