Il rifugio Venezia sta con la schiena appoggiata alla parete Est del “Caregòn del Padreterno”, come viene chiamato il Pelmo, dorata e austera Dolomite di mezzo. Siamo a circa 2.000 metri di quota e dopo le quotidiane otto ore di mulattiere non ci pare vero vederlo spuntare dai pascoli al tramonto.
È un rifugio CAI e ospita fino a 70 persone in camerate o stanze doppie foderate di caldo legno. Dalle grandi vetrate della sala pare di toccare le imponenti cime a Nord Est, Cristallo, Sorapis, Antelao. Seguo con lo sguardo tra i tavoli una bella signora bionda, col piglio vivace da padrona di casa. Noto che il personale è composto da donne e ragazze e a quel punto mi incuriosisco.
Barbara Feltrin gestisce da sola il rifugio Venezia aiutata dai suoi tre figli, da una nipote, una zia e un’amica dei figli: è a tutti gli effetti una signora smallfamily d’alta quota.
“Di uomo – da quando l’Osvaldo ci ha lasciati – ne abbiamo uno solo che ci aiuta, oltre al mio primogenito (bravissimo cuoco diciannovenne) e al piccolo Valentino (otto anni, apparecchia in sala, ma solo se la mamma gli dà i soldini)”. Poi c’è la zia che fa le torte, la figlia Veronica e sua cugina (quindicenni bellissime) che studiano arte, ma qui servono grappe di fiori fatte in casa.
La difficoltà maggiore? “Quando a mio marito venne l’ictus, quattro anni fa, la gente mi criticò perché decisi di tenere da sola la gestione del rifugio invece di stare con lui all’ospedale di Venezia. Ho fatto avanti e indietro dal Pelmo fino in Laguna tre volte alla settimana, col figlio piccolo in macchina e ho rinnovato il contratto del nostro rifugio anche dopo che mio marito è morto un anno fa. Il peggio comunque è la burocrazia legislativa che ti inchioda quando perdi il padre dei tuoi figli: conti bloccati, giudice tutelare, notaio, garante, inventari, tasse a non finire. Ho rischiato di non poter più lavorare, né d’estate qui, né d’inverno giù al paese (nella Piana del Cansiglio). E non importa se sei sposata o no: le donne dei due ragazzi morti sul Pelmo sono nelle mie stesse condizioni.
Sì…era fine agosto 2011, durante la notte è venuta giù mezza montagna, ha travolto i soccorritori che tentavano di salvare altri due alpinisti feriti sulla Nord del Pelmo. Prima della missione li avevamo rifocillati noi qui…gli alpinisti tedeschi si sono salvati, i nostri amici di San Vito no”.
Scatto due foto di queste signore d’alta quota e racconto loro del progetto milanese www.smallfamilies.it. Subito dallo smartphone di Veronica arriva il “mi piace” su Facebook: questi figli sono cordiali con gli ospiti oltre che affettuosi con la mamma.
La cosa più bella? “C’è una rete forte di sostegno per noi, dall’elettricista che viene su a tutte le ore se il generatore si rompe, alla ‘mamma estiva’ che giù nella piana si occupa del piccolo Valentino quando la famiglia ha tanto da fare. E poi c’è la vita quassù, meravigliosa, anche se di aiuti o facilitazioni non ne abbiamo, anzi dobbiamo pagarci noi pure la manutenzione della mulattiera comunale…ma per me, conclude Barbara, quando hai un problema non devi pensare a quello, bensì alla soluzione!”
Sono le dieci di mattina, il rifugio si è svuotato e mentre, ultima del gruppo, mi allaccio gli scarponi, sento dall’interno i figli adolescenti strillare e inveire in dialetto…meno male, penso, anche queste mamme coraggio hanno i loro ordinari bisticci della crescita, proprio come noialtre “pianeggianti” cittadine!