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Affido: figli temporanei o per sempre?

scritto da Gianna Melis

Prendere in affido un bambino significa accoglierlo a casa (e nel cuore) per un periodo più o meno lungo. Vuol dire dare una famiglia a un bambino che in quel momento ha la sua in difficoltà. È una scelta impegnativa che, anche se finirà, lascerà un’impronta profonda. Per sempre.

Quante volte leggiamo sui giornali o sentiamo in tv di bambini tolti alle famiglie? Le cause sono tante, a volte i genitori hanno problemi di salute o di lavoro, altre volte scaricano le loro incapacità affettive sui piccoli, con maltrattamenti e privazioni fisiche e psicologiche. Il piccolo soffre in solitudine, fino a quando la situazione non viene scoperta da una maestra, da una vicina di casa o dai parenti che chiedono alle assistenti sociali di intervenire. I minori allontanati dai genitori, vengono sistemati nelle case famiglia e nelle comunità (in Italia sono circa 30-35mila, anche se dati certi non ne esistono), in attesa di tornare a casa, di andare in affido o essere adottati. Questi bambini già a uno, due, tre, quattro anni finiscono in un mondo di nebulosa burocrazia, fatta di servizi sociali e tribunali, cooperative e istituzioni, senza sapere quando ne usciranno.

L’affido familiare è una possibilità concreta di fare uscire questi minori da istituti, case famiglia o comunità. Le norme che regolano l’affido sono meno rigide dell’adozione e tutti gli adulti con una situazione familiare serena possono farne richiesta. L’anno scorso il tribunale di Roma ha affidato una bambina a una coppia gay. Ma quando i motivi che hanno causato l’allontanamento sono superati, il minore torna nella sua famiglia d’origine. A volte però l’affido è sine die, cioè va avanti senza una scadenza, anche fino alla maggiore età e in qualche raro caso si trasforma in adozione. Cos’è l’affido? «Quando una famiglia con figli piccoli attraversa delle difficoltà più o meno temporanee, i servizi sociali cercano la solidarietà di altri genitori accoglienti e generosi, disposti a curare un minore per poche ore al giorno, per il fine settimana oppure per sostituire totalmente la famiglia. Possono diventare affidatari le coppie con o senza figli, sposate o conviventi, le persone singole e anche famiglie immigrate. Non sono richiesti requisiti di reddito, non sono previsti limiti d’età, nè occorre avere titoli di studio specifici o conoscenze in campo psicologico o pedagogico» spiega Monica Prestinari psicologa al Centro Affido Minori di Milano.

Ai genitori affidatari viene chiesto di assicurare uno spazio fisico e affettivo, di essere flessibili, empatici e capaci di affrontare situazioni frustranti. Per tutta la durata dell’affido, le famiglie o i single sono sostenuti e accompagnati dai servizi sociali attraverso colloqui individuali o di gruppo con famiglie che fanno la stessa esperienza. E se l’abbinamento tra affidatario e minore non “funziona”? «Si accompagnano tutti i protagonisti alla conclusione e alla separazione. Molte famiglie rinunciano all’affido per la paura di dover un giorno separarsene dopo che si è creato un affetto reciproco. Se i genitori hanno risolto i problemi e possono riaccogliere in casa il proprio figlio questa soluzione viene appoggiata dai servizi sociali, ma se la famiglia affidataria ha instaurato un buon legame, resterà un riferimento affettivo anche in età adulta. Non è raro che ex figli in affido, invitino le persone che li hanno accolti, a casa e nel cuore, per un periodo della loro vita, al matrimonio, alla aurea o al battesimo dei figli. In alcuni casi, previsti dall’articolo n. 8 della legge 184/1983, l’affido può addirittura trasformarsi in adozione. Chi desidera avere informazioni sull’affido può chiamare il numero 02 48513608 o navigare sul sito www.cam-minori.org», suggerisce Monica Prestinari psicologa al Centro Affido Minori di Milano.

La storia di Elisa, 27 anni

Andata in affido a 12 anni e rimasta per sempre con la sua “famiglia di cuore”.

«Mia madre soffre di disturbi psichiatrici, mio padre è incapace di fare il padre e così io e mio fratello, quando avevamo pochi anni, siamo stati affidati al tribunale. Come molti bambini con famiglie in difficoltà ho fatto l’esperienza di comunità, affidi e abbandoni. Finchè non ho trovato Caterina e Franco, genitori di due figli, che mi hanno presa in affido, cresciuta, educata e amata come una figlia. Quando mi è stata offerta la possibilità di andare a vivere con loro non ero per nulla contenta, avevo paura che come il primo anche il secondo affido fallisse. La decisione del giudice di “piazzarmi” in un’altra famiglia temporanea mi faceva arrabbiare molto. Non capivo perchè il giudice mi condannava a mantenere il legame con la mia famiglia di sangue, irrecuperabile e incapace di occuparsi dei figli, e mi mandava di nuovo in affido. I problemi che mi avevano allontanato da casa non erano risolvibili, e desideravo essere adottata, perchè avevo voglia di stabilità e di sicurezza affettiva. Le mie proteste non sono servite a nulla, nessuno ha accolto le mie ragioni e così ho dovuto separarmi dai miei amici della comunità e andare a vivere con la nuova famiglia affidataria. È andata bene, ma non è stato facile per entrambi. I primi mesi ho messo a dura prova la pazienza dei miei “nuovi” genitori con dispetti e richieste di tutti i tipi, volevo che mi riportassero in comunità, ma loro per fortuna non hanno mai mollato, tanto che faccio ancora parte della famiglia. L’anno prossimo mi sposerò, e sono sicura che sceglierò il vestito con Caterina e che Franco mi accompagnerà all’altare. Il legame affettivo continuerà per tutta la vita e sono sicura che loro saranno nonni affettuosi dei miei bambini. Per far conoscere il punto di vista delle ragazze e i ragazzi costretti a sperimentare situazioni simili alla mia, e stimolare giudici, assistenti sociali e psicologhe ad ascoltare i bambini prima di prendere una decisione sulla loro vita, ho scritto il libro “Un albero al contrario”».

Immagine tratta dal sito femaleworld

autore

Gianna Melis

Ho iniziato a fare la giornalista per caso nella mia seconda vita. Scrivo di benessere, di viaggi e di salute perchè da sempre mi piace mangiare sano, fare sport, viaggiare e andare alle terme. Ma vorrei scrivere solo di donne. Per tanti anni ho fatto politica con le donne e per le donne ed è il tema che m’interessa di più. Prima o poi scriverò un libro. Oltre a fare la giornalista, ho un marito e tre figli, due femmine, ed è sempre bello tornare a casa dopo un viaggio, sapendo che loro mi aspettano. Una delle figlie è arrivata nel nostro cuore e nella nostra casa con un affido familiare quando aveva 8 anni. Dopo due anni è tornata dalla mamma biologica, ma quando ha compiuto 18 anni ha deciso che la sua famiglia siamo noi. Con gioie e dolori per tutti.

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