Quando l’adolescenza incontra un bravo giudice, istituzioni che si esprimono attraverso persone intelligenti, sensibili, competenti e amorevoli, il loro intervento può essere di determinante e fondamentale aiuto per cambiare di segno alla vita di una famiglia. Perché l’amore di una mamma sola, giovane e disadattata può non essere sufficiente.
A sei anni Malony viene abbandonato nell’ufficio di una giudice minorile da una giovane donna isterica, con un neonato al collo, che lo descrive come un bambino diabolico e come un figlio cattivo e dispettoso.
Questa è la scena d’apertura del film. A segnalarci da subito il pensiero di fondo della regista: con questo vissuto traumatico, Malony non potrà che essere instabile, rissoso, violento, incivile, incapace di autocontrollo.
E così sarà. Sebbene la giovanissima madre in quel preciso momento fosse evidentemente in preda a una crisi di nervi, sebbene il suo sentire nei confronti del figlio fosse alterato, sebbene il rapporto nei suoi confronti non sia a senso unico, non mostri soltanto segni di una totale incapacità genitoriale, ma anche slanci di puro autentico amore, Malony crescerà come era prevedibile che accadesse: un soggetto a rischio.
Dopo poche scene lo ritroviamo infatti tredicenne, a fare danni continui, in un perenne dentro-fuori fra mille istituti mentre la madre, immatura, irresponsabile, incasinata, sta provando a gestire da sola almeno il secondo figlio, avuto da un uomo diverso dal padre di Malony e poi ugualmente sparito.
L’unica presenza stabile nella vita di Malony, la presenza davvero rassicurante, il riferimento unico dentro una vita di sbandamenti costanti è e rimarrà la giudice, la persona che a più riprese, nell’arco di dieci anni, viene chiamata a decidere della sua vita.
Perché questa donna, pur dentro la necessità di porre dei limiti, di tentare la strada del rigore, si orienta in una logica di comprensione, fiducia, speranza, senza deflettere mai.
Malony, nonostante il suo istinto autodistruttivo lo porti sempre sul limite del baratro, si vede quindi, ogni volta che arriva davanti al giudice, rilanciare davanti un’altra possibilità, tra cui, non ultima, quella grazie alla quale riesce finalmente a stabilire con una figura maschile, un educatore, un rapporto affettivo solido.
Ovviamente Malony incontra lungo il suo cammino anche molti altri adulti e molte altre figure istituzionali che, per ottusità, invece di operare in favore della sua formazione, con uno sforzo di comprensione, di fatto minano continuamente il suo percorso di crescita. Così, ogni volta, per anni, Malony fallisce e il destino per lui sembra tragicamente segnato. Finché si verifica una situazione straordinaria cui reagisce in modo imprevisto.
Per la prima volta Malony ha la possibilità concreta di non bruciarsi l’occasione, la possibilità di non bruciarsi la vita. Lo farà?
Film d’apertura del Festival di Cannes 2015, A testa Alta è un bel film molto credibile, molto ben pensato e costruito. Un film paragonabile ai migliori film dei fratelli Dardenne, che con Gus Van Sant sono maestri nella realizzazione di opere sull’adolescenza difficile, marginale, dissociata.
L’attore protagonista, lo straordinario Rod Paradot, che compare in quasi tutte le inquadrature del film, è un esordiente ed è un talento puro, ma va detto che la regista Emmanuelle Bercot, passato da attrice, regista anche di cortometraggi, documentari e lungometraggi, lo ha diretto magistralmente.
Lei, che in passato si era già cimentata con tematiche legate all’adolescenza,
era andata alla ricerca di un particolare tipo di adolescente come protagonista di questa storia, ma non era riuscita a trovarlo. Stava quasi per rinunciare a fare il film, quando ha invece deciso di provare con l’unico ragazzo che pur diverso dal suo ideale, le sembrava verosimile per interpretare sia un tredicenne sia un diciottenne. Perché questo elemento per lei era imprescindibile: non voleva cambiare attore.
È riuscita nel suo intento. Il film è totalmente credibile. Non solo perché non rinuncia agli aspetti sgradevoli e violenti del disagio, non solo perché non cede nulla a possibile leziosità, ma anche perché Rod Paradot è credibilissimo sia come tredicenne sia come diciottenne.
Chapeau! Da vedere.
A TESTA ALTA (LA TÊTE HAUTE)
Di Emmanuelle Bercot
Con Catherine Deneuve, Rod Paradot, Sara Forestier, Benoît Magimel, Diane Rouxel.
Francia, 2015
Nelle sale italiane dal 19 novembre