Le parole creano legami, suggestioni, colori, paesaggi. Le parole contengono un senso e danno un senso. Le parole traducono il senso dell’esistere. Le parole viaggiano dentro di noi e ci fanno viaggiare. Le parole trasformano. Le parole narrano e creano ascolto.
Le parole per questo meritano rispetto e cura. Meritano di essere utilizzate con cura.
Purtroppo è invece ancora molto diffuso il costume di utilizzare, in modo perlopiù superficiale e non consapevole, parole od espressioni che di fatto oggi suonano anacronistiche, inadeguate, persino volgari.
Mancando di rispetto quindi alle parole stesse – che evidentemente in origine avevano un portato molto diverso – e a chi le ascolta.
Ci sono persone per cui la scelta di un certo linguaggio anacronistico, scorretto, può anche essere il risultato di una scelta consapevole, ma ci sono soprattutto troppe persone che parlano (o scrivono) senza porre la dovuta attenzione al significato proprio e al valore semantico attuale dei termini che stanno utilizzando e alle conseguenze emotive che questi scatenano.
Lo diciamo da anni. Ne abbiamo scritto ovviamente in particolare rispetto alla terminologia che riguarda le famiglie e i ruoli sociali ad essa connessi.
Diciamo ovvero che una maggiore consapevolezza linguistica potrebbe essere un buon punto di partenza per una maggiore consapevolezza culturale e politica.
L’Accademia della Crusca, attenta alla parole, ogni tanto ci dà soddisfazione e ragione.
Alla domanda su come si potrebbe ovviare all’uso dei termini fratellastro/sorellastra e matrigna/patrigno dà una lunga risposta molto articolata in cui viene proposta la storia di queste parole e i vari tentativi – fallimentari – di sostituirle nel momento in cui hanno perso il loro valore originario.
L’Accademia definisce il loro utilizzo oggi come “inaccettabile” e arriva infine a scrivere che:
“possiamo concludere invitando i nostri lettori a usare fratello e sorella per indicare sia il fratellastro e la sorellastra, sia il figlio e la figlia del partner della propria madre o del proprio padre (anzi, della propria commadre e del proprio compadre), e a considerarli tali. Almeno quando si tratta di persone a cui, come scrive una nostra lettrice, si vuole “un mondo di bene”.
Appunto. Lo diciamo e lo scriviamo da anni.
Attenzione, cura, rispetto. A partire dalle parole.