Alice è stato il regalo inaspettato della mia vita, seguito dal tentativo mio e di suo padre di far derivare da questa sorpresa la scommessa, durata soli 3 anni, di una nuova famiglia “normale”. Di normale non c’era niente, dato che sei anni prima mi avevano data per morta e da quel brutto incidente mi erano rimaste indelebili cicatrici, una brutta zoppia e tanta voglia di vivere la vita pienamente.
Chi mi conosce mi chiama rinoceronte bianco, piccola e ormai pure zoppina sembra agli altri che mi muova come un panzer pur di raggiungere gli obiettivi che mi prefiggo ed è questo aspetto, probabilmente dovuto all’idea di farmi forza sentendomi io stessa piccolina che, assieme alla passione che nutro in ciò che faccio, ha travolto le mie due famiglie una dopo l’altra, data l’assoluta indisponibilità dei miei compagni a lasciarmi fare. Andare incontro alla vita significa anche incontrare le persone e il risultato della paura dei miei due mariti è stato il volermi chiudere in un recinto, il pensare che il rapporto di coppia si fondi su royalties acquisite una volta per tutte. Io penso che tutto si trasformi, soprattutto se stessi, e che pertanto le storie come tutto il resto debbano mettersi in gioco, continuamente.
Questo modo di vedere e vivere la vita naturalmente è un po’ faticoso soprattutto per chi mi sta attorno, così non appena quattro anni fa Alice ha sistemato la sua camera nella nuova casa di campagna dove abitiamo, mi ha guardata dritta negli occhi e come la bambina di “chocolat” mi ha detto: “adesso promettimi che da qui non ci muoviamo più”.
Desideravo da tempo andare a vivere in campagna, in un luogo a contatto con la natura, e ora che l’esperienza del centro Anidra (azienda agricola, centro benessere olistico) di cui faccio parte si stava sviluppando, potevo pensare di realizzarlo.
Ho due genitori anziani, pur volendo loro un gran bene, li vedevo di rado. Sono due persone eccezionali, una supermamma eccellente e naturalmente ingombrante. Pensando a cosa avrebbe significato per me che svolgo il lavoro autonomo di architetta gestire una casa in campagna, badare alla mia salute e tirare su una figlia, si sono resi disponibili ad aiutarmi, ho pensato che nel momento in cui loro avessero avuto bisogno di sostegno era più facile se stavamo vicini e così ci siamo imbarcati in un nuovo rapporto, quasi cohousing dato che condividiamo la casa nel bosco, ai margini di un parco naturale, insieme a due amici e a un signore che è venuto a vivere da noi. Riguardo ai fidanzati, archiviata l’ultima recentissima vicenda mi sembra di averci messo una distanza, non mi sento più una metà di qualcosa che non funziona quando c’è o che manca del tutto. Questo sentire ha cambiato profondamente la prospettiva e le relazioni con l’universo maschile, oggi rappresentato da alcuni meravigliosi amici e da un rapporto non sempre facile con un maestro che mi sono scelta come interlocutore da molto tempo, trovando il dialogo intenso che mi aiuta a sviluppare il mio progetto di vita.
Questi rapporti così stretti, i genitori e i soci del Centro, vicini anch’essi e tanti, siamo una trentina, per me è ancora oggi ciò che mi ha aiutato di più e ciò che insieme è più difficile da gestire, per lo sforzo che mi comporta condividere le esperienze con gli altri. Non sono stronza come mi sto dipingendo, sono solo molto autonoma, nonostante tutto. A volte penso che uno dei risvolti positivi del mio handicap sia il costringermi a dare spazio (agli altri) e a prendere tempo (per me), sottraendomi alla vita molto maschile che mi sono scelta.
Ciò che sto imparando in questi anni – mentre Alice cresce, i miei invecchiano, il Centro si sviluppa tra alti e bassi e la campagna mi mostra tutte le sue facce estive e invernali e i suoi condizionamenti – è trovare una relazione più sana con le persone, con l’ambiente, con me stessa: un incontro con la dimensione femminile attraverso la terra, le relazioni incrociate di cura con Alice, i nonni, gli amici vicini, in una situazione che rende questa cosa possibile.
Il territorio della Liguria offre dei posti che hanno numerosi vantaggi, dove d’inverno ci sono solo le poiane e d’estate anche i villeggianti: posti di collina dai quali è possibile raggiungere in 45 minuti la costa e le opportunità di lavoro. Quest’anno per un bel po’ sono scesa con il cambio delle scarpe in macchina dato che qui siamo in mezzo alla neve e giù sembra già primavera. Tra una cosa e l’altra le mie giornate sono sature, questo è il principale risvolto negativo della medaglia. I bassi rendimenti economici del mio lavoro, a fronte dei costi della vita in costante aumento, mi costringono a dedicargli molto più tempo di quanto oggi vorrei, in ogni caso svolgo attività difficilmente limitabili dal punto di vista del tempo.
Il centro Anidra per me è una specie di Arcadia: un luogo in cui attraverso l’agricoltura, la formazione olistica, la condivisione di tutto con gli altri (parlo di chi vive lì), si sperimenta un modello sociale che assomiglia più alla tribù che alla famiglia come la pensiamo noi, una dimensione che non è riportabile al collettivo come lo ricordiamo noi cinquantenni cresciute negli anni ‘60, perché in ciascuno di noi è molto presente la dimensione individuale, dato che siamo persone tutte molto diverse per provenienza, contesti sociali e culturali, età, condizione economica, condizioni di salute. In questa realtà, ciascuno diventa strumento di crescita dell’altro proprio nel confronto, non verbale, ma di avvicinamento anche solo nel fare le cose insieme. Da qualche anno ci frequentano lavoratori volontari e ospiti di tutto il mondo che trascorrono qui un po’ di tempo per fare un’esperienza insolita di vita. Io sostengo questa realtà dedicando ad essa una parte del mio tempo (sia quello di lavoro sia il cosiddetto tempo libero), per far sì che questo laboratorio possa proseguire, cosa per nulla scontata. Sto progettando case di paglia, in autocostruzione e a basso costo, per realizzare gli spazi che servono con il minor dispendio possibile di risorse. In questo mi sembra di poter proteggere e supportare in qualche modo le persone che vivono lì, che lavorano nei campi, che si ritrovano per parlare e riflettere sulla vita, che condividono esperienze emotive forti, che cercano di porsi in dimensioni amorose e sessuali più consapevoli, che hanno rinunciato a quasi tutto e vivono di pochissimo. Sento quest’esperienza come una dimensione autentica, lontana da tanti falsi bisogni e automatismi sociali a cui ci hanno abituati. Anidra significa coscienza in continuo risveglio, è la passione che condivido e rinnovo, cercando di non scivolare nell’intorpidimento delle abitudini. Cosa rende quindi meno vulnerabile la mia vita di donna, disabile, mamma?
Questa cosa qui: una forte passione che dona leggerezza a una vita vissuta come un marine. Cosa manca? Da un po’ di tempo in qua direi solo del tempo completamente libero.