Il mercato editoriale sforna ancora manuali e decaloghi dedicati a genitori, padri, madri e genitori separati. Ma nel tentativo di fornire una “guida utile” accade che confondano il destinatario, già confuso.
Esperto pediatra e celebre psicoanalista, a tutt’oggi imprescindibile punto di riferimento per la psicologia evolutiva, Donald Winnicott * scriveva negli anni ’50:
Sono convinto che la qualità più importante di una buona madre sia una naturale fiducia nelle proprie capacità”.
E aggiungeva che sarebbe fondamentale
evitare di guastare la naturalezza del maternage”
perché norme troppo rigide e anonime ingiunzioni sulle tecniche di allevamento
si frappongono tra una madre e il suo bambino”.
Se questo monito, ai tempi di Winnicott, si riferiva all’invasività dei consigli di suocere, madri, zie, ostetriche, medici e pedagoghi con cui ogni neommma entrava in contatto nella vita quotidiana, oggi andrebbe esteso alla grande macchina mediatica e virtuale che sforna – oltre ai consigli per gli acquisti – liste su liste di regole d’oro e di infallibili decaloghi per essere delle madri perfette o dei perfetti genitori.
Non c’è nulla di più confusivo e deprimente, in realtà, per una madre alle prese con la gravidanza, con il parto, con il suo neonato e con le varie fasi evolutive dei figli, che l’idea di una pletora di esperti scienziati, là fuori, titolari delle verità ultime sul suo intimo maternage e sulla correttezza dei suoi comportamenti di accudimento.
Intendiamoci: l’informazione scientifica, al di qua del suo mito e delle sue derive, è una conquista della civiltà che ha potuto e potrà prevenire tante prassi sciagurate e superate, grazie a Dio, dalla conoscenza e dall’esperienza anche nell’ambito dell’allevamento dei figli. Tuttavia bisogna imparare a identificare le derive insidiose dell’informazione laddove essa pretenderebbe di disciplinare, con formulari superficiali e con ricette universali, l’intelligenza soggettiva dei genitori e la singolare creatività con cui una madre e un padre possono rispondere ai bisogni del bambino.
Laddove ci si sente incerte e bisognose di orientamento, quindi, bisogna certo chiedere aiuto, pareri, sostegno, confronti. Ma bisogna imparare a chiedere aiuto a partire da sé, dalla unicità e contingenza dei propri vissuti e dubbi. E bisogna imparare a selezionare quegli esperti che sanno ascoltare, che amano ascoltare e che, perciò, sono in grado di evocare, valorizzare e incoraggiare le migliori risorse di cui ogni madre dispone già.
Tuttavia non è per nulla scontato, soprattutto per la neomamma, autorizzarsi con fiducia a cercare il tipo di aiuto che fa per lei e assumersi la responsabilità di dissentire da eventuali prescrizioni comportamentali che avverte come inadeguate alla specificità dei bisogni suoi e del suo bambino. “
Alcune persone – spiega ancora Winnicott – fanno fatica a tollerare la responsabilità della nascita di un figlio, per cui accolgono con sollievo qualsiasi regola, norma e precetto che renda la vita meno rischiosa, sebbene un tantino noiosa. Medici e infermiere contribuiscono a incoraggiare questo atteggiamento, mentre a mio parere noi professionisti dovremmo affrettarci a rimuovere qualsiasi ostacolo che abbiamo posto tra madre e bambino”.
Con la sua consueta umiltà e con la sua acuta sensibilità verso i bisogni dell’infanzia, Winnicott prova dunque a sgombrare il campo materno dall’ostacolo delle prescrizioni universali e decontestualizzate. Mira, cioè, a restituire alla madre sicurezza in se stessa e a disinnescare quel senso di tristezza che prova di fronte a decaloghi perentori, somministrati dall’alto in basso come se fosse ovvio e semplicissimo applicarli pena la sua implicita diagnosi di inadeguatezza. Winnicott suggerisce ai genitori, insomma, di sviluppare un discernimento tra la capacità – talvolta urgentissima – di chiedere un aiuto mirato ad un esperto e il passivo adeguamento a ricette omologanti e anonime rispetto alla peculiarità della propria condizione personale, relazionale, esistenziale, psicologica.
Ma allora in cosa consiste, potremmo chiederci, una “buona informazione” ad uso di madri e padri? Come scrivere, per esempio, articoli e post dedicati alle varie sfide della genitorialità, in un modo che sia, al contempo, rigoroso e semplice? Sono domande delicatissime e serie a cui è difficile rispondere in modo “semplificato”! Direi, in punta di piedi, che la fretta superficiale è nemica della saggezza e che lo sforzo etico cui potrebbero tendere oggi i divulgatori sia quello di parlare all’intelligenza critica e autonoma delle lettrici e dei lettori. Rifiutandosi di semplificare a tutti i costi per “vendere di più”. E magari esplicitando sempre che gli spunti offerti in una breve trattazione vanno approfonditi, digeriti, e vagliati dal lettore con attenzione, con
impegno e alla luce della propria esperienza. In seconda battuta direi, infatti, che di una “buona informazione” è responsabile anche l’utenza. Se lettori, spettatori e naviganti del web sono desiderosi di comprendere le realtà complesse della vita senza rinunciare alla propria intelligenza devono forse smettere di abbeverarsi alle liste. Perché le liste non dissetano e, come scrive Umberto Eco, “si arrestano incomplete ai confini dell’indefinito”.
Ci sono liste che hanno fini pratici e sono finite,
come la lista di tutti i libri di una biblioteca;
ma ve ne sono altre che vogliono suggerire grandezze innumerabili
e che si arrestano incomplete ai confini dell’indefinito.
Umberto Eco
(Vertigine della lista, 2012)
*le citazioni riportate sono tratte da D.W.Winnicott, Il bambino, la famiglia e il mondo esterno , Edizione Magi